Art Nouveau a Bruxelles |
Per quanto si possa diversamente immaginare, buona parte dei cosiddetti "eventi" ai quali i giornalisti "food&beverage" sono invitati si risolvono in qualche ora di noia distillata. Si salutano colleghi che non vedono l'ora di monopolizzare qualsiasi conversazione raccontando la loro brillantissima carriera (il più delle volte gonfiata ad hoc) e celebrare il loro "superomismo", si fanno gare di equilibrismo per tenere, in una sola mano, piattino, forchetta, bicchiere colmo e tovagliolino di carta, fondamentalmente si sta in piedi. Al massimo si tenta di fare due domande a qualcuno che non ha voglia di risponderti, magari uno chef pluristellato che ha appena installato lo sguardo di Maria Antonietta, quando ancora non le avevano dato la notizia che l'attendeva la ghigliottina.
Insomma, dico questo perché ogni tanto ho paura che l'esercito di futuri giornalisti, critici gastronomici, comunicatori che sta bussando alle porte del mestiere grazie alla moltiplicazione "modello conigliera" di corsi, master, contromaster, seminari e scuole per corrispondenza, non sappia bene a cosa sta andando incontro.
Copyright: Ufficio Belga per il Turismo |
Tuttavia ci sono delle eccezioni. Ieri sera, ad esempio, era una di queste. Certo, il fatto che l'ente organizzatore (l'Ufficio Belga per il Turismo - Bruxelles e Vallonia) avesse con sé una nutrita pattuglia di birre deponeva già a suo favore. Aggiungiamoci una rassegna di formaggi (ottimi quelli di Chimay), un filetto di manzo (l'autoctono vallone Blanc-Bleu), cozze, patatine fritte, praline e gaufre (le migliori mai mangiate) ed ero già nella condizione di sopportare qualunque forma di Ego in libera uscita. La serata, passata tra un sorso di Cantillon Lambic Bio, uno di Taras Boulba, uno di Rulles Triple, uno di Chimay Reserve (un sacco di sorsi, insomma) e chiacchiere simpatiche portava con sé una notizia assai interessante. Ovvero che il prossimo anno, Vallonia e Bruxelles celebreranno la gastronomia locale. Il che significa certamente birre, cozze e patatine, ma anche tutta una serie di eccellenze meno note di questa terra. Come ad esempio i boudin. Il nome gentile non deve trarre in inganno, si tratta di sanguinaccio verso il quale io ho sempre dimostrato una certa freddezza (chiamiamola così) da quando una gentile signora dello Yorkshire decise di servirmelo a colazione in proporzioni da minatore gallese. Il boudin invece ha sapore morbido e gentile, in alcune versioni (ne ho provato uno amalgamato con uvetta) è quantomeno delizioso e, insieme al prosciutto delle Ardenne, dà un valore aggiunto al viaggio in Vallonia. Perché, d'accordo che alla maggior parte di chi legge questo blog le birre bastano e avanzano, ma spesso a furia di praticare una specie di "monoteismo" alimentare si corre il rischio di diventare degli integralisti fastidiosi fino all'ilarità (altrui). Se poi del "monoteismo" si comincia anche a scriverne, il passo verso la trasformazione nell'ennesimo clone del "io so io, e voi nun siete n'cazzo" (Marchese del Grillo docet) è questione di pochi secondi...
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