"Non chiedete cosa possa fare il paese per voi: chiedete cosa potete fare voi per il paese". Ecco questa era la frase giusta, detta da John Fitzgerald Kennedy al discorso inaugurale della sua presidenza. Ora, io ho pensato di applicarla a Unionbirrai perché Google Alert mi ha fatto leggere un articolo de Il Giornale, che per inciso non leggo più dal 1994 ovvero quando Montanelli dovette abbandonare, dove veniva citata nientepopodimenoche la storica associazione di birrifici artigianali made in Italy. L'articolo è un po' lungo, e Unionbirrai è citata più per scherzo che per altro motivo, ma l'argomento non è di nessun interesse perché mette a fuoco la secolare questione delle lobby che, in Italia, ci sono sempre state ma sempre, come dire, coperte. Uno dei tanti, innumerevoli, esempi dell'ipocrisia all'italiana, del "si fa, ma non si dice".
Invece fare lobby, in altri paesi di più consolidata tradizione democratica come gli Usa, è pratica ammessa ma regolata. Soprattutto la si fa alla luce del sole. Tuttavia la mia non è una dissertazione sulle lobby, semmai una mini dissertazione su Unionbirrai che potrebbe fare di più di quello che fa. Non solo, meriterebbe di fare di più di quello che fa. L'ho pensato anche qualche giorno fa, alla serata di consegna diplomi Unionbirrai Beer Tasters allo Scott Joplin di Milano, presenti Simone Monetti, arrivato da Bologna, e l'inossidabile Marco Giannasso. Persone che hanno tutta la mia stima.
Quello che tuttavia sento è che, mentre i singoli birrifici si stanno facendo strada, chi più chi meno, nel mare magnum del mercato, l'associazione stenta a trovare un proprio ruolo da protagonista. Premetto che parlo da esterno, quindi molte cose non le conosco e ribadisco che le mie sono sensazioni, non certezze. Tuttavia trovo, ad esempio, che 300 euro l'anno d'iscrizione a UB per un birrificio siano niente, se il birrificio è avviato e di comprovato successo, appena il minimo indispensabile se si tratta di una nuova attività. Perché non si stabilisce una cifra in base agli ettolitri prodotti? Non sono un economista né un ragioniere, ma una cifra fissa mi appare ridicola soprattutto se, come sembra, UB ha sempre il budget ridotto al lumicino. La questione economica è la cartina di tornasole della volontà dei soci di far crescere UB come associazione che tutela gli interessi dei microbirrifici aderenti e promuove la cultura artigianalbirraria in generale. A meno che non si confidi sempre e comunque nel volontariato a macchia di leopardo. Volontariato che si poteva giustificare quando la birra artigianale italiana muoveva i primi passi, un po' meno oggi che i birrai, o almeno una parte di essi, godono di buona salute.
UB è una realtà storica, se definiamo storico il movimento della birra artigianale italiana, ma un po' impalpabile. Tuttavia non credo sia da imputarsi all'inefficienza dei suoi coordinatori, direttori o comunque li vogliate chiamare. Credo sia una responsabilità condivisa da tutti gli aderenti. E allora forse si dovrebbe cominciare a parlarsi chiaro: ci si crede o no? A parole, ne sono certo, sarà un coro di sì (oddio, un coro proprio unanime magari no), ma nei fatti? I fatti si misurano anche in euro, ai quali seguono i controlli di spesa e la responsabilità che deriva da qualunque rapporto di lavoro. Ribadisco, parlo da esterno, e sono pronto alle smentite. Non ho parlato con Simone di questo mio post che è frutto di una coincidenza giornalistica, di un paio di birre bevute in un pub e di qualche riflessione. Ma negli ultimi mesi ho letto e ascoltato torrenti di parole, ad alcuni ho pure dato il mio contributo, con UB a volte incensata, a volte messa sulla graticola, chi spara a zero su quelli di UB che sono entrati anche in Assobirra, chi vuole (o voleva? boh?) fare un'associazione alternativa. Parole, parole, parole. Nel frattempo, credetemi, c'è già chi è passato all'azione...
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