23 febbraio 2011

Fenomenologia Del Ducato

Terzo e, presumo, ultimo post a margine di Selezione Birra e tutto interamente dedicato al Birrificio del Ducato. D'altro canto credo che i ragazzi di Roncole Verdi se lo siano ampiamente meritato. Non ho mai visto infatti in ambito artigianale una progressione così micidiale di grandi risultati, in Italia ma non solo. Provo brevemente a ripercorrerli perché a volte i numeri dicono molto. Allora, Giovanni Campari, Emanuele Aimi e Manuel Piccoli inaugurano le attività nel 2007 e già a novembre dello stesso anno "sparano" il primo colpo con la AFO che si aggiudica la medaglia d'oro nella sua categoria al Birra dell'Anno, l'anno successivo le medaglie diventano tre, sebbene d'argento, sempre a Birra dell'Anno. I motori sono accesi perchè a novembre la Verdi Imperial Stout guadagna la medaglia d'oro allo European Beer Star. E' la prima affermazione all'estero per il Birrificio del Ducato. Il 2009 è invece l'anno della New Morning: argento allo Stockolm Beer Festival e ingresso nella Top 25 Beers su due riviste statunitensi, Draft Magazine e la prestigiosa Wine Enthusiast. Il 2010 "l'esplosione": il Ducato diventa per la prima volta Birrificio dell'Anno con un oro (Black Jack Verdi Imperial Stout), due argenti (Verdi Imperial Stout e Sally Brown Baracco) e un bronzo (Sally Brown); la Viaemilia guadagna l'argento alla prestigiosa World Beer Cup e al più "giovane" International Beer Challenge gli ori sono due (Black Jack VIS e Sally Brown Baracco) più due argenti e un bronzo. L'annus mirabilis si conclude ancora una volta con lo European Beer Star e la medaglia d'oro per la Viaemilia, accompagnata sempre da due argenti e un bronzo a testimonianza che Campari è bravo un po' in tutte le categorie. E infine la cronaca di oggi: il secondo titolo consecutivo di Birrificio dell'Anno ma questo giro glorificato da una vittoria schiacciante (cinque medaglie d'oro in diverse categorie non credo si fossero mai viste prima).


Vincenti: Emanuele Aimi, Manuel Piccoli e Giovanni Campari del Birrificio del Ducato
L'elenco termina qui, almeno per ora, e sperando di non aver dimenticato nulla nella cronistoria. Ora le riflessioni: sul valore birrario complessivo di Giovanni Campari, Matteo Milan e il team non ci sono dubbi di sorta. Un conto è l'exploit, un conto sono le conferme ripetute, da parte di giurie diverse, tra competitori differenti. Appare chiaro che quelli del Ducato hanno, allo stato attuale delle cose, una marcia in più. Appare chiaro anche che gli piace competere prendendosi i rischi che questo comporta e il risultato sono immagine brillante, report giornalistici (sono contento di aver fatto per tempo un pezzo per il Gambero Rosso in uscita a marzo), vendite. Ecco, le vendite. Se i concorsi servono anche sotto questo punto di vista, e sembra proprio che lo siano, è logico aspettarsi una crescita di attenzione da parte di tutti i birrifici italiani verso questo tipo di competizioni. Il Ducato del resto non è l'unico ad aver tentato la strada dei grandi concorsi internazionali (e, a onor del vero, nemmeno l'unico a essersi tolto delle belle soddisfazioni), ma la mia idea è che gli italiani si daranno ancora più da fare sotto questo punto di vista. Sono anni che i venditori di vino girano i punti vendita con i risultati di guide e concorsi sotto braccio come prova del valore dei loro prodotti. Certo, niente può sostituire l'assaggio in diretta ma, nel mondo del vino, questi elementi hanno indiscutibilmente avuto il loro peso. E sembra proprio che ne avranno in misura sempre maggiore anche nel campo della birra...

1 commento:

michele cieol ha detto...

Che dire, Maurizio...anche all'ex-Pianeta Birra ci siamo confrontati e ancora una volta ci siamo trovati d’accordo.
Il mondo dei birrai artigianali italiani è cresciuto in fretta - circa un terzo delle aziende è sorta nell'ultimo biennio! - spesso concentrandosi primariamente sulla produzione e sulla realizzazione di un sogno, da homebrewer diventare professionista. Aspirazione legittima, sul serio, ma se non accompagnata dalla corretta impostazione commerciale, questa potrebbe diventare un'aspirazione molto, molto rischiosa.
Spero di non mancare di rispetto ad alcuno, mi auguro che nessuno si senta offeso, le mie valutazioni sono del tutto generali e senza riferimenti a specifiche persone o birrifici.
Purtroppo però non posso non notare come l'aspetto non solo commerciale in senso stretto, ma anche comunicativo viene troppo spesso trascurato. Ciò a mio avviso rappresenta un grosso limite, non solo per il singolo birrificio, ma anche per la categoria in senso lato.
Produrre ottime birre e non comunicarlo è non solo economicamente negativo, ma anche un delitto!
Conosco diversi birrai con delle potenzialità, grazie alla qualità della loro produzione, alla loro creatività, alla loro competenza e determinazione, di livello assolutamente sopra la media, purtroppo limitate dalla totale improvvisazione nel porsi sul "mercato" (ma io lo chiamerei più universalmente "mondo reale").
Qualche volta mi capita - impressione mia - che non venga data sufficientemente importanza all'aspetto economico, al saper vendere, sia la propria birra che la propria immagine, a raccontare ciò che si fa anche a un mondo non di appassionati, quasi si trattasse di un arte che debba rimanere assolutamente incompatibile con il modo di lavorare "da artigiano", anzi spesso da denigrare.
Partecipare e, magari, vincere qualche premio a un concorso e non comunicarlo al proprio universo è come possedere la bicicletta ed andare a piedi. Si va più lenti, magari ci si gode il paesaggio, se si cade ci si fa meno male, ma si rischia realmente di non riuscire ad arrivare all’obbiettivo nel tempo massimo.
L’importanza di associazioni come Unionbirrai ed eventi come ex-Pianeta Birra dovrebbe essere proprio quello di diventare veicolo comunicativo e riassunto di contenuti che riescano a far crescere e guidare anche i nuovi o i più piccoli o chi, da solo, non ha le competenze e l’esperienza sufficiente per sviluppare anche l’aspetto non produttivo del mondo birrario.
Negli ultimi 5 anni molto è cambiato, mi auguro di cuore che anche nei prossimi 5 anni molto possa cambiare, perché ritengo che il mondo birrario artigianale italiano abbia molte coincidenze con quello americano e la sua evoluzione commerciale. Sebbene con qualche lustro di ritardo, seguirne la direzione e i risultati, contestualizzati e dimensionati al nostro paese, credo sia possibile e auspicabile.

ciao
michele