25 novembre 2010

New York, New York

Riprendiamo la serie di post "amerigani", che tanto bene non mi fa se penso che adesso sono in Italia, con la tappa "niuiorchese" ovvero il dovere, alias The Ginger Man, e il caso fortuito, alias l'Heartland Brewery, almeno quella che ho visto io e cioè questa qui, a due passi dal ponte di Brooklyn. Il "dovere" implicito nella visita del Ginger Man sta nel fatto che, oltre alle informazioni ottenute spizzicando qua e la, era stato Michael Jackson in persona a indicarmelo nel lontano 2001. Al termine di una serata a due in un ristorantino di Rimini e sapendo che sarei andato a fare un salto nella Grande Mela con un amico qualche giorno dopo, aveva appuntato due o tre segnalazioni raccomandate. Tuttavia, la mia prima avventura a New York si era scontrata con il fatto che ci arrivavo reduce da una fiera, al tempo era così, altamente impegnativa e in compagnia di un australiano. Un mix letale, se si immagina quanto può bere un australiano in libertà. Ergo, la prima sera ero già bello e schiantato su un bancone dalle parti del Village e il resto della tre giorni si confonde in una serie di entrate e uscite da pub e locali senza che nulla mi restasse impresso nella memoria. Così, questo giro, mi sono preparato prima: macchinetta digitale e taccuino per appunti...
The Ginger Man - New York City
Da fuori il locale non mi ha impressionato particolarmente. Ho litigato con l'insegna per cinque minuti e alla fine non sono riuscito a tirare fuori una foto decente. Penso di aver fatto meglio, senza strafare, con l'interno. Il Ginger Man ha luci crepuscolari, una stanza gigante e un bancone massiccio. L'occhio tuttavia cade sulla sfilza di spine a parete e, subito dopo, sulla carta delle disponibilità. Avvincente quanto il romanzo di J.P. Donleavy che dà il nome al pub. Un ben di dio non solo a stelle e strisce ma anche in arrivo dal Belgio, dal Regno Unito e, ebbene sì, dall'Italia. Al tempo della mia visita compariva tra le spine la 25Dodici di Birra del Borgo e oggi, sfrucugliando nel loro sito, la Vudù del Birrificio Italiano. Gli italiani del resto si fanno valere soprattutto in bottiglia: con Baladin, Ducato, Italiano, Montegioco, Barley (la BB "Dexi" però non si può guardare...), Pausa Cafè, Grado Plato, Panil e Troll. Per quanto inorgoglito, mi sono comunque ben guardato dal chiedere birra italiana e ho giocato in casa andando a scegliere solo birre autoctone. Passando da una grande soddisfazione a, addirittura, stupore ed entusiasmo... Insomma, il Ginger Man mi è rimasto dentro e anche io del resto ci sarei rimasto dentro per una settimana almeno. Ho apprezzato l'idea (diffusa negli States) di prendere quattro o cinque assaggi a prezzo convenzionato. Non mi sembra che in Italia sia una pratica diffusa. Peccato, anche se, per poterla introdurre, bisogna prima avere le birre adeguate.
Tutte birre homemade invece alla Heartland Brewery, ma tutte, almeno quelle assaggiate, una bella sorpresa.

The Heartland Brewery - New York City

Questa catena di brewpub cittadini offre innanzitutto una scelta gastronomica più interessante rispetto al Ginger Man, davvero scarna, e una linea di birre tra regular e seasonal ben fatte e molto godibili. A partire dalla Indiana Pale Ale passando per la Smiling Pumpkin Ale e per finire con la Stumpkin. Farsi un paio di pinte sui tavoli all'aperto (a ottobre si poteva ancora) intervallandole con un piatto di nachos, che sembrava un quadro di un Van Gogh impazzito del tutto, è stato corroborante. Consiglio sinceramente almeno la tappa, se non un tour di tutte e sette le brewery collocate a Manhattan (le cucine dovrebbero pure variare leggermente tra l'una e l'altra...). E adesso, scusate, ma vado a vedere le offerte di volo per la città che non dorme mai!

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