28 dicembre 2010

L'anno che verrà

Si chiude un 2010 difficile e si apre un 2011 non facile. Già questo dovrebbe far riflettere un po' tutti sul fatto che, anche in termini birrari, ci sarà da stringere la cinghia e ci si dovrà aspettare che la selezione sui birrifici e sulle birre da loro prodotte aumenterà. Non che il mercato sia saturo, questo non lo credo, ma i "pesci" abboccheranno con minore facilità. Non tutto ciò che è artigianale è buono  e pure la parola "artigianale" sta un po' rompendo le scatole visto che tutti, o quasi, se ne sono appropriati senza colpo ferire. Ergo prevedo che la birra artigianale avrà qualche sofferenza in più rispetto al passato, soprattutto l'avrà chi è convinto che questo settore sia ancora così fertile per le start up. I segnali preoccupanti arrivano sui prezzi, certo, della birra artigianale italiana ma pure sul pressapochismo di alcuni produttori. E nel frattempo scendono in campo i "pezzi da novanta" che, ovviamente, fanno il loro mestiere. Fanno accordi con le mele migliori del cesto, acquisiscono quote, si preparano insomma al futuro che sarà meno Far West di quello di oggi e un po' più Nuova Frontiera. Qualche giorno fa ho letto di un distributore di Bergamo che sta per lanciare sul mercato la sua birra artigianale: l'anno chiamata Cuvèe Millesimata. Nome da "notte degli Oscar" ma è una birra chiara venduta a prezzo competitivo perché, come ammette il titolare nell'intervista, "non possiamo costare sempre più degli altri". Sintomatico, a mio avviso. Così come sono sintomatici i rumors che danno per operativo dal primo gennaio un accordo tra un big player della distribuzione e uno storico commerciante bolognese di beverage (birre incluse). E così si nota, sul web, che il leggendario Teku, il calice risolutivo per la degustazione della birra, è finito nelle confezioni natalizie di Birra Moretti Grand Cru. Insomma, ogni tanto ho idea che il mondo della birra artigianale italiana assomigli un po' a quelle scene dove le carovane sono strette a cerchio per resistere all'attacco degli indiani. Una politica che potrebbe pure avere successo ma che comporta l'immobilismo.


Just a decent pint of beer

Questo il mercato prossimo futuro e mentre il mercato cambia e si trasforma, le associazioni (forse) si moltiplicano, gli appassionati di nicchia si arrampicano sempre di più sulle specialità da "fuori di testa" e le lotte di quartiere, come l'esilarante querelle di Ratebeer sui voti ai locali italiani letta sul forum di Mobi, mi portano a pensare che la bussola possa definitivamente impazzire. Che la cosa riguardi i consumatori, o un certo tipo di consumatori, poco importa, ma se questo avvolgesse anche i produttori e i titolari dei punti vendita potrebbe essere catastrofico. Il fatto è che la rivoluzione artigianale italiana è una fiamma che brucia impetuosamente. Nel giro di pochi anni sembra che da bevitori di Beck's e Corona ci siamo tutti trasformati in esteti del luppolo, vivisezionatori del lievito, ricercatori del vintage o della barrique o di quello che vi pare. Purtroppo, la massa del mercato è ancora su Beck's e Corona e avvicinarla con il gusto di certe birre, anche italiane, mi sembra un po' complicato. Comunque continuiamo così: sbraitiamo e litighiamo, nella costante ricerca dell'iperbole sia essa lessicale o birraria e, spesso, cadendo in contraddizione pure con noi stessi. Come credo di aver già scritto, siamo a metà strada tra il primo amore stile Il Tempo delle Mele e lo stato di permanente belligeranza alla ragazzi della Via Paal. Ma, io credo, questo non è uno stato permanente, che può insomma durare per sempre. Prima o poi la gente cresce, si stufa, trova altre cose di cui appassionarsi o sulle quali litigare. Ripeto, gli amanti della birra non corrono nessun rischio. I cosiddetti operatori sì.

22 dicembre 2010

Unionbirrai: la riunione vista da Claudio Cerullo

Visto che questa è la seconda volta che cedo il ruolo di scrivente a Claudio Cerullo ci tengo a sottolineare che tra noi non ci sono intese di alcun tipo. Non ci sono conflitti di interesse: non mi regala la birra e io non gli faccio da ufficio stampa. Meglio precisare, non si sa mai... Trovo i suoi interventi stimolanti e d'attualità e se qualcuno volesse replicare, ben venga. Il momento del resto è evidentemente particolare: UB alla svolta, l'annunciata nascita di una nuova associazione, birrifici indipendenti e birrifici meno indipendenti di una volta, big players che si avvicinano nell'ombra (ma mica tanto). Insomma, molta carne al fuoco per un 2011 che si preannuncia davvero interessante. Ma ne riparleremo. Adesso, tocca a Claudio....
M.M.

IL MONDO CHE VORREI

Chi sarà così benevolo da mettersi a leggere, sappia che la lettura solo di alcune parti potrebbe essere fuorviante, per cui o legge tutto o cerca un momento più idoneo. In ogni caso grazie di cuore per il tentativo.
Venerdì, come precedentemente annunciato in questo spazio gentilmente concessomi da Maurizio, ho partecipato alla riunione Unionbirrai. Per la cronaca non era la prima riunione a cui andavo e devo dire che si è parlato in modo più costruttivo e leale di altre volte.
Pur non essendo abituato a riunioni gremitissime (segno che qualche problema di qualsiasi natura esso sia, esiste, nel legame anche con gli stessi associati) ho trovato persone in buona forma, per cui credo che chi dice che Unionbirrai agonizza e presto passerà a miglior vita, sottovaluta l'ambiente. Ci sono idee, strategie e progetti. Purtroppo (e non per demeriti di Simone, ma per com'è nata la cosa) manca una gestione manageriale moderna, fatta di obiettivi, definiti, dichiarati e misurabili, di strategie e tattiche comunicate agli Associati.
Al di là delle mail informative, che arrivano o non arrivano, manca una modalità di rapporto con l'associato più stretta e personale. In una lettera a Simone di un anno fa, proponevo un assetto macroregionale per ovviare a questa grave lacuna, che poi di fatto crea una sensazione diffusa di aver pagato un obolo per essere su un sito e per partecipare ad un concorso, (come se avessi messo un banner su un sito birrario) piuttosto che aver creato e di sostenere attivamente qualcosa di comune e di utile. Da qui probabilmente un certo assenteismo e disinteresse da parte dei "sottoscrittori". Unionbirrai viene da molti vista come troppo Lombardocentrica.
Detto questo, per evitare di scrivere i soliti 5-6 soliti tomi, andiamo al dunque: cos'è Unionbirrai? Da ciò che ho capito e se sbaglio correggetemi, è un'associazione allargata a diversi soggetti (professionali e non), che ha a cuore lo sviluppo della birra artigianale. Come si può sviluppare questa bevanda? Attraverso la promozione e la formazione sia del birraio che dell'esercente e del consumatore. Visto che comunque l'anello più debole della catena è il birrificio, senza il quale non ci sarebbe più birra artigianale, il 50% del direttivo è costituito dai produttori e si cerca di tutelarne l'esistenza, attraverso accordi con CNA o partecipazione ad es. ai tavoli delle accise, per evitare che il mercato crei delle forzature che rendano impossibile la vita dei microproduttori in senso generale. Ma di fatto la formazione attraverso corsi di degustazione e corsi di imprenditoria birraria o come i futuri corsi ASCOM etc. sono le attività fondamentali.
Uno dei punti dell'assemblea era la variazione sullo statuto della tipologia di socio, per permettere l'ingresso di distributori e publican, in modo da creare un tavolo interno e delle attività esterne che allarghino la conoscenza del mondo birrario artigianale.
A mio avviso questo può essere utile, a patto che ciò sia gestito managerialmente, se corroborato da un ufficio stampa adeguato, se supportato da un panel di esperti nazionale ed internazionale, che elaborino contenuti facilmente fruibili, se aperto a tutti coloro che, da associati, alzino la mano per dare un contributo.
Per inciso, chi da associato professionale critica Unionbirrai dicendo che non fanno nulla, o che sono troppo Lumbard, sappia che ci sono 3 posti nel direttivo disponibili (su 4 totali) e che quindi proponendosi può… "provare per credere". Chi critica perché tanto è facile, divertente e distruttivo, sappia che non è un atteggiamento costruttivo da comunità associativa.

Fin qui uno spot sul nuovo corso di Unionbirrai? No, una presa visione qui riassunta, e in attesa di eventuali smentite o integrazioni.
Veniamo adesso alle considerazioni personali, spero costruttive.

a) Formazione
Ovviamente non ci si inventa formatori, sappiamo tutti da esperienze scolastiche che non sempre saperne vuol dire saper trasmettere la conoscenza. Se questo è il focus per UB, per garantire la massima qualità occorre che vengano predisposti dei piani di offerta formativa certificati da chi vive facendo formazione, (se no, chi forma i formatori, non solo sui contenuti, ma anche sulle tecniche per far apprendere i concetti espressi?). Unionbirrai ha fatto molto e spesso si è affidata a relatori del mondo Universitario, ma questo deve essere uno stimolo a crescere ed organizzarsi. (Nota: Sarebbe auspicabile, specie per la formazione degli aspiranti birrai, confermare un panel di docenti "esterni" ai microbirrifici associati (seppur con difficoltà varie, dalla disponibilità alla lingua) per garantire univocità ed imparzialità e non far sentire come esclusi molti altri associati).
In definitiva ogni "mission" ha una sua peculiare organizzazione, se la formazione è la mission principale, la struttura deve essere ottimizzata e certificata allo scopo. Questo chiaramente vale per tutti coloro che da domani abbiano la volontà di fare i formatori in qualsiasi settore

b) Comunicazione
Unionbirrai non si è mai distinta per velocità e strategia comunicativa. Purtroppo oggi serve un organismo che comunichi e che dica le cose come stanno, contrastando chi parla a nome di tutti, non preoccupandosi delle ricadute che certe parole possono avere per tutti, anzi a volte sfruttando la divisione esistente. Un esempio concreto che ho fatto in riunione è stata la conferenza a Prato per Eccellenza Birra. Il relatore che parlava a nome dei birrai ha detto che tra un anno sarebbero rimasti più o meno 12 birrifici, in quanto gli altri non avrebbero potuto sopravvivere in un regime di calo dei prezzi. La cosa è finita sui giornali e mi ha chiamato un operatore finanziario per sapere se la previsione era realistica, visto che molti birrifici hanno impegni finanziari per periodi maggiori di un anno. E' solo un esempio, ma credo che possa mostrare quanto la comunicazione possa influenzare molte cose, compreso l'accesso al credito! Comunicare costa e drena le poche risorse dell'associazione. Però è importante ed utile, non solo a scopo difensivo, ma maggiormente a livello propositivo e di sviluppo del settore

c) Volontariato
E' ovvio che un proposito culturale consente di reclutare più volontari rispetto a propositi meno nobili. In UB i volontari hanno fatto molto ed a loro va un grande encomio. Ma la crescita dal punto manageriale obbliga a far ricorso a persone che abbiano capacità ed esperienze, che si facciano carico degli obiettivi e lavorino incessantemente per raggiungerli. I volontari possono avere competenze utili, ma non possono lavorare stabilmente e soprattutto portare a termine incarichi nei tempi giusti. Il volontariato va incanalato su attività anche importanti, ma di breve respiro. Ed un'associazione come UB non può lavorare solo su progetti di breve respiro, almeno non più, nell'attuale mercato, con gli attuali player. Deve avere un piano di sviluppo a 5 anni.
Non voglio sminuire l'operato di tanti pro e non, che negli anni si sono prodigati, ai quali deve essere fatto un plauso da parte di tutti. Vorrei dare dei suggerimenti per il presente o meglio per l'immediato futuro.

c) Tutela di gruppi ristretti
In un tavolo di lavoro così ampio e variegato, ci possono essere minoranze da tutelare? E la tutela di queste minoranze può essere a danno di altre minoranze rappresentate all'interno dell'associazione? Un esempio attuale: posso tutelare un microbirrificio dall'azione di un distributore che importa "birra artigianale" dall'estero a basso prezzo? O dalla concorrenza sleale di microbirrifici agricoli che potrebbero avere agevolazioni fiscali, magazzini e prezzi delle materie prime agevolati, una rete di vendita già su scala nazionale o internazionale? Agostino Arioli e Giovanni Campari (per citarne 2 che rappresentano 2 fasi distinte della vita di UB) sono le nostre glorie birrarie, sono conosciuti in tutto il mondo e ragionano come il mondo, ossia "craft beer" nel senso di sostegno alla birra artigianale attraverso il sostegno dei microbirrifici locali. Per questo la loro "visione" è così allargata. Ma purtroppo per noi la realtà è dei microbirrifici di paese che cercano di campare con una popolazione di 10 mila anime, di cui il 30% disoccupati, di un mercato che d'inverno non ti paga neppure l'affitto del capannone e non di realtà strutturate. Non si può non avere a cuore la loro esistenza ed il loro sviluppo.
Si è detto su molti siti web che ci sono dei microbirrifici "carbonari" nel senso che si sono incontrati per verificare se hanno bisogni comuni, quanto tali bisogni siano forti e pressanti e se è necessario costruire qualcosa insieme per la tutela degli stessi, che più che carbonai definirei indipendenti. A costoro sarebbe molto utile un organismo in grado di tutelare il proprio operato e la propria sopravvivenza in un contesto di possibile concorrenza sleale (che si è creata o potrebbe crearsi). Serve una tutela nei confronti di chi dice che la maggior parte delle birre inglesi o belghe sono artigianali, da chi fa un brewpub con un impianto da 50 litri e poi vende tutt'altre birre e da altre mille storture di mercato che possono esistere. Serve una regia per massimizzare e sfruttare certe opportunità. Questo Unionbirrai non può farlo, in quanto da propria "mission" raduna con potere di voto ogni birrificio che faccia birra non pastorizzata, indipendente e non, agricolo, rurale e non.
Serve dunque ai microbirrifici indipendenti, una cellula associativa, un microuniverso rispetto a quello Unionbirrai, perché non tutti i produttori sono uguali e non hanno le stesse problematiche (al di là dei grandi temi comuni).
Potrà non essere l'unica, nel senso che un domani potrebbe formarsi come cellula indipendente l'associazione dei birrifici agricoli e rurali o delle cantine sociali o il club dei birrifici VIP che producono o fatturano oltre una certa soglia. Tutto ciò è assolutamente legittimo e non potrà essere essere direttamente Unionbirrai (che come detto, oggi è un'altra cosa, a meno di non tentarne una scalata e sconvolgere tutto).
Qualcuno potrebbe dire: ma se allarghiamo insieme il mercato, c'è spazio per tutti, senza dover creare nulla di nuovo, lasciando lo status quo. Chi ha interesse a questo si associ ad UB, collabori alla vita associativa, senza pensare a creare barriere e distinzioni.
Sarebbe bello, ma purtroppo questa è una visione giusta per un arco temporale come quello delle fasi da pionieri, in cui i problemi ed i mezzi erano gli stessi per tutti così come le capacità di investimento.
Con questa crisi dilagante, in un mercato in crescita, ma ancora poco strutturato come quello della Birra Artigianale, dove è quanto mai attiva la legge di Pareto (che dice che il 20% degli operatori fanno l'80% del mercato) e dove questo ha già stimolato gli appetiti di mercati in decremento (vini, prosecco etc.), potrebbe portare all'ingresso o alla strutturazione di gruppi industriali che con pochi mezzi (in senso assoluto, ma molto superiori a quanto possibile per un microbirrificio di medio livello), acquisiscano una posizione dominante nel mercato artigianale. Per UB questo non è importante, nel senso che se viene prodotta birra in conformità all'allegato A, non ci sono problemi, avrà sempre l'appoggio dell'associazione e si tratterà di un semplice assestamento del mercato. Però avere un mercato dominato da logiche prettamente affaristiche, di sinergie distributive e commerciali più che di passione nel produrre una birra buona e genuina, non porterà frutti né ai consumatori né ai distributori o publican. Si ritornerà ad una selezione ristretta di birre non pastorizzate, fotocopia di ciò che il consumatore medio chiede, senza più fantasia, passione ed inventiva, tipica dei piccoli produttori indipendenti. Io fossi il direttivo di UB mi interrogherei se i professional che fanno parte del 50% dell'assemblea dovrebbero essere semplicemente i produttori o più nello specifico i birrifici indipendenti, più vicini allo spirito iniziale e con maggior passione e determinazione a fare un certo tipo di birra?
Volendo chiudere, stringo: UB ha scelto di proseguire la stessa via tracciata dai fondatori, consapevole che il problema principale è la crescita del mercato. Con qualche modifica strutturale e qualche certificazione si riuscirà nell'intento. Ma poi di questo mercato, cosa andrà a chi ha creduto ed investito con passione nel settore?
Chiedo pertanto ai soci UB:
Non è il caso che UB collabori con i produttori indipendenti portando un'esperienza, un marchio comunque riconosciuto e delle progettualità in tutte quelle aree in cui ci possano essere delle sinergie? Ma soprattutto accetti la nascita di queste cellule senza ostilità e condizionamenti, senza gridare a lesa maestà o a separatismo, ma accettando e collaborando con chi ha comunque a cuore la Birra Artigianale?
Chiedo a chi era alla riunione carbonara di Fidenza:
Non è il caso che chi ha necessità e bisogni specifici, come gli indipendenti, esprimano le proprie istanze in un meeting di confronto con UB e restino comunque in un'area di collaborazione con chi ha portato avanti il movimento per diversi anni e si cerchi assieme di trovare il maggior numero di punti di contatto e di sviluppo comune?
In Italia ciò è molto difficile. siamo molto individualisti, gelosi, ambiziosi, ma alimentare divisioni, creare barriere statutarie, che impediscano ad un indipendente di associarsi ad UB oppure ad Unionbirrai di sbattere fuori gli indipendenti porterà solo fenomeni distruttivi del settore.
E' ora invece di spronare la collaborazione tra tutti gli attori, UB, Mobi, ADB e chiunque abbia a cuore la Birra Artigianale, comprese realtà in possibile divenire, serve un grande festival comune per trovare fondi, serve una grande piattaforma di formazione degli esercenti e della popolazione, servono seminari e stage per birrai, servono spot televisivi, comunicati stampa, occasioni in cui raccontare le proprie birre, specie quelle di nicchia e non solo per vantare le grandi operazioni commerciali o markettare. Servono teste, iscrizioni e soldi per un grande piano comune.
Se qualche giorno fa volevo salvare Unionbirrai, oggi sono ancor più motivato a stimolare tutto l'ambiente per creare attraverso opportune sinergie, del valori condivisi e tangibili, che facciano veramente il bene del movimento birrario artigianale italiano, attraverso il coinvolgimento di UB e di tutti gli altri attori.
Sogno un "Monte Rushmore" con le effigi di Kuaska, Monetti, Giacu, Faraggi, Bertinotti, Polli e Carilli, a memoria di una grande collaborazione ed un grande risultato non del singolo, ma della birra artigianale italiana.
Claudio Cerullo

20 dicembre 2010

Anteprima: Theresianer Coffee Stout

Non mi capita tutti i giorni di fare un assaggio in anteprima assoluta. Quando arriva, ben venga. Questa volta l'occasione mi è capitata grazie all'amicizia con Tullio Zangrando, una delle persone più competenti e affabili che conosco nel gran circo della birra italiana, consulente da qualche anno a questa parte di Theresianer, l'azienda di Martino Zanetti (più noto al grande pubblico come Mr. Hausbrandt), nella quale Christian Romano svolge il ruolo di mastro birraio. L'anteprima è allora il debutto non ufficiale della prima Coffee Stout mai realizzata da un'azienda italiana (tra quelle medie e grandi), una birra che avevo anche io suggerito con cautela allo stesso Zangrando un paio d'anni fa e che mi sembrava quasi obbligatoria considerato i due campi d'azione di Zanetti. La birra e il caffè appunto. Ora la birra è pronta, una piccola quantità prodotta su scala

Dal caffè...
pilota, rifermentata in un serbatoietto ma non filtrata, pensata, riportando le parole di Zangrando "attenendoci ai canoni "classici" delle stout, puntando sulla leggerezza e sull'amaro". La Coffee Stout, nome ancora non definitivo, è annunciata sul mercato per il prossimo anno e si presume che, anche nella sua versione definitiva, sarà non filtrata. Versata nel bicchiere ha un bel colore mogano, con dei riflessi rubino se lo si avvicina a una fonte di luce diretta. La schiuma è abbastanza persistente, colore nocciola o caffelatte, ma fine e compatta.

...alla birra.
L'aroma è senza dubbio l'aspetto che mi ha intrigato maggiormente. D'accordo, la nota di caffè è evidente e dominante, ma pulita, non invasiva o esagerata. A seguire si avvertono tutte le declinazioni "caffettose": cappuccino, pocket coffee. Perchè, dopo qualche secondo, si sente anche il profumo del cioccolato al latte, una nota di biscotto e, a mio avviso, un cenno che ricorda il crème caramel. Belle sensazioni. Confermate anche all'assaggio quando la birra rivela la sua, effettiva, leggerezza e bevibilità (4,8% vol e 20 Ibu) lasciando alla fine un piacevole gusto di torrefatto e di amaro molto netto. Insomma, è una birra che mi è piaciuta molto e che a mio parere fotografa l'attenzione di una realtà aziendale non piccola verso le birre "originali" e caratterizzate. Non credo sia un'anticipazione di una svolta epocale, forse solo un segno dei tempi che, come cantava Bob Dylan, stanno cambiando. O, per lo meno, a me piace pensarla così... 

16 dicembre 2010

Gardini, la birra e i video

Nella solita frenesia lavorativa che raggiungo alla fine dell'anno (ho il sospetto che molti si aspettino la fine del mondo ogni dannato 31 dicembre) ho inserito una veloce intervista al neo campione del mondo dei sommelier Luca Gardini. Argomento, ovviamente, il ruolo delle birre nel ristorante, le loro potenzialità, il loro reale interesse da parte di chi fa la cantina e lavora in sala e la "risposta" dei consumatori. Va detto che, pur conoscendo da anni Luca, avevo nei giorni precedenti avuto modo di vedere il video realizzato da Paolo Polli nel suo blog omonimo nel corso della fatidica presentazione della Guida dell'Espresso Le Tavole della Birra. Ergo, qualche perplessità covava nella mia mente. Ma di Luca, che non ha certamente bisogno di nessuna difesa da parte mia, conoscevo anche l'adrenalinica vitalità, la curiosità verso qualunque cosa si possa bere e la mostruosa capacità di concentrazione, durante il lavoro e i concorsi, unita a una sana e giovanile propensione al cazzeggio quando invece si trova in fase di, chiamiamolo così, relax. E allora, il difensore delle "rosse" in realtà ha dimostrato una buona conoscenza sul prodotto birra, ha ammesso che tutto il suo curriculum è tuttavia centrato sul vino (come la quasi totalità dei sommelier Ais) e ha mostrato, con una mia malcelata invidia, le birre che sta assaggiando in questi giorni. Lista preziosa dove appariva la Xyayu di Le Baladin, la Simcoe Single Hop Ipa di Mikkeller, la Hemel & Aarde di De Molen e altre amenità non proprio da Bar Sport. Il ragazzo, ha ventinove anni, insomma ha forse qualche conoscenza in più rispetto alle "rosse".

Luca Gardini
Con questo non sto dicendo che sia completamente d'accordo con la scelta del premio "Abbinamento" a Carlo Cracco. Da una guida sulla Tavole della Birra mi sarei aspettato più coraggio e meno "copiaincolla", tuttavia è vero che, a livello di grande ristorazione, Cracco e Gardini hanno cominciato a pensare alla birra prima di molti altri. E prima della moda che, chissà poi per quanto, sta adesso galoppando. Quindi a loro va dato qualche merito anche perché, a proposito della moda, Gardini ha ammesso che, se non la si salvaguarda, è fragile. Ovvero passeggera. Un po' come i rosati che, a lungo evitati da gourmet e psuedogourmet, sono improvvisamente ritornati in auge per, dopo qualche anno, riassestarsi nel loro consueto angolino (bollicine a parte). Allora il punto non è farsi qualche allegra risata per delle castronerie dette in un video, il punto è capire come fare a intrecciare un rapporto organico con il mondo della ristorazione. Che non vuol dire solo Cracco, Bottura, Cedroni e il resto dei "galacticos", ma tutta la ristorazione italiana. Decine di migliaia di tavole da avvicinare e, possibilmente, "colonizzare". Mica con tutte le birre immaginabili, solo individuando quelle più "acconce" a quel mondo. Che è importante sotto tutti i punti di vista: economico-commerciale, ovviamente, ma anche in termini di immagine e di diffusione del Verbo tra un target che, spesso e volentieri, non metterebbe piede in pub e birrerie.

10 dicembre 2010

Unionbirrai: la posizione di Claudio Cerullo

Le righe che seguono dovevano essere un commento al mio post "Unionbirrai: ripartire o perire". Ma considerato l'autore, Claudio Cerullo di Birra Amiata, e le cose che scrive ho deciso, dopo aver avuto il suo "via libera", di farne un post specifico. E' la prima volta che su questo blog succede. Se ci saranno validi motivi, non sarà l'ultima. E' ovviamente una questione di visibilità ma anche di maggior disponibilità alla discussione...
M.M.

Concordo sul fatto che la birra artigianale italiana è come un ragazzo cresciuto in fretta, preda di amori, idoli e passioni sempre diverse e talvolta l'una in contrasto con l'altra. E' il momento di fare chiarezza, ordine, di passare da un idea del birraio meno bohemienne, genio e sregolatezza e più con idee chiare, obiettivi specifici ed una strategia reale e lineare. Come dici giustamente, che uno scelga con chiarezza che birra vuol fare e per quale segmento.
Questo non vuol dire che le immagini sognanti di birrai che attraversano campi di orzo verranno sostituite da immagini impersonali di business, ma significherà il passaggio a qualcosa di più strutturato, ad una seconda generazione, come è già avvenuto in altri settori artigianali.
Per fare questo occorre che gli artigiani con un DNA comune si uniscano non in Assobirra, la casa degli industriali, ma sotto un tetto costruito su misura per i loro bisogni e cerchino di crescere essi stessi al loro interno e che diano un contributo alla crescita del settore, magari collaborando con altre realtà su obiettivi comuni. Questo il mio pensiero. Peccato per Unionbirrai, ma chi vuol dare chances a chi non ha mai scelto da che parte stare? Dopo l'ingresso in Assobirra c'è stata una mobilitazione di molti (me compreso) per spingere UB a posizioni più critiche, ma senza successo. Pensa che sono associato dal 2006 e nell'ultima newsletter non si cita la mia birra di Natale, mentre però si citano altre di birrifici non associati...ma fosse solo questo. Nessuno mi aveva informato dell'ingresso di Lelio, o del presidente UB e ad una settimana dall'assemblea non ho ancora potuto leggere le modifiche allo statuto che si vorrebbero apportare. Simone è un amico ed ha tutta la mia stima, ma si è trovato a lavorare nelle sabbie mobili delle decisioni non prese e dei fondi insufficienti. Nelle aziende si dice che è più semplice partorire un altro bambino che resuscitare un morto, in pratica è più facile fare una nuova associazione che resuscitarne una che ormai brancola nell'asfissia.


Claudio Cerullo - Birra Amiata

Però proprio per il fatto che ho versato quote dal 2006, che ho nell’etichetta il logo Unionbirrai, per il fatto che ci siano dei soci benemeriti a vita, per il volontariato, per il sentore dei padri fondatori, che ancora si percepisce, per il nome, benché usato anche per personalismi anziché solo ed esclusivamente per il bene comune, noto a molti operatori internazionali, mi dispiacerebbe veder perire Unionbirrai, anche perché credo che possa essere ancora utile. Infatti gli artigiani possono darsi regole e servizi di utilità quotidiana, però necessitano di partner credibili ed organizzati nell'opera di formazione non tanto e non solo dei consumatori, ma anche degli operatori (esercenti, camerieri, barman etc.) che poi dovranno spiegare e far conoscere i prodotti da loro selezionati ai clienti. Credo che dopo la migrazione di molti HB su Mobi ed il possibile travaso di molti birrai, l’ultimo treno, seppur onorevolissimo (e comunque la storia già oggi gli riconosce questa attività), possa essere quello della formazione, della creazione di una cultura birraria, non solo ristretta alla degustazione fine a se stessa, ma alla conoscenza degli stili e delle origini, dei possibili abbinamenti in cucina, del bere responsabile, e perché no, della storia del movimento in Italia. Per far questo anche qui servono piani, obiettivi, fondi, mandati. Non si può candidarsi senza avere i requisiti. Io sarò all’assemblea, nella speranza che si possa lavorare per creare una struttura utile e propositiva per la formazione, che veda persone retribuite e volontari lavorare fianco a fianco per organizzare qualcosa di serio ed importante, ma soprattutto visibile all’esterno dai media e dai consumatori. Questa a mio modesto parere è la strada, il senso di marcia da percorrere, per evitare che UB muoia o che sia strumentalizzata da qualcun altro che potrebbe volerla usare per distruggere ciò che potrebbe nascere e non per far crescere il movimento come necessiterebbe.
Claudio Cerullo

8 dicembre 2010

Remember Hawaii

In una giornata paciosa, benché gelida, come quella odierna la mia mente vola alle Hawaii e il mio cuore si strugge. Dopo questo attacco da libro Cuore (sic) proseguo segnalando a chiunque avesse l'opportunità di sciropparsi un numero notevole di ore di volo (ma da San Francisco sono solo cinque) la possibilità di godere delle favolose birre della Kona Brewing Company a Ohau, l'isola principale dell'arcipelago. Quella, tanto per intendersi, con Honolulu, la spiaggia di Waikiki e Pearl Harbour. E' qui infatti che, seminascosto in un'area commerciale, si trova il secondo flagship pub del birrificio hawaiiano più celebre. Solo birre Kona
L'insegna a Koko Marina
alla spina, e qualche referenza disponibile anche in bottiglia, ovviamente e una cucina che mescola cibo da pub con contaminazioni isolane. Come spesso accade negli Usa, la scelta migliore è quella di avventurarsi nel cosiddetto "sample", bicchierini monodose che permettono di fare un giro quasi completo di tutte o quasi le etichette. D'accordo, è più triste che avere una pinta in mano ma si rischia meno all'uscita e quando ci si rimette in auto. Complessivamente va detto che quelli di Kona sanno il loro mestiere, nel senso che tutte le loro birre sono più che corrette con punte di notevole interesse soprattutto per le specialità "creative"....
Il "sampler"
Dalla Longboard Island Lager, luppolata ma equilibratissima lager da bere a qualsiasi ora della giornata, alla Fire Rock Pale Ale, una delle migliori a mio avviso, passando per, appunto, le più caratterizzate Wailua Wheat, birra di frumento con frutto della passione che le dona un tocco vagamente esotico e per niente stucchevole, alla morbida Pipeline Porter dove appare, tra gli ingredienti, una percentuale di caffè Kona coltivato su Big Island (dove si trova lo stesso birrificio). Birre dunque, anche in un posto vacanziero come sono le Hawaii, che non si rivelano mai blande o semplicemente beverine ma che sanno differenziarsi dalle, sempre presenti, grandi marche industriali. Ma, oltre alla qualità, mi piace sottolineare la grande attenzione che i birrai di Kona dedicano all'immagine dei loro prodotti. Etichette colorate e sgargianti, immagini quasi fumettistiche e sempre legate all'immaginario hawaiiano (le onde, il surf, le fanciulle che ballano la hula, le cascate...), merchandising (magliette, cappellini, portabottiglie, minitavole da surf) e via dicendo. Segno evidente che, da queste parti, la qualità del prodotto va di pari passo con l'immagine. Parola non demonizzata per ipocrite crociate pauperistiche o per, come nella maggior parte dei casi, menefreghismo da artigiano irsuto, ma colta nelle sue potenzialità di vendita e di successo. Certo, la qualità costituisce le fondamenta della casa, ma senza il tetto non ci entrerà mai nessuno. Detto questo, mi posso pure godere il tramonto...

Tramonto a Waikiki


6 dicembre 2010

Pianeta Birra? E' a Milano...

Vabbé si fa per dire, ma se avrete la pazienza di guardare le foto in questo post e, allo stesso tempo, siete dei veterani della fiera birraria riminese, troverete delle inquietanti similitudini con quella che una volta era la fiera di tutte le fiere, l'evento birroso più importante e più atteso dell'anno. Almeno fino a quando non ha deciso di abbassare il vessillo e autodefinirsi "Selezione Birra". Ignorando, dannazione, la mia molto più brillante definizione alternativa, che avrebbe almeno mantenuto una connotazione "stellare" al tutto. Comunque sia, l'Artigiano in Fiera è, da quando la frequento, la fiera più "mostruosa" che abbia mai visto. D'accordo l'ingresso è gratuito, d'accordo siamo praticamente sotto Natale e, sempre d'accordo, si mangia e si beve (a pagamento però) e si trova qualunque regalo dell'ultima ora vi possa venire in mente. Il risultato tuttavia si riassume in questa foto: una scena quasi "oceanica" che nemmeno al Salone del Gusto di Torino...

Un popolo in cammino
Anzi, visto che ci siamo, anno dopo anno l'Artigiano presenta sempre più similitudini con il Salone. Volete comprarvi della vera bottarga di muggine ? Nessun problema negli stand sardi. La N'duja? Raggiungete il padiglione calabrese. Biscotti al burro made in Normandy? Ci sono, ci sono. Idem per salumi di ogni dove e un sacco di altre cose buone da riempire dieci dispense. Ah, beh, manca spesso, ma non sempre, la dizione "Presidio" ma l'atmosfera da food hall c'è tutta. Tuttavia, gironzolando per i corridoi il déjà vu non era tanto con il Salone torinese, quanto appunto con la Fiera della Birra della Riviera Romagnola. Mi è venuto quasi un colpo quando, girato un angolo, mi è apparso, come il monolite di 2001 Odissea nello spazio, questo enorme boccale di birra. D'accordo, ero nell'area tedesca ma gli stand birrari costituivano quasi una Bier Strasse...


Ein Prosit

Poche chiacchiere "lavorative" certamente, ma tanta birra. Dalla Baviera, dalla Franconia.... Aktien e Beckbrau, Maisel's e Kulmbacher. A questo ultimo stand, tra l'altro, ho avuto modo di registrare un'altra defezione per la prossima Rimini. Ma tant'è...  Nel 2011 chi ci sarà? I birrai artigiani italiani? Ovvio, ma alcuni sono già qui. All'Artigiano di Milano.... Camminando senza bussola ho visto: SorA'laMA', Birrificio Abbà, Birra di Fiemme, Teddy Bier, l'Officina della Birra, il Birrificio Lariano e so che anche qualche altro aveva il suo stand. Aggiungeteci una specie di Guinness Pub e l'orchestrina da Oktoberfest e, ripeto, l'aria da

L'artigianale di Vercelli
Pianeta Birra di una volta ci sta tutta. O quasi. Perché, ovvio, questo è un post leggermente "tirato", ma visto che non so davvero cosa attendermi dalla Selezione Birra di Rimini, sparo la mia "ultima cartuccia". Ovvero, visto che a Rimini per la birra non ci va quasi più nessuno (e non mi riferisco agli appassionati, parlo di stampa e operatori), in Unionbirrai sono sempre convinti che fare la cerimonia di Birra dell'Anno sulla Riviera sia proprio una buona idea? Secondo me, a Milano uno spazio lo si trova.... Magari proprio all'Artigiano in Fiera!

5 dicembre 2010

Unionbirrai: ripartire o perire

Qualche giorno fa mi è arrivata la notizia della nuova uscita di UB News, un numero digitale coordinato da Tony Manzi con articoli a cura di Simone Monetti, Lelio Bottero e Marco Tripisciano. Una buona notizia anche perché da tempo mi sembrava che Unionbirrai fosse rimasta un po' al palo nell'effervescente mondo della birra artiginale italiana. Certo l'impegno sull'argomento accise, il concorso Birra dell'Anno, i corsi: in effetti non sarebbe giusto parlare di immobilismo, piuttosto di poca comunicazione e, forse, di poco coinvolgimento della stampa specializzata e non. Ora, UB News potrebbe essere un primo passo per uscire dal bozzolo. Almeno me lo auguro vivamente. Perchè, per quanto onestamente nemmeno io abbia fatto ultimamente molto riferimento a Unionbirrai, di un'associazione la birra artigianale italiana ha sicuramente bisogno. Un'associazione di produttori però: capace di fare fronte comune, di esprimere posizioni pubbliche, di sviluppare magari una centrale d'acquisto e, certamente, di fare corsi e concorsi. Tuttavia il periodo attuale non so quanto stia sorridendo a Unionbirrai: da un lato infatti nascono consorzi regionali, come riporta il sempre aggiornatissimo Cronache di Birra, dall'altro si organizza una riunione in quel di Fidenza tra produttori (visto che se ne è parlato nel forum di Mobi, la ritengo una notizia di pubblico dominio) e infine la stessa Unionbirrai convoca un'assemblea straordinaria dei soci con "proposta di modifiche statutarie" all'ordine del giorno (un caso?).
Ergo, qualche problema sotto ci deve essere. Se la spaccatura tra consumatori e produttori non mi è mai sembrata un dramma, i produttori sono a mio avviso in mezzo al guado. Qualcuno ha pensato bene di aderire ad Assobirra, qualcuno fa consorzi locali e altri indicono una riunione... E Unionbirrai? Sia chiaro, io non faccio il tifo per nessuno. Dialogherò con chiunque trovi interessante, rappresentativo e, possibilmente, disponibile ma certo avere due associazioni di produttori, più le locali, forse è un po' troppo anche per un mercato, come quello italiano, che visto all'estero sembra la Disneyland della birra (nel senso di entusiasmante, sorprendente e un po' pazzo) e che invece, visto da dentro, assomiglia un po', almeno dal mio punto di vista, a un ragazzino cresciuto troppo in fretta, in preda a crisi ormonali e veloce a menare le mani. Una specie di incrocio tra Il tempo delle mele e I ragazzi della via Pal (o Paal che dir si voglia). Un mercato, e parlo solo di quello della birra artigianale, dove esistono le superstar e le "vorrei ma (per ora) non posso", i puri e duri (ma anche un pelino invidiosi) e quelli perennemente incazzati perché nessuno li considera (ma poi magari non ti rispondono manco a una mail), quelli innamorati della birra, ma anche del bersela tra amici, e quelli che sperano nel business d'inizio secolo. Io non so se Unionbirrai saprà sopravvivere o se una fantomatica nuova associazione nascerà sulle sue ceneri o se, ancora, avremo due associazioni di produttori. Credo che sia però arrivato il momento che ogni singolo produttore, ripeto singolo nel senso di ognuno per conto suo, si faccia un bell'esame di coscienza. Rifletta non tanto su che stile di birra vuole produrre, lo so che qui non ci sono problemi, ma su come e dove vuole collocarsi nel mercato: vuole conquistare il mondo o rifornire la sua provincia? Vuole stare nella ristorazione o nei pub? Vuole fare una birra "del popolo" o una birra per sommelier? Produzioni limitate esigono scelte radicali. E non è detto che una scelta sia meglio dell'altra. Solo sono diverse. Una volta chiarite le proprie idee, potrebbe anche essere più facile decidere se e quale associazione mantenere in vita, che cosa pretendere da quell'associazione e, naturalmente, che cosa offrire in cambio.

2 dicembre 2010

Born to Randall

Back to La Ratera. Incredibilmente, conoscendo i miei standard, dopo nemmeno un paio di settimane. Tuttavia l'occasione era troppo ghiotta per non mancare. Il debutto della nuova Extra Hop del Birrificio Italiano, una birra che è sempre stata tra le mie preferite e che purtroppo, e solo per colpa mia, non bevo tutte le volte che vorrei. E che la EH meriterebbe. Così, anche con la consapevolezza di non poter essere a Lurago Marinone il prossimo 7 dicembre, la Extra Hop prima la ammiriamo, spillata con il consueto carisma da Marco Rinaldi, e poi la sorseggiamo meditabondi. Perfetta la schiuma, da sciarci sopra, soliti profumi freschi di luppolo e di fiori, un amaro deciso ma elegante, un taglio finale bello secco, un retrogusto abbastanza lungo. Birra che toglie la sete, toglie la fatica e toglie pure qualche incazzatura quotidiana. Il che depone ulteriormente a suo favore...

Davvero "Extra"

Se proprio vogliamo trovare una pecca è il bicchiere. Davvero troppo piccolo per togliere la sodisfazione. Così eccoci al secondo, questa volta però spillato tramite Randall. E la Extra Hop evolve di conseguenza. Profumi ancora più netti e marcati, amaro che inizia a sverniciare il palato lasciando goduriose sensazioni di resina. A patto, ovviamente, che nella birra vi piaccia l'amaro. Se non è così, beh insistete perchè l'amaro nella birra è come certa musica di Tom Waits: al primo ascolto ti può anche lasciare perplesso, poi ti conquista per sempre. Infine, pronti per il bicchiere della staffa: servito direttamente versandolo dal Randall...

Marco "Randall" Rinaldi
Che dire? Ok, non è ortodosso bere birra con foglioline flottanti nel bicchiere. Magari fa un po' antichi Sumeri, ma basta mettere gli incisivi o i baffi in posizione "diga" e berrete una birra che è rimasta a lungo con il luppolo in macerazione. Con il risultato di sembrare quasi una spremuta di luppolo. Già al naso, ma soprattutto in bocca. Esagerata forse, ma tuttavia fantastica, sbilanciata sicuramente, ma tuttavia affascinante. Pensavo di berne un sorso e invece l'ho terminata. E me ne sono andato con l'aroma di luppolo sulla lingua e nella memoria. Quasi fosse stato un primordiale imprinting...

1 dicembre 2010

Lo chef è un dio... minore

Riprenderò nei prossimi giorni a scrivere di birra, ma non riesco a non buttare giù due righe su un libro che sto, con fatica, terminando di leggere in questi giorni. L'ho acquistato quasi per dovere, per colpa di letture fatte qui e qui e perché mi ero animato delle migliori intenzioni. Cavoli, ho pensato un libro che mette alla berlina l'aureo mondo degli chef, che descrive con stile tagliente l'intoccabile circolo dei fornelli stellati, va letto assolutamente. Beh, quando poi l'ho avuto in mano e presentato come un libro dalla scrittura brillante e molto pop, "Lo chef è un dio" di Ilaria Bellantoni l'ho trovato un po' deludente, noiosino e tristanzuolo. Giudizio personale ovviamente, da me che sono un paria del giornalismo gastronomico, ma avrei sperato in colpi più fragorosi di cannone invece di qualche randellata data con una borsetta, però firmata. Se per scrittura "molto pop" si intende una scrittura che, come una bolla di sapone, fa pop e poi svanisce allora ci siamo. Ma tutto questo intercalare di bon appétit, di en effet, di borse Prada e Gucci, mi ha provocato molti

Ma non un santo
brividi di gelo finendo per rendermi antipatica l'autrice e, di conseguenza, il suo libro. Lo chef è un dio, titolo anche azzeccato, è la storia della scrittrice che va a fare un periodo di esperienza nella cucina di un ristorante blasonato di Milano (da più parti indicato come Cracco) uscendone inorridita per i modi da galea romana in periodo di guerra. Ovvero un comandante assoluto e una ciurma di schiavi da sacrificare. In verità dalle pagine non esce il ritratto di un serial killer ma quelle di un un talentuoso artista della pentola un po' bastardo. Insomma, più Keith Richards che Charlie Manson. Detto questo, la reazione di critica e appassionati è stata esagerata, sopra le righe, spesso dettata da dogmi di fede più che da conoscenza reale. Una reazione che, presumo, avrà mandato in sollucchero l'autrice e aumentato le vendite del libro, ci sono cascato anche io in effetti. Un libro che si fa davvero fatica a terminare perché pagina dopo pagina aumenta una sensazione di vuoto cosmico, un sorta di malessere da assenza di gravità. Perché sembra di leggere una lettera privata di qualcuno che è incazzato con qualcun altro e passata quindi la sensazione di voyeurismo, tranquilli non c'è nessuna scena hard, rimane la sensazione del "che diavolo sto facendo"....
Insomma, l'idea iniziale era secondo me buona. Credo che la gente sia forse un po' stanca di tutti questi chef, bravi e meno bravi, che ogni tre per quattro irrompono in televisione per dire la loro, stufa dell'ennesima ricetta impossibile pubblicata sul libro strenna da 100 euro, stufa della miniporzione da 60 euro (esperienza vissuta sulla mia pelle), geniale ma tutto sommato sovrastimata economicamente. Il fatto è che questa tentata presa per i fondelli per l'alta cucina arriva da una che ogni tre per quattro ti ricorda che indossa le scarpe Miu Miu e la borsa di Prada, o di Gucci. Non molto credibile, no?