26 agosto 2010

Comunicare la mozzarella?


"Due ragazzi, freschi di laurea in scienza delle comunicazioni, sono venuti da me a Torino. Chiedevano lavoro. Gli ho detto: qui non ho niente, ma sto aprendo un grande complesso a New York. Emporio dell'alta qualità alimentare e sette ristoranti. Mi serve qualcuno che sappia fare la mozzarella a mano. Se imparate, il posto è vostro. Sono partiti di corsa: li ho mandati ad Andria, sono lì da due mesi". Dichiarazione di Oscar Farinetti letta ieri sulle pagine del Corriere della Sera in un articolo molto interessante sulla prossima apertura di Eataly nella Grande Mela. Due considerazioni veloci... Ma Eataly NY non doveva aprire i battenti i primi di agosto? Seconda considerazione un filino più importante: laurearsi in scienza delle comunicazione oggi, in Italia, ha ancora un senso? Che fine fanno i laureati di Pollenzo e di Colorno, e tutti quelli che finiscono il "leggermente" costoso corso di giornalismo enogastronomico made in Gambero Rosso? Ovviamente il tutto ritenendo che un'esperienza, anche facendo mozzarelle a mano, a New York non l'avrei buttata via nemmeno io e che Farinetti mi sembra essere uno dei pochi imprenditori gourmet con una visione ampia e strategica del futuro...

10 commenti:

Andrea ha detto...

Eccomi. Scienze della Comunicazione è una facoltà bellissima da frequentare, il divertimento nello studiarla è inversamente proporzionale all'utilità del "pezzo di carta" una volta finita. Problema ben più radicato che nella semplice considerazione sulla facoltà di per sè. A ben pensarci, alcune materie ti aprono la mente e sono contento di averle studiate. Ma se tornassi indietro, forse farei tutt'altro.

Luca ha detto...

Beh in questo caso credo che la deviazione di settore ( da quello studiato a quello lavorativo ) sia da imputare più all'occasione acchiappata al volo, che alla scarsa validità del titolo.
O forse di mezzo c'è anche stata una loro propensione a lavorare nell'alimentare, un po' di curiosità... chissà.

Piuttosto tu conoscerai meglio di me casi in cui si verifica il fenomeno opposto: gente che si occupa di comunicazione (gastronomica o meno) senza averne titolo.
Lo so, è un argomento che abbiamo sfiorato anche a Stabio (e che sarebbe bello approfondire)... però credo che possa generare più problemi questo, che non la scelta di "buttare" anni di studio per dedicarsi ad altro.
O forse la domanda è: la preparazione raggiunta dopo una laurea in comunicazione è raggiungibile anche da autodidatta e con tanta esperienza sul campo (anche solo in un settore ben delineato)?
Perchè qui ci vanno di mezzo sia gli studenti, che chi li ha fortmati...

Lelio ha detto...

Che fine fanno i laureati? Questo non lo so, ma di studenti del corso di Pollenzo ne ho incontrati veramente tanti e, salvo pochi casi, quasi sempre "non italiani", si tratta di ragazzi che mi hanno dato l'impressione di essere li tanto "per prendere una laurea". Di appassionati e vogliosi di apprendere ne ho visti pochi, ben venga quindi che esistano eccezioni, che imparino a fare la mozzarella e vedano "da dentro" come funziona il mondo alimentare.

davide ha detto...

Generalizzando al massimo, e magari non rispondendo al tuo spunto, la mia opinione e' che persone che hanno fatto una scelta di studi e di vita di un certo tipo (studi/lavoro) e che poi la cambiano, e magari tornano alla "terra", sono l'unica vera speranza che ha questo paese di togliersi dalle sabbie mobili e di svecchiarsi. Quindi le esperienze "cross", che fanno anche figo, sono solo da benedire.

Maurizio ha detto...

Riassumendo: la posizione di Andrea è interessante anche perché è di uno che ci è passato in mezzo, ma almeno lui si occupa di comunicazione ora. E poco importa se ci è arrivato facendo altre esperienze prima. Così ovviamente sono d'accordo al 100% con Davide e con Lelio. Niente di male a cambiare rotta durante la navigazione, a me mancano e mancheranno presumo sempre 4 esami alla laurea in Legge. Luca invece mi stimola ad approfondire la riflessione. Una volta mi è capitato di fare una mini-inchiesta sulle facoltà di enologia in Italia e mi sono accorto che, in questi ultimi anni, si sono moltiplicate a dismisura tanto che il gran capo degli enologi italiani mi disse chiaro e tondo che il mercato non poteva accogliere tutti i nuovi enologi in arrivo. Ma dalle università mi facevano capire che il mestiere di enologo, ultimamente, faceva molto figo. Per cui: mestiere figo=corso di laurea apposito. Senza pensare molto alla carriera futura... Chi ha l'azienda di famiglia magari il posto lo trova, chi sa l'inglese andrà a fare l'enologo in Australia (forse, ma molto forse). E tutti gli altri? Si inventeranno qualcosa non ho dubbi, magari anche qualcosa di meglio. Ma ho l'idea che le università di questo tipo funzionino esattamente come le aziende più moderne: individuano dei trend e danno delle risposte, complice l'idea che in Italia il mestiere lo si possa imparare semplicemente sui banchi di scuola. Talento, volontà e una certa scaltrezza sono degli optional...

davide ha detto...

A proposito di Australia e di estero, vi consiglio di dare un occhio a questo progetto che parla proprio degli italiani con idee innovative.
http://www.italianidifrontiera.com/

Luca ha detto...

Beh, io ho avuto l'ingenuità di credere che i trend di mercato li seguisse appunto... solo il mercato. Al massimo mettevo in dubbio l'efficacia di un corso di laurea fondato anni fa, quando adesso tanti di quegli argomenti forse uno se li può imparare da solo sul campo ( sempre che le due preparazioni siano paragonabili, sul breve o sul lungo periodo ).
Dici che pur di raccattare qualche iscritto anche le università si inventano corsi "modaioli"?
La cosa mi darebbe molto da pensare. Quanto può essere adatto un docente recuperato al volo per riempire la docenza di un corso "improvvisato" ?
Se questa dinamica è vera, stiamo poi ancora a chiederci perchè una laurea non vale più come dieci anni fa ?

Maurizio ha detto...

Mah, magari i docenti sono pure buoni... Magari infatti insegnano in più sedi universitarie... Ma che l'università sia un business per chi la conduce più che per chi la segue, purtroppo, penso sia vero... Un aneddoto personale: per prepararmi all'esame da giornalista a Roma ho comprato due volumi da mille e passa pagine (costo attorno ai 300 euro mi sembra). Volumi che ogni anno vengono "aggiornati" anche se in realtà le modifiche spesso sono di poche pagine (decreti ministeriali nuovi, leggi e codicilli rivisti ogni stagione in very Italian style). Io come molti, per evitare cazzate e perché "è una volta nella vita, facciamolo bene" ho comprato l'ultima edizione dei due volumi... per la gioia immagino dell'autore... Una volta enologia si insegnava ad Alba, a Conegliano Veneto e a San Michele all'Adige. Punto.

Andrea ha detto...

Magari mi occupassi di comunicazione! Almeno avrei dato un senso concreto ai miei studi. Per il momento il mio lavoro è ben diverso, la comunicazione magari c'entra, ma molto alla lontana.

L'idea di poter imparare comunicazione da autodidatta... beh credo sia impossibile. Insomma nei 5 anni di università ho sostenuto gli esami più disparati, da sociologia a diritto civile, da storia contemporanea a economia politica. Più una caterva di materie "specialistiche" diciamo... Beh possono sembrare discipline assai diverse tra loro, eppure alla fine del percorso di studi ti rimane una sensibilità per l'argomento ben superiore alla media delle persone. "E ci mancherebbe pure" direbbe giustamente qualcuno :)

Federico Del Grosso ha detto...

Posso uscire fuori tema ? Vorrei, se possibile, invitare questi ragazzi a Battipaglia (il regno della mozzarella di bufala fatta a mano). Ritengo di potergli offrire anche ospitalità nel periodo in cui ricevono la formazione.