10 febbraio 2011

Mal di classifica

Lo ammetto, non sono un "ratebeeriano", sono arrivato solo a una misera quota nove come recensioni su Microbirrifici, tendo a non partecipare a sondaggi e sondaggini, ma le classifiche esercitano un fascino malevolo su di me. Quando escono le guardo, vedo se e quanto mi ci ritrovo, e l'anno scorso, all'uscita dei risultati di Ratebeer che avevano consacrato il Macche al primo posto assoluto mondiale, avevo anche fatto un pezzo per Il Mondo della Birra. Insomma mi riesce difficile fregarmene del tutto. Ma quest'anno dopo l'intervento di Joris Pattyn sul forum Mobi, dopo l'uscita delle Top of the "beer" pops, dopo vari interventi critici su alcuni blog, in primis quello di Martyn Cornell, il mio entusiasmo si è raffreddato. E mi chiedo quanto servano queste classifiche, quanto pesino e quanta credibilità abbiano. Nei primi due casi sono sicuro che un valore ce l'abbiano, altrimenti non si spiegherebbe la grande partecipazione. Di sicuro però la loro credibilità è stata pesantemente scalfita dalla masnada di recensori che affollano il sito. Mi spiego meglio: sebbene non tutti siano convinti della cosa, quello che si dice acquista valore in considerazione di chi lo dice. Se mia zia astemia mi consigliasse un vino prenderei il suo suggerimento con le pinze, se invece a farlo fosse, chessò, Sandro Sangiorgi, la sua proposta avrebbe per me un altro valore. E' una questione di credibilità, di esperienza (che si acquista in anni di assaggi) e, lo ammetto, di talento. Così se vedere il Macche al secondo posto dei "best beer bars" è tranquillizzante (preferisco le conferme agli exploit), resto come dire impressionato dall'apparizione nella categoria "best beer restaurants" di ben quattro locali romani e in quella dei "best beer retailers" di due beershop sempre della capitale. Ne deduco che all'ombra del Colosseo sia spuntata la nuova mecca birraria mondiale oppure che a Roma il giochino delle classifiche stia dando un po' di assuefazione. Poco male, almeno fino all'intervento, questo sì credibile e autorevole, di uno come Joris Pattyn. Il rischio insomma è che nel delirio di onnipotenza, e di "onniconoscenza", tipico delle fiammate di entusiasmo che prendono noi italioti ci si faccia un po' prendere per il culo. Tanto per dire: tra i "best beer bars" del 2008 non compariva nessun italiano tra i primi cinquanta, idem per i "best beer retailers" e deserto anche tra i "best beer restaurants". Stessa cosa nel 2009. Che dire, nemmeno Steve Jobs ha raggiunto i vertici planetari in così poco tempo. La differenza è che lui è riuscito a restarci fino a oggi, chissà se ne saranno capaci anche gli "scalaclassifiche" birrarie "de noantri"...

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