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13 giugno 2012

AIS-Unionbirrai: questo matrimonio...

Il Westin Palace a Milano
Lunedì scorso ho fatto un salto all'evento targato Associazione Italiana Sommelier e Unionbirrai che si è tenuto al Westin Palace Hotel di piazza della Repubblica a Milano. L'hotel, location di lusso, è la sede ormai naturale degli eventi e dei corsi organizzati dalla sezione milanese e/o lombarda dell'Ais. Questa era però la prima volta, andando a memoria, che ospitava una serata interamente dedicata alla birra artigianale italiana. A mio merito, voglio ricordare una serata di degustazione di un paio d'anni fa, tenutasi a Crema con birre artigianali lombarde. Quella volta, l'Ais locale era rimasto a bocca aperta perché, a fronte delle solite 40-45 persone per tasting enologici vari, ma di livello, gli iscritti paganti erano addirittura 90. Milano comunque era rimasta una piazza "vergine" tolte le apparizioni, di successo, di Teo Musso e di Agostino Arioli.
L'evento "Birra, che stile!" dunque si preannunciava interessante, forte anche di 13 birrifici lombardi e non solo. La notizia sta anche in una prima forma di collaborazione tra le due associazioni di riferimento dei rispettivi settori, la storicissima Ais e la consolidata Unionbirrai. Che gli uomini in giacca blu e modi misurati fossero leggermente in antitesi con il popolo "indie" della birra si poteva presumere, ma è stato divertente vedere il contrasto di persona. Da un lato giacche e cravatte, dall'altro pantaloni a mezza gamba e tatuaggi in vista.
Il logo Ais
Le apparenze comunque contano poco. L'iniziativa è meritevole visto che di birra l'Ais mastica ancora troppo poco. Una lezione dedicata durante il primo corso, e condivisa con nozioni sui distillati di malto, lascia il tempo che trova. E servono a poco anche i corsi promossi in collaborazione con Assobirra, il cui limite a birre mainstream e dei grandi gruppi, evidenzia una certa caratura "pubblicitaria" e autopromozionale dell'iniziativa. Ma forse questo è davvero uno dei limiti più evidenti di Assobirra, dimostrato anche dalla sparizione all'orizzonte della discutibile operazione "Tavole della birra" firmata in collaborazione con il gruppo L'Espresso. Faccio solo due rapide riflessioni, con poca voglia di far polemiche: se a una guida non dai un respiro annuale e non la mantieni in vita almeno per tre anni, i costi della pubblicazione sono gettati nel vento. E se ai sommelier del vino che si sono incuriositi alla birra per le sue particolarità fai assaggiare birre che si trovano in grande distribuzione, il flop è abbastanza annunciato.
E quello di Unionbirrai...
Detto questo mi riporto rapidamente sull'argomento del post ovvero Birra, che stile! In tutta franchezza mi aspettavo più pubblico e più facce sconosciute, invece ho avuto i piacere di rivedere alcuni volti noti del mondo della birra artigianale, ma non la ressa tipica dei banco d'assaggio organizzati dall'Ais. Vero anche che, in questo senso, non ho una frequentissima partecipazione da addurre, e forse mi ero fatto qualche illusione di troppo, tuttavia ero convinto che le birre si sarebbero volatilizzate in poche ore. Colpa di qualcuno? Forse no, forse serviva solo un po' di pubblicità in più, forse i tempi non sono ancora così maturi, forse i sommelier preferiscono, con un tema abbastanza nuovo per loro come le birre, partecipare a una degustazione guidata piuttosto che a un tasting.
Ma, in questi casi, si deve sempre fare la tara del debutto. Magari la prossima volta andrà meglio. Io personalmente invece ho avuto modo di conoscere dal vivo Nicola Grande del Siebter Himmel. Conoscevo di nome il suo pseudonimo e il suo talento grafico, ma la Nuce è una dubbel che mi ha convinto molto. Soprattutto tenendo conto che lo stile a volte mi sembra accusare una certa "pesantezza" e non è mai stato tra i miei preferiti. Molto buona anche la 2 Cilindri del Birrificio del Forte, una porter morbida morbida, con un profumo che mi ha fatto venire in mente quando, bimbo, spendevo i miei soldi in Kinder Cereali. Quindi grazie per l'effetto nostalgia! Infine sono stato letteralmente "piallato" dalla Machete Double Ipa di Giovanni Campari, "conducator" del Birrificio del Ducato. E' stato come infilarsi con una tavola da surf in un tunnel di luppolo: inebriante, pericolosa, adrenalinica, "assuefacente"...

8 febbraio 2012

Degustazione da brivido... freddo

Con il naso nel bicchiere
Ieri, mentre facevo una ricerchina in rete per trovare la denominazione esatta di un certo vino mi sono imbattuto nella sua scheda descrittiva compilata da un celebre degustatore. Mentre leggevo una riga dopo l'altra, un brivido freddo cominciava a farsi sentire sulla schiena. Ecco le, quantomeno immaginifiche, parole:
"Sensazioni:  eccellente dolcezza sin dal primo contatto olfattivo. Morbidamente il campione svela se stesso: quel vino privo di picchi, quel vino che ha preso il legno senza essere da questo fumosamente, artatamente coperto di spezie, quel vino il cui profumo, del suo frutto originario, fedelmente riporta freschezza, succosità e maturità profonda. Un vino dal tatto fittamente maestoso, di potenza alcolica eccellente, che per via della souplesse e della dolcezza mentosa del suo gusto-aroma pare francamente non avere la massiva fittezza che svela polposa il suo tatto, tannicamente tramoso. Campione tanto di possanza quanto di nitida, viva fragranza. Enologia esecutiva che non altera in nessun modo l'integrità d'aroma di questo rotondo e vivido frutto."
Il mio modesto intelletto non mi permette di ascendere alle vertiginose vette di questo tipo di scrittura, mi scuso con i miei quattro affezionati lettori. Credo che buona parte della stanchezza che percepisco in giro riguardo al mondo del vino, letteralmente vivisezionato da esperti togati e poeti d'avanguardia, sia dovuto a questo tipo di degustazioni...
Comunque, qualora dovessi indulgere a una simile prosa (ommiodio, mi è bastato leggere e fare copiaincolla e forse ho già pigliato il virus...), vi autorizzo ad additarmi al pubblico ludibrio....
E, a proposito e senza ricorrere a Google, chi indovina l'autore di tale recensione enologica?

13 ottobre 2011

I like Montegioco

Riccardo Franzosi e le sue botti
Titolo facebookiano ma pertinente alla nuova linea editoriale (detta così sembro il direttore dell'Economist) di Birragenda. Ovvero, parlare di birra. Mi sono reso conto che gli ultimi post suonavano un po' troppo tra il depresso e il menagramo, oltre a interessare poco i lettori ai margini del giro più stretto. Ergo vi racconto in prima persona un minievento che mi ha visto gaudente comparsa qualche giorno fa al The Hub Hotel di Milano. E lo faccio per un semplice motivo: se alla fine della lettura vi avrò convinto spero andiate a cercare queste birre per bervele e, se volete, dirmi cosa ne pensate. Le birre sono quelle di Riccardo Franzosi, detto eufemisticamente Riccardino (è tutto tranne che piccolo e mingherlino), birraio del Birrificio Montegioco in provincia di Alessandria. Un nome noto e non solo al circolo degli eletti ma che non ho bevuto con la costanza che meriterebbe. Il che comporta due tipi di conseguenza: quella negativa è che mi sono perso delle birre davvero notevoli, quella però positiva è che quando le ritrovo mi commuovo...
La serata al The Hub fa parte di una serie di microeventi organizzati dalla Divisione Il Gusto delle Edizioni Gribaudo con partecipazione di birrifici e birrai in un'atmosfera intima (fino a un certo punto...) e rilassata. Non riesco ovviamente a esserci sempre (per lo stesso motivo per il quale non riesco a bere con continuità ovvero da quando ho scoperto che scrivere e scrivere da sobri, checché ne dicano i poeti beat, è molto più redditizio), ma quando vado vengo ampiamente ripagato. Come appunto nel caso di Riccardo che ho scoperto essere un personaggio con il quale è divertente scambiare opinioni e considerazioni, serie e facete. Se lui quindi è simpatico, le sue birre sono eccellenti. Sono partito con la Runa Bianca, una blanche elegante e leggermente speziata, tranquilla a sufficienza per permettermi di parlare (e comprendere) anche un produttore di riso del Pavese che mi ha edotto, almeno superficialmente, sulle problematiche del suo lavoro: dalla quasi assenza delle rane (e questa non è una cazzata, ma un problema serio) alla immutata esistenza delle mondine. Per me che ricordo ancora le gambe della Mangano (mia nonna d'accordo, ma quando ero piccolo ancora non lo sapevo) in Riso Amaro, è stata una bella sorpresa.
Il logo del Birrificio Montegioco
Come sorprendente ho trovato la Demon Hunter. Il nome, lo posso confessare, mi ha sempre fatto venire in mente atmosfere gothic-metal (genere che non amo proprio alla follia), ma l'impatto aromatico è stato memorabile. Un bouquet quasi marmellatoso, di pesche, equilibrato da una vena fresca di liquirizia. Rotonda e persistente, era la birra per fare tutta la serata approfittando dei comodi divani dell'hotel. Tuttavia sono passato alla Open Mind, prodotta con mosto di Barbera, e qui sono entrato in confusione (con quale delle due andare avanti?). Qui i profumi erano più delicati e articolati, ma assolutamente intriganti, e al palato la Barbera, presumo, conferiva una bella acidità che ti faceva sempre tornare la voglia. Ho chiuso comunque con la Runa, sbagliando così la sequenza degli assaggi, per confermare che Riccardo Franzosi è un grande birraio. Sono certo di aver scoperto l'acqua calda, ma mi faceva piacere dirvelo, proprio perché in mezzo a tante elucubrazioni su definizioni di "artigianale", movimenti e associazioni e i destini del mondo, un'incensata a un bravo birraio mi pareva ci stesse proprio bene. :-)

14 gennaio 2011

Hipster e Rudolph: tecniche di depistaggio...

Ohibò, riprendiamo la sana (o forse insana) abitudine di scrivere sul blog e lo facciamo mantenendo la promessa di raccontare le nostre impressioni delle due birre arrivate dal birrificio Bad Attitude di Lorenzo Bottoni & Company qualche giorno prima della roulette russa (gastronomicamente parlando) delle festività natalizie. Allora, iniziamo con il dire che ricevere le birre a casa in assaggio da parte di un birrificio artigianale è pratica quasi del tutto sconosciuta in Italia (primo applauso per Bad Attitude) il che potrebbe far concludere che chi scrive di birra non serve a nulla oppure che ai birrifici artigianali non gliene frega niente. Boh, fate voi. Tuttavia l'iniziativa di Bottoni è lodevole anche perchè si espone consapevolmente a critiche, eventuali e si spera ovviamente motivate, e perché legittima il piccolo popolo di blogger italiani. Le due birre in questione si chiamano Hipster e Rudolph, immortalate qui sotto poco prima della stappatura....

Hipster e Rudolph by Bad Attitude Craft Brewing
Partiamo con la confezione, perchè sono convinto che l'occhio voglia la sua parte. Formato della bottiglia in stile "muratore anni Cinquanta", ma reso simpatico dalle etichette: una in stile "summer of love" e l'altra che rivisita la renna dal naso rosso che guida la slitta di Babbo Natale. A me sono piaciute entrambe perchè mi hanno messo allegria e mi è pure piaciuta la dizione "birra artigiana" invece di artigianale (che sia questa la chiave di volta della sfuggente quanto inflazionata definizione?). Alleluia finale per la citazione dei luppoli. La trovo una cosa buona e giusta e suggerisco a Lorenzo di inviare un campione anche a quelli della Splugen scrivendogli "ecco, i tre luppoli. Li trovate nella retroetichetta". Perplessità invece sulla Hipster presentata come una Pilsener Organic Wine. Vero che la presa per i fondelli è già nella dizione, ma la parolina pilsener ai più dice una cosa (luppolo, luppolo e ancora luppolo) mentre al naso la realtà è un'altra. Insomma, a parte qualche nota così così ma che presto scompare, la birra sembra pensare in ceco ma parlare in belga. Io, ad esempio, ho sentito un fruttato di albicocca e un cenno di miele e dopo ancora qualche minuto una sottilissima speziatura, più un'articolazione del profumo che un sentore vero e proprio. Al palato il corpo c'è e


La Hipster nel bicchiere

si sente (7,62% vol). Un bell'equilibrio, una bella aromaticità che lascia uscire un piacevole amaro (adesso sì) e che termina molto bene nel retrogusto, lasciando la bocca piva di acidità e pronta per bere ancora. Insomma, una birra che mi ha convinto con qualche smagliatura (il naso iniziale), ma che ti porta un po' fuori rotta... Discorso diverso invece per la Rudolph, presentata come "winter warmer" categoria che si presta maggiormente alle interpretazioni sul tema. Il colore è ambrato con tonalità che ricordano il rame, schiuma davvero imponente (un po' debole nella Hipster), compatta e persistente. Profumo complesso, speziatura subito immaginabile anche se, non avendo letto prima le note, ho imbroccato solo la cannella. Dello zenzero e del ginepro ho avuto la sensazione solo a posteriori, per cui vale quello che vale. Cioè niente.


La Rudolph nel bicchiere

Ma è una birra affascinante sebbene l'avrei forse preferita con un corpo ancora maggiore, più solido e più "caldo". Sempre al naso ho scritto di getto "miele di castagno e frutta esotica (datteri?), caramello e cannella". Cannella che torna a farsi sentire anche in bocca. Ma senza risultare eccessiva; solo quel tanto che basta per farti tornare in mente certi dolci natalizi anglosassoni e la voglia di accendere un fuoco (il che essendo circondato da libri e carta in genere comporta un certo rischio). Comunque birra più che piacevole. La riberrei volentieri (anche la Hipster), perché il finale di entrambe non te le incolla al palato ingolfandolo. Il che vuol dire che mi rimane la sete. E attacco le seconde bottiglie...

20 dicembre 2010

Anteprima: Theresianer Coffee Stout

Non mi capita tutti i giorni di fare un assaggio in anteprima assoluta. Quando arriva, ben venga. Questa volta l'occasione mi è capitata grazie all'amicizia con Tullio Zangrando, una delle persone più competenti e affabili che conosco nel gran circo della birra italiana, consulente da qualche anno a questa parte di Theresianer, l'azienda di Martino Zanetti (più noto al grande pubblico come Mr. Hausbrandt), nella quale Christian Romano svolge il ruolo di mastro birraio. L'anteprima è allora il debutto non ufficiale della prima Coffee Stout mai realizzata da un'azienda italiana (tra quelle medie e grandi), una birra che avevo anche io suggerito con cautela allo stesso Zangrando un paio d'anni fa e che mi sembrava quasi obbligatoria considerato i due campi d'azione di Zanetti. La birra e il caffè appunto. Ora la birra è pronta, una piccola quantità prodotta su scala

Dal caffè...
pilota, rifermentata in un serbatoietto ma non filtrata, pensata, riportando le parole di Zangrando "attenendoci ai canoni "classici" delle stout, puntando sulla leggerezza e sull'amaro". La Coffee Stout, nome ancora non definitivo, è annunciata sul mercato per il prossimo anno e si presume che, anche nella sua versione definitiva, sarà non filtrata. Versata nel bicchiere ha un bel colore mogano, con dei riflessi rubino se lo si avvicina a una fonte di luce diretta. La schiuma è abbastanza persistente, colore nocciola o caffelatte, ma fine e compatta.

...alla birra.
L'aroma è senza dubbio l'aspetto che mi ha intrigato maggiormente. D'accordo, la nota di caffè è evidente e dominante, ma pulita, non invasiva o esagerata. A seguire si avvertono tutte le declinazioni "caffettose": cappuccino, pocket coffee. Perchè, dopo qualche secondo, si sente anche il profumo del cioccolato al latte, una nota di biscotto e, a mio avviso, un cenno che ricorda il crème caramel. Belle sensazioni. Confermate anche all'assaggio quando la birra rivela la sua, effettiva, leggerezza e bevibilità (4,8% vol e 20 Ibu) lasciando alla fine un piacevole gusto di torrefatto e di amaro molto netto. Insomma, è una birra che mi è piaciuta molto e che a mio parere fotografa l'attenzione di una realtà aziendale non piccola verso le birre "originali" e caratterizzate. Non credo sia un'anticipazione di una svolta epocale, forse solo un segno dei tempi che, come cantava Bob Dylan, stanno cambiando. O, per lo meno, a me piace pensarla così... 

2 dicembre 2010

Born to Randall

Back to La Ratera. Incredibilmente, conoscendo i miei standard, dopo nemmeno un paio di settimane. Tuttavia l'occasione era troppo ghiotta per non mancare. Il debutto della nuova Extra Hop del Birrificio Italiano, una birra che è sempre stata tra le mie preferite e che purtroppo, e solo per colpa mia, non bevo tutte le volte che vorrei. E che la EH meriterebbe. Così, anche con la consapevolezza di non poter essere a Lurago Marinone il prossimo 7 dicembre, la Extra Hop prima la ammiriamo, spillata con il consueto carisma da Marco Rinaldi, e poi la sorseggiamo meditabondi. Perfetta la schiuma, da sciarci sopra, soliti profumi freschi di luppolo e di fiori, un amaro deciso ma elegante, un taglio finale bello secco, un retrogusto abbastanza lungo. Birra che toglie la sete, toglie la fatica e toglie pure qualche incazzatura quotidiana. Il che depone ulteriormente a suo favore...

Davvero "Extra"

Se proprio vogliamo trovare una pecca è il bicchiere. Davvero troppo piccolo per togliere la sodisfazione. Così eccoci al secondo, questa volta però spillato tramite Randall. E la Extra Hop evolve di conseguenza. Profumi ancora più netti e marcati, amaro che inizia a sverniciare il palato lasciando goduriose sensazioni di resina. A patto, ovviamente, che nella birra vi piaccia l'amaro. Se non è così, beh insistete perchè l'amaro nella birra è come certa musica di Tom Waits: al primo ascolto ti può anche lasciare perplesso, poi ti conquista per sempre. Infine, pronti per il bicchiere della staffa: servito direttamente versandolo dal Randall...

Marco "Randall" Rinaldi
Che dire? Ok, non è ortodosso bere birra con foglioline flottanti nel bicchiere. Magari fa un po' antichi Sumeri, ma basta mettere gli incisivi o i baffi in posizione "diga" e berrete una birra che è rimasta a lungo con il luppolo in macerazione. Con il risultato di sembrare quasi una spremuta di luppolo. Già al naso, ma soprattutto in bocca. Esagerata forse, ma tuttavia fantastica, sbilanciata sicuramente, ma tuttavia affascinante. Pensavo di berne un sorso e invece l'ho terminata. E me ne sono andato con l'aroma di luppolo sulla lingua e nella memoria. Quasi fosse stato un primordiale imprinting...

27 novembre 2010

Il potere del cane


Chiamarla Humulus non sarebbe stata la stessa cosa...

Titolo un po' forzato ma il fatto è che ci tenevo, prima o poi, a segnalare un libro che non c'entra niente con la birra ma che è, quasi, un capolavoro. Ovvero Il potere del cane di Don Winslow. Se poi le birre assaggiate in queste ultime due serate erano tutte sotto l'impronta di canidi in generale, non è colpa mia. Se ci fosse stato un segno in tutto questo, non l'ho colto. Diciamo allora che la partenza è stata a Milano, alla Brasserie Bruxelles di Viale Abruzzi, dove, dopo una Blanche de Bruxelles come aperitivo, ho provato la Blond di Extraomnes, birrificio di recente apertura guidato dall'assai celebre Schigi. L'ho trovata una birra molto interessante, soprattutto come profumo: articolato, floreale, delicatamente agrumato e, mi sembra, con un cenno di spezie che francamente non sono riuscito a identificare. Mi è piaciuta anche in bocca, perché si fa bere facilmente e ti fa venire voglia di berne ancora. Solo, per averla dimenticata un dito nel bicchiere, alla fine qualche nota al naso non era piacevolissima. Comunque sono rimasto impressionato, considerato che era la mia prima volta (ok, forse ne avevo preso un sorso al Salone del Gusto ma in maniera un po' distratta). E dopo la Blond Extraomnes, al tavolo è arrivata la Lupulus della Brasserie Les 3 Fourquets. Che dire? Straordinaria per freschezza, corpo e profumo. Una gran bella birra, niente da dire. Non avrei mai detto che porta 8,5% vol.


Cave Canem: la Blond di Extraomnes

Il pomeriggio successivo ero a Fidenza, da Bruno Carilli del Toccalmatto. Si parla un po' di tutto e si assaggia. Che cosa? Ma, per rimanere in tema, la sua Stray Dog ovviamente. La No Rules Bitter va giù che è una meraviglia e i profumi sono quelli che mi fanno sempre ricordare pinte annusate e bevute in vecchi pub di campagna nello Yorkshire o nel Lake District. Sensazioni personali, ovviamente, ma spesso sono quelle che contano di più. La Stray Dog non è forse la birra più riuscita di Toccalmatto, ma mi è piaciuta, tanto da riberla subito insieme ad alcuni amici in quel di Parma. Esattamente al mio vecchio pub "di quartiere" ovvero il Dubh Linn, in Borgo del Correggio 1, dove segnalo tra l'altro, per chi fosse in zona, che in questi giorni il titolare ha attaccato un fusto (o più, non so) di Trashy Blonde di Brewdog. Strano, anche in questo caso sempre di cani si tratta... Coincidenze?