6 giugno 2007

Giacomo Tachis, uomo del vino



Ancora da Vie del Gusto, ancora un enologo ma in formato "long playing" ovvero senza tagli redazionali, ecco il frutto dell'intervista a Giacomo Tachis. O meglio, delle numerose piccole interviste-colloqui con questo enologo-mito in realtà umanissimo, profondo, ironico e mai autoreferenziale. Ho iniziato con un po' di tremore nelle gambe e oggi sto leggendo, da bravo scolaro, testi di Burgundione da Pisa, più relazioni e interventi di Tachis stesso. Me li ha mandati lui e gliene sono grato, farò del mio meglio per farli diventare miei. Che cosa mi è rimasto impresso di una persona ormai trattata più come un santone, una leggenda, una reliquia? La sincerità e un certo sprezzo per i tanti balletti da Folies Bergeres che si vedono nel vino. Lunga vita a Tachis, eroe del tempo in cui il vino parlava di vino. E gli uomini del vino parlavano poco.
Da Vie del Gusto, giugno 2007
«Il vino? È stata la cosa che mi ha dato da mangiare…». Già dalla prima dichiarazione l’alone quasi mistico che lo circonda è abbattuto. Ma se a farla è proprio il diretto interessato, si capisce subito che ci deve essere sotto qualcosa d’altro. Giacomo Tachis è una delle persone più rispettate nel mondo del vino, carico di elogi, di riconoscenza, di appellativi che avrebbero fatto piacere a un antico imperatore romano. A lui, però, no. «I giornalisti scrivono un sacco di cavolate, accendono degli inutili riflettori su una professione che non è diversa da tante altre; io ho solo fatto del vino», taglia corto. Certo, gli dobbiamo riconoscere noi che siamo giornalisti, del grande vino. I nomi sono tutti stampati nella mente non solo degli addetti ai lavori: Tignanello e Sassicaia, ormai li conoscono tutti. Ma è confortante sapere che, in un mondo dove apparire è più importante che essere, l’uomo che più di tutti potrebbe addobbarsi di presunzione e di retorica, parla semplice e chiaro. «Gli enologi dovrebbero soprattutto avere sensibilità e cultura, nel senso più ampio del termine, altrimenti rischiano solo di copiare o di essere dei semplici “mescolatori di vino”, come si è soliti dire. Devono studiare e ricercare, guardando ai risultati concreti e non a quello che scrivono riviste e guide». Piemontese di nascita, toscano d’adozione, Giacomo Tachis ha studiato ad Alba e ricorda molto bene i tempi duri del suo esordio. Il che probabilmente gli consente di guardare con un certo distacco alla gloria attuale. «Amavo studiare, ma ho cominciato enologia perché un cugino di mia madre poteva aiutarmi ad inserirmi nel mestiere. Poi la cosa non si è realizzata e ho dovuto sbarcare il lunario cercando prima un impiego in una cantina spumantistica piemontese e poi in un’azienda liquoristica. È stato un mio professore, che mi stimava, a segnalarmi la possibilità di venire in Toscana a lavorare». La sua storia è talmente nota che è quasi inutile riproporla qui: l’incontro con la famiglia Antinori prima, e con Incisa della Rocchetta poi, hanno cambiato per sempre la sua vita. «Ma quando sono andato in pensione», commenta oggi, «avrei voluto tagliare del tutto con il vino. Purtroppo non ci sono riuscito». Il purtroppo non è tutta la verità, perché Tachis possiede il “daimon” del vino e benché i suoi interessi culturali si ramifichino in campi diversi, dall’archeologia alla musica, è proprio nel vino che essi trovano espressione. Non a caso, dopo aver chiuso la sua esperienza in Antinori, accetta una consulenza in Sicilia e una in Sardegna. «Amo le isole, ne sono rimasto completamente affascinato benché», osserva con ironia, «io non sappia nuotare e mi accontenti di camminare sulle rive. Ma la loro storia, la loro cultura sono state per me un richiamo irresistibile». Sarà stato forse un caso che la riscoperta della qualità del vino siciliano è coincisa con la discesa di Tachis nell’isola? Meglio non chiederlo a questo enologo schivo che, se sente odore di piaggeria, tende a innervosirsi. Preferisce citare Goethe, Burgundione da Pisa e Pier de Crescenzi che segnalare dei vini che ama. «Ma, sia chiaro», conclude, «io il vino l’ho sempre amato e rispettato, le mie scelte sono sempre state dettate dal cuore e, soprattutto, dal gusto». Anche adesso, che si gode un po’ di pace e di tempo libero nella sua casa in Toscana, «preferisco vivere vicino a un albero che vicino a un palazzo», è il cuore e il gusto che gli consigliano le letture preferite, le consulenze da accettare, gli interventi pubblici da tenere. E forse è questo il suo messaggio più importante: cuore e gusto dovrebbero governare le scelte di tutti. Anche quando si tratta di vino.
Maurizio Maestrelli

1 commento:

Felipegonzales ha detto...

Sicuramente tra i più grandi d'Italia, rimasto umile nonostante il suo mito, a differenza di Michel Rolland, sbruffone e poco modesto.