11 dicembre 2009

Qui es in caelis...


Lo confesso, non ho mai dato di matto per il miele. Non mi è mai piaciuto spalmato su una fetta di pane (preferisco di gran lunga burro e zucchero), nè lo uso per addolcire bevande calde. Al massimo, come rimedio della nonna, ne mescolo un cucchiaio con rum e latte bollente quando sono raffreddato. Forse dipende dal fatto che non ho mai provato un grande miele. Invece lo scorso anno, nel girone dantesco e milanese dell'Artigiano in Fiera, mi sono trovato a tu per tu con Andrea Paternoster, apicoltore nomade e artefice dei Mieli Thun (http://www.mielithun.it/), che conoscevo solo indirettamente per le birre (Erica di Le Baladin, Utopia di BiDu e Troll) che impiegano alcuni dei suoi mieli. Con lui, cucchiaino dopo cucchiaino, ho visto la luce (in stile Jake Blues) e ho capito le differenze tra un miele di girasole (il preferito della Vale) e quello d'edera, tra quello di cardo (letteralmente fantastico) e quello di timo. Mi si è aperto un mondo di profumi e di dolcezze, di consistenze diverse. Una goduria pazzesca, senza mezzi termini e che volevo rendere pubblica. Soprattutto, ho scoperto che il mondo dei mieli è affascinante, ricco di sfumature, fatto di sano lavoro manuale (la definizione "artigianale" mi ha un po' stufato), di pazienza e di intuizione geniale. Quindi conoscere Paternoster (se riflettete sul cognome, si capirà anche il titolo forse un po' criptico di questo post) è stato proprio un bel regalo. Tanto che, quest'anno in fiera, l'acquisto di mieli Thun è stato paragonabile a quello di un malato cronico di bronchite...

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