20 ottobre 2010

And so this is... Eataly

L'ingresso
Il titolo va letto con nella mente la musica di "Happy Xmas (War is over)" di John Lennon. Ordunque, siamo alla fine capitati a Eataly New York di persona. Dopo averne sentito parlare enne volte e dopo averne parlato anche noi qui. La prima impressione conferma l'idea che mi ero fatto ovvero che si tratti di una geniale, efficiente e, vista l'affluenza, molto probabilmente remunerativa trovata commerciale di Farinetti. Lo spazio è strategicamente posizionato a due metri dal Flatiron Building e a due passi dalla 5th Avenue ergo frotte di turisti di passaggio e newyorchesi in abbondanza pronti a celebrare i fasti del Made in Italy. Perché di Made in Italy si tratta anche se si potrebbe discutere a iosa di luoghi di produzione e di definizione stretta del Made in Italy. Di certo, Eataly è un'ambasciata italiana non ufficiale: produzioni a tiratura limitata, quanto limitata è da vedere, insieme a produzioni industriali. La pasta Latini e la pasta Barilla, gli aceti artigianali e gli aceti Ponti, le birre Baladin e Birra del Borgo (ma anche di Beba, di Montegioco, di Grado Plato...) e le birre Moretti. Uno scandalo? No, perché come avevo sostenuto in un post precedente se vuoi fare le cose in grande devi muoverti in grande. Un supermercato, ma anche un ristorante e una pizzeria (Rossopomodoro non il micropizzaiolo di Fuorigrotta), che deve macinare numeri e fatturato (ho provato a immaginare il costo dell'affitto ma non ci sono riuscito) non credo possa stare in piedi a lungo con le microproduzioni artigianali che, ribadisco, per essere anche eticamente corrette (come in qualche caso si sostiene) non dovrebbero comunque attraversare l'Atlantico per sbarcare negli Usa.
Lo spazio della birra è la celebrazione dei fasti di Teo Musso e Leonardo Di Vincenzo, immortalati in altrettanti manifesti. Un chiaro segno che la personalizzazione, nel food, è vincente. Se i grandi chef ormai sono considerati delle star perchè non i birrai, gli allevatori di suini allo stato brado, i formaggiai d'alpeggio, etc...
My pride is Lurisia

I'm also in love with Eataly

E' vero, resto un po' perplesso, a leggere che l'orgoglio di Teo sono le birre Lurisia. E idem a vedere il volto di Sam Calagione, anche lui immortalato come i nostri due alfieri italici. Che il concetto Made in Italy sia stato esteso anche a tutti gli italoamericani? Ma nel suo specifico cartellone c'è, nero su bianco, la risposta alla mia domanda "Perché le birre di Calagione e non, che so, Cilurzo?". " La risposta, la potete leggere qui sotto, all'ultima riga.
A noi piace tanto!
Comunque, sul fatto che Eataly sia una vetrina prestigiosa nella piazza, altrettanta prestigiosa, di New York City credo ci sia poco da discutere. Come direbbero gli americani "business is business" e Eataly lo è. Fino a che punto staremo a vedere, ma sospetto che le cose andranno bene per Farinetti e soci. Avevano capitale (molto) da investire e lo hanno fatto in maniera intelligente. Da imprenditori previdenti quali, tutti, sono. Onestamente, da italiano in vacanza, mi sono divertito di più a girare tra i banchi di Dean & De Luca, gastronomia boutique (vietato fotografare!) dove compaiono molti prodotti italiani, insieme a salsine americane per barbecue da mille e una notte. Ma, se fossi americano a stelle e strisce possibilmente discendente da una delle famiglie sbarcate dalla Mayflower, a Eataly ci andrei volentieri. A livello comunicazione e marketing il gioco è pressoché perfetto. Prodotti tricolori, ambiente italian style anche nei giornali, schermo al plasma collegato alla Stampa di Torino (e quale altro quotidiano avrebbero dovuto scegliere), bancomat firmato Unicredit. In più, ospitate regolari per i grandi chef di casa nostra (quando sono passato io era in corso Identità New York, emanazione di Identità Golose Milano, con la presenza di Bottura, Cedroni e il firmamento dei cuochi di grido della Penisola). Gli americani si divertiranno parecchio, chi avrà i soldi per comprare comprerà (a Manhattan non ci dovrebbero essere troppi problemi) per la soddisfazione di tutti: proprietari, partner, aziende grosse e piccole, giornalisti italiani inorgogliti e, magari, ospitati nella Grande Mela a spese dell'organizzazione (non era purtroppo il mio caso). D'altro canto, il messaggio finale del foodstore farinettiano è di una chiarezza d'intenti lampante.
D'accordo, ma Eataly is truly Italy?
Decidete voi se si tratta di una verità inconfutabile o... di una "minaccia".

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