15 ottobre 2007

Famolo strano


Tra gli assaggi estivi che mi hanno maggiormente colpito mi è tornata in mente una birra realizzata dal bellunese Arte Birraia già noto per la sua Ofen. Si tratta della Borlotta, acquistata in un supermercato di Agordo nel mese di agosto, provata "di corsa" durante l'ultimo Pianeta Birra grazie a un Kuaska che compariva e spariva sempre con una birra strana in mano, ma indubbiamente più meditata nel corso dell'ultimo assaggio. Che si è poi trasformato in una bevuta completa, fino al fondo della bottiglia. Che dire... Ero prevenuto, perché non mi era mai capitata tra le mani una birra ai fagioli, che saranno pur sempre quelli Dop di Lamon, vanto di quelle terre prealpine che circondano Feltre, ma pur sempre di fagioli si tratta... Invece, tanto di cappello al birraio. La Borlotta si lascia bere bene, non stupisce nè diventa una birra memorabile, ma l'ingrediente in più si lascia indovinare piuttosto facilmente senza diventare un aromatizzante che stravolge la birra stessa. Fin qui, dunque, tutto bene. Ma la Borlotta mi sembra possa anche avere il ruolo di introdurre un tema su cui varrebbe la pena di riflettere. A ogni corso di degustazione, a ogni convegno, a ogni chiacchierata tra appassionati e non, ribadisco (e non certo solo io) che il tratto distintivo delle birre artigianali italiane sono il loro legame con il territorio e la loro indubbia originalità. Birre con il miele, con le castagne (un vero e proprio filone quasi inesauribile), con i fiori, con il chinotto, con il tè, con le foglie di tabacco, con il mosto di Cannonau e via di questo passo. Bellissimo per chi si affaccia curioso in questo mondo, compresi chef e sommelier, un po' rischioso per chi questo mondo lo bazzica da anni. Due le perplessità di fondo: 1) non è che tutti questi aromi particolari servono magari a coprire eventuali difetti della birra? 2) non è che fare birre che rischiano di non sembrare birra sottintende a una qualche sorta di complesso di inferiorità nei confronti del vino?
E' questo forse ciò che richiede il mercato e, massì ci sta pure anche lei, la stampa. Entrambi sempre alla ricerca della novità stupefacente (non nel senso tossicologico) o del particolare che vale la pena raccontare con il rischio che tutto si trasformi nell'aneddoto curioso. Famolo strano dunque, a patto che sempre di birra si tratti che per natura e tradizione va bevuta con cognizione di causa ma non in bicchieri da rosolio. O meglio, può capitare, ma sarebbe un peccato che l'artigianale italiana diventasse solo una birra con il radicchio rosso di Treviso o la cipolla di Tropea... Insomma, una buona, semplice (?) pils, serve sempre.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Dal mio punto di vista, ben venga la fantasia tipica di noi italiani che ci contraddistingue da sempre nel Mondo. Questa fantasia nel campo birrario si sta esprimendo ai massimi livelli facilitata dal fatto che non avendo in Italia una nostra precisa identità in questo campo in teoria non ci sono neppure vincoli. Infatti la tradizione birraria in Italia se non sbaglio è piuttosto ristretta e limitata all'influenza svolta nei secoli dalla vicinanza a paesi teutonici ed austro-ungarici con annesse invasioni dello "stivale".
Quindi, come dicevo, ben venga la fantasia e la ricerca di un nostro stile, ma credo che sia ora ormai di identificare questo stile con delle linee più omogenee. Nel caso delle birre alle castagne, di vario tipo,si ormai delineato un nostro prodotto tipico. Per il resto mi sembra che sia iniziata proprio la corsa allo stupefacente, a chi arriva prima a produrre qualcosa di più strano, che faccia notizia. Non vorrei che si stesse un pò esagerando insomma, anche se a volte la sperimentazione porta a inattesi e positivi risultati, per il mio pensiero è ora di mettere a "fuoco" il nostro stile.

Maurizio ha detto...

Sono molto d'accordo con te (voi?). Sostengo da anni che il tratto distintivo della nostra produzione sia proprio la fantasia, la creatività e l'impiego di "prodotti" tipici nelle birre. Ma credo anche, come te (voi?) che si possa definire un qualche stile italiano e soprattutto evitare pericolose derive che possono risultare solo provocatorie e sensazionalistiche. Insomma un po' come chi fa il vino più per le guide che per i consumatori...
Grazie per il tuo (vostro?)intervento!

Anonimo ha detto...

Prego, è un piacere scambiare qualche post con persone competenti. Ottimo il riferimento alle guide, conosco due chef considerati in questo momento fra i migliori in Italia e posso dire che il meccanismo delle guide a volte porta ad un punto di non ritorno.
p.s. sono il portavoce di uno sparuto gruppo di birrofili