28 dicembre 2007

Montreal da bere


Sarà mai possibile? Uno fa seimila kilometri per aria, attraversa un oceano, si becca una temperatura artica da -18°, è costretto a comprarsi un berretto di lana terrificante, per poi trovarsi di fronte Teo Musso? Capirete che essendo affascinato da lui solo in termini birrari, il gioco non valeva la candela. Ma il Teo che ho incontrato a Montreal, stato del Quebec, parlava francese. Anche Teo presumo parli francese, ma questo era più basso, i capelli più lunghi e soprattutto si chiama Jean-Francois Gravel, il che depone a suo favore nel caso ci si confonda. Ma il suo brewpub, Le Dieu du Ciel! (www.dieuduciel.com) è, a mio avviso, la stella più brillante del notevolissimo firmamento birrario di Montreal. Magari farò una seconda puntata sull'argomento, ma per ora accontentatevi di sapere che in questo locale annidato in una stradina appena fuori dal centro storico, si fa per dire, della città, si fa sul serio. Dopo aver rimesso in moto la mia circolazione sanguigna e recuperato l'uso dei sensi, ho avuto la possibilità di cimentarmi nell'assaggio delle birre che erano a disposizione alla spina (in un giorno qualunque e senza essermi presentato). Ovvero 14 bicchieri, che vedete anche nella foto, tra blanche, ale, stout, bitter, american pale ale e tutta una ruota di spezie e fantasia che, appunto, mi ha ricordato il nostro celebre artigiano langarolo. Non le riporto tutte, ma solo quelle che mi hanno colpito maggiormente: ad esempio la incantevole Rosée d'hibiscus, una blanche aromatizzata con fiori d'ibisco, quelli che servono per fare il karkadè, oppure la Route des épices, un'ambrata al pepe gradevolmente percepibile sulla lingua e poi al palato non appena deglutita. E ancora ho trovato eccellente la Vaisseau des songes, una India pale ale spillata a pompa rigenerante e da bere senza limiti (anche perché noi si girava a piedi!) e la Blanche du Paradis dalle note di agrumi dolci e un finale delicatamente speziato. Un gradino sotto, ma siamo sul soggettivo, la Rigor Mortis, brune d'abbazia con note di frutta esotica (datteri e fichi) che all'inizio t'inganna con la sua bevibilità poi, dopo qualche minuto, ti stende. E a pensarci anche il vero rigor mortis arriva dopo qualche tempo... E infine la Charbonnière, ale ambrata fumée, molto particolare e forse solo leggermente sbilanciata, appunto, sul fumée; la Corne du Diable, apa pungente e secca; la Paienne, una ale chiara ben equilibrata, e la Déesse Nocturne, una stout morbida che si potrebbe bere anche a colazione... in abbinamento ai Gran Turchese!

10 dicembre 2007

Perché?


Ogni giorno mi frullano nella testa delle domande, a volte mi sembra intelligenti a volte idiote, alle quali comunque non so dare risposta. Arrovellandomi sull'interrogativo ho pensato di dare loro libero sfogo pubblicandole in questa che vorrei fosse una nuova minirubrica. Le domande sono di varia umanità, non necessariamente legate al mondo della birra, del vino o della gastronomia, ma semplici punti interrogativi ai quali, magari, qualcuno vorrà dare risposta. Ecco allora il primo quesito.


Perché in Italia è così forte e affermato il "principio dell'ereditarietà" ovvero perché nel nostro Paese così tanti fanno lo stesso mestiere dei padri o dei nonni?

9 dicembre 2007

Cavalcare l'onda


Immersione in apnea come nemmeno Maiorca in quel dell'Artigiano in Fiera a Milano. Bellissime scene bibliche da attraversamento del Mar Rosso, full contact in senso buono con migliaia di persone annaspanti e acquirenti, tentazione di mettersi a "pogare" per vedere, come direbbe Jannacci, l'effetto che fa. Campionati del mondo di assaggio gratuito in onda come un reality show. Imperdibile, come esperienza sociologica e dal punto di vista della psicologia delle masse. Ma anche sotto il profilo birrario, ovviamente se no che scrivo a fare... Nel "big bang" consumistico meneghino un pensiero affiora in superficie come una bolla d'aria, appunto, di Maiorca: ma quanti italiani si sono messi a fare birra "artigianale" negli ultimi due anni? Tanti, forse troppi. Vabbé che lo sport nazionale sul suolo patrio non è il calcio ma la "salita sul carro del vincitore", ma qui si sta esagerando. Anche perché se mi fai una birra doppio malto, di stile trappista, a bassa fermentazione; forse non hai proprio inquadrato bene l'argomento... Ma la proliferazione è il segno evidente che la birra artigianale tira, per quanto ancora magari non si sa, ma come qualche anno fa tutti aprivano pub irlandesi senza nemmeno aver messo piede a Dublino o senza saper distinguere una stout da una lager, oggi vai di produzione faidaté che, in qualche caso, dovrebbe anche rimanere legata al consumo "faidaté". Mi consolo pensando a due incontri casuali e fortunosi nel grande sabba: il primo con l'Orso Verde alias Cesare che mi ha proposto la sua Rebelde, una ale che per la grafica penso piacerebbe molto al subcomandante Marcos o ai compagni di Sendero Luminoso, ma che a me è piaciuta più semplicemente per il suo corpo notevole garantito però da un grande equilibrio e aromaticità. Credo una strong ale davvero interessante che ti affascina per i profumi e poi ti schiaffeggia, con simpatia, con la sua tempra. Consolatorio anche lo step dal Vecchio Birraio, storico brewpub veneto che continua a convincere con la sua profumata e dissetante Sausa pils, ideale per sconfiggere la calura amazzonica provata in fiera. Insomma, due soste rinfrancanti anche in senso psicologico. Perché il problema, quando le onde si ingrossano e si moltiplicano, non è riuscire a cavalcarle tutte, ma solo saper selezionare e scegliere l'onda giusta...

5 dicembre 2007

Ben Hur a Lurago Marinone


Sì, il paragone mi sembra più che giustificato. Altre pellicole hanno vinto tanto nella notte degli Oscar, ma accostare Agostino Arioli a Gandhi (mi sembra un buon ragazzo, ma non così buono...) o al Titanic (di certo non gli auguro di affondare...), non mi sembrava davvero il caso. Meglio dunque, il Ben Hur mascellare e driver di quadriga interpretato da Charlton Heston. Perché Agostino, novello Ben Hur, ha impresso le mani e il volto sull'ultima edizione del Campionato dedicato alle birre artigianali firmato da Unionbirrai. Cinque targhe al merito più, quella di maggior valore, di birreria dell'anno sono un risultato che premia a mio avviso non solo una selezione vincente di birre portate all'occhio, al naso e al palato della giuria, ma anche una figura di primo piano del panorama artigianale italiano. Magari low profile, a volte persino un po' troppo secondo i parametri della stampa, Agostino è persona vera, che sa trasferire passione autentica per il lavoro che ha scelto di fare, in tempi in cui un birraio artigianale si doveva chiedere se sarebbe durato un anno o giù di lì. Testardo nelle sue convinzioni, come tutti quelli che hanno del talento, impareggiabile a farti venir voglia di bere una birra semplicemente vedendo la sua faccia quando si prende il primo sorso di Tipopils, tecnico e professionale come pochi. Quando qualche collega cerca di farmi ammettere che i birrai artigianali sono tutti un po' poeti e un po' ribelli (tanto per addolcire la pillola...) o mi metto ad argomentare punto su punto o, più semplicemente, gli dico di andare a parlare con Ago. Forse nemmeno lui è consapevole di quanto positiva sia la sua persona per l'intero movimento e di quanto bene faccia all'esterno il suo raziocinio, la sua cura maniacale per gli ingredienti e la sua filosofia di lavoro. Ai quali però si deve aggiungere una gran bella dose di creatività. Già perché di Ago si rischia di parlare troppo spesso della sua bravura tecnica, verità incontrovertibile, e troppo poco della sua fantasia che l'ha portato, per primo in Italia, a fare una birra "champagne" come la Cassisona, una milk stout, oggi purtroppo scomparsa, come la Coffee Break, o una real ale alla cannella. Lato della sua personalità, e lo dico anche a me stesso, che sarebbe bene tener maggiormente presente... Per ora, Ago Ben Hur, goditi tutti i meritati successi di quest'anno e continua a fare le "facce del primo sorso" che ti vengono così bene...