30 novembre 2010

Tutti a Prato!

Beh, almeno noi. Ma speriamo anche altri ovviamente, visto che la prima edizione di Eccellenza Birra si annuncia interessante per ospiti, birrifici presenti e città che merita la visita. Ordunque il debutto dell'ennesima manifestazione legata alle birre di qualità (qualcuno riesce a contarle tutte?) si distingue per il "direttore artistico" ovvero Lorenzo Kuaska Dabove e per l'opportunità di assaggiare tutte o molte delle produzioni toscane, terra consacrata al vino ma che indubbiamente in questi ultimi anni ha ricordato le sue ascendenze etrusche e pertanto brassicole. Si parte il venerdì, 3 dicembre, in mattinata con il convegno "Il mondo delle birre artigianali in Italia", moderato da Kuaska e con la partecipazione di Teo Musso e di Carlo Canegallo, presidente MoBi, più altri. Argomento mare magnum che tuttavia è sempre interessante ascoltare e/o partecipare, se non altro per portare idee, esperienze e riflessioni su un momento che io definisco di "passaggio" per la realtà artigianale made in Italy. Staremo, ovviamente, a sentire...

La locandina della "tre giorni" di Prato

Nel pomeriggio spazio alle visite degli stand dei birrifici presenti e laboratori di degustazione: da quello su "cioccolato e birra" del venerdì, a quelli del sabato su "territorio e birra" e "sigari e birra" (con Terry Nesti, punto di riferimento per gli amanti del tabacco "puro"). Insomma, molta carne al fuoco, presenze di qualità in arrivo anche dall'estero, e soprattutto convegno del venerdì da non perdere.

27 novembre 2010

Il potere del cane


Chiamarla Humulus non sarebbe stata la stessa cosa...

Titolo un po' forzato ma il fatto è che ci tenevo, prima o poi, a segnalare un libro che non c'entra niente con la birra ma che è, quasi, un capolavoro. Ovvero Il potere del cane di Don Winslow. Se poi le birre assaggiate in queste ultime due serate erano tutte sotto l'impronta di canidi in generale, non è colpa mia. Se ci fosse stato un segno in tutto questo, non l'ho colto. Diciamo allora che la partenza è stata a Milano, alla Brasserie Bruxelles di Viale Abruzzi, dove, dopo una Blanche de Bruxelles come aperitivo, ho provato la Blond di Extraomnes, birrificio di recente apertura guidato dall'assai celebre Schigi. L'ho trovata una birra molto interessante, soprattutto come profumo: articolato, floreale, delicatamente agrumato e, mi sembra, con un cenno di spezie che francamente non sono riuscito a identificare. Mi è piaciuta anche in bocca, perché si fa bere facilmente e ti fa venire voglia di berne ancora. Solo, per averla dimenticata un dito nel bicchiere, alla fine qualche nota al naso non era piacevolissima. Comunque sono rimasto impressionato, considerato che era la mia prima volta (ok, forse ne avevo preso un sorso al Salone del Gusto ma in maniera un po' distratta). E dopo la Blond Extraomnes, al tavolo è arrivata la Lupulus della Brasserie Les 3 Fourquets. Che dire? Straordinaria per freschezza, corpo e profumo. Una gran bella birra, niente da dire. Non avrei mai detto che porta 8,5% vol.


Cave Canem: la Blond di Extraomnes

Il pomeriggio successivo ero a Fidenza, da Bruno Carilli del Toccalmatto. Si parla un po' di tutto e si assaggia. Che cosa? Ma, per rimanere in tema, la sua Stray Dog ovviamente. La No Rules Bitter va giù che è una meraviglia e i profumi sono quelli che mi fanno sempre ricordare pinte annusate e bevute in vecchi pub di campagna nello Yorkshire o nel Lake District. Sensazioni personali, ovviamente, ma spesso sono quelle che contano di più. La Stray Dog non è forse la birra più riuscita di Toccalmatto, ma mi è piaciuta, tanto da riberla subito insieme ad alcuni amici in quel di Parma. Esattamente al mio vecchio pub "di quartiere" ovvero il Dubh Linn, in Borgo del Correggio 1, dove segnalo tra l'altro, per chi fosse in zona, che in questi giorni il titolare ha attaccato un fusto (o più, non so) di Trashy Blonde di Brewdog. Strano, anche in questo caso sempre di cani si tratta... Coincidenze?




25 novembre 2010

New York, New York

Riprendiamo la serie di post "amerigani", che tanto bene non mi fa se penso che adesso sono in Italia, con la tappa "niuiorchese" ovvero il dovere, alias The Ginger Man, e il caso fortuito, alias l'Heartland Brewery, almeno quella che ho visto io e cioè questa qui, a due passi dal ponte di Brooklyn. Il "dovere" implicito nella visita del Ginger Man sta nel fatto che, oltre alle informazioni ottenute spizzicando qua e la, era stato Michael Jackson in persona a indicarmelo nel lontano 2001. Al termine di una serata a due in un ristorantino di Rimini e sapendo che sarei andato a fare un salto nella Grande Mela con un amico qualche giorno dopo, aveva appuntato due o tre segnalazioni raccomandate. Tuttavia, la mia prima avventura a New York si era scontrata con il fatto che ci arrivavo reduce da una fiera, al tempo era così, altamente impegnativa e in compagnia di un australiano. Un mix letale, se si immagina quanto può bere un australiano in libertà. Ergo, la prima sera ero già bello e schiantato su un bancone dalle parti del Village e il resto della tre giorni si confonde in una serie di entrate e uscite da pub e locali senza che nulla mi restasse impresso nella memoria. Così, questo giro, mi sono preparato prima: macchinetta digitale e taccuino per appunti...
The Ginger Man - New York City
Da fuori il locale non mi ha impressionato particolarmente. Ho litigato con l'insegna per cinque minuti e alla fine non sono riuscito a tirare fuori una foto decente. Penso di aver fatto meglio, senza strafare, con l'interno. Il Ginger Man ha luci crepuscolari, una stanza gigante e un bancone massiccio. L'occhio tuttavia cade sulla sfilza di spine a parete e, subito dopo, sulla carta delle disponibilità. Avvincente quanto il romanzo di J.P. Donleavy che dà il nome al pub. Un ben di dio non solo a stelle e strisce ma anche in arrivo dal Belgio, dal Regno Unito e, ebbene sì, dall'Italia. Al tempo della mia visita compariva tra le spine la 25Dodici di Birra del Borgo e oggi, sfrucugliando nel loro sito, la Vudù del Birrificio Italiano. Gli italiani del resto si fanno valere soprattutto in bottiglia: con Baladin, Ducato, Italiano, Montegioco, Barley (la BB "Dexi" però non si può guardare...), Pausa Cafè, Grado Plato, Panil e Troll. Per quanto inorgoglito, mi sono comunque ben guardato dal chiedere birra italiana e ho giocato in casa andando a scegliere solo birre autoctone. Passando da una grande soddisfazione a, addirittura, stupore ed entusiasmo... Insomma, il Ginger Man mi è rimasto dentro e anche io del resto ci sarei rimasto dentro per una settimana almeno. Ho apprezzato l'idea (diffusa negli States) di prendere quattro o cinque assaggi a prezzo convenzionato. Non mi sembra che in Italia sia una pratica diffusa. Peccato, anche se, per poterla introdurre, bisogna prima avere le birre adeguate.
Tutte birre homemade invece alla Heartland Brewery, ma tutte, almeno quelle assaggiate, una bella sorpresa.

The Heartland Brewery - New York City

Questa catena di brewpub cittadini offre innanzitutto una scelta gastronomica più interessante rispetto al Ginger Man, davvero scarna, e una linea di birre tra regular e seasonal ben fatte e molto godibili. A partire dalla Indiana Pale Ale passando per la Smiling Pumpkin Ale e per finire con la Stumpkin. Farsi un paio di pinte sui tavoli all'aperto (a ottobre si poteva ancora) intervallandole con un piatto di nachos, che sembrava un quadro di un Van Gogh impazzito del tutto, è stato corroborante. Consiglio sinceramente almeno la tappa, se non un tour di tutte e sette le brewery collocate a Manhattan (le cucine dovrebbero pure variare leggermente tra l'una e l'altra...). E adesso, scusate, ma vado a vedere le offerte di volo per la città che non dorme mai!

24 novembre 2010

Abbonati alla vittoria

A furia di riscuotere medaglie e riconoscimenti potremmo anche correre il rischio di montarci la testa. Ma dopo la medaglia di platino nel Mondial de la Bière per il Grado Plato e dopo la minivalanga di medaglie allo European Beer Star per il Birrificio del Ducato, il Birrificio Italiano e il Doppio Malto ecco arrivare a spron battuto i riconoscimenti per la Theresianer. Una medaglia d'oro, per la loro Vienna, e due d'argento, rispettivamente per la Lager e per la Pils, al World Beer Championship 2010 supervisionata dal BTI, il Beverage Testing Institute di Chicago. E guardando qui, si deve dire che l'azienda fondata da Martino Zanetti

La Vienna di casa Theresianer
sembra ormai essere abituata a riscuotere consensi internazionali, con una particolare predilezione proprio per il World Beer Championship. Insomma, gli italiani si stanno togliendo parecchie sodisfazioni in campo birrario. E in una misura forse insospettabile fino a qualche anno fa. Certo, il numero di concorsi, coppe, campionati e "challenge" si sta moltiplicando (la World Beer Championship è tuttavia nata nel 1994), ma anche questo va visto a mio avviso in un'ottica di sempre maggiore interesse nei confronti delle birre. Ergo ben venga; sapendo sempre che, al pari delle guide, i premi vanno presi cum grano salis ovvero con intelligenza. Ma senza nemmeno sminuire il loro valore, soprattutto quando le giurie sono di alto profilo. Poi, in fondo in fondo, il miglior premio che si può attribuire a una birra è il fatto che ci piaccia. Non farà notizia, questo è vero, ma è quanto basta per berla una seconda volta.

23 novembre 2010

L'Isola che non c'è

Seconda stella a destra, questo è il cammino... Scusate la banalità, ma ogni volta che sento le parole "l'isola che non c'è" mi scatta il refrain di Edoardo Bennato. Sarà colpa degli Anni Ottanta attraversati incolume, più o meno. Ma in questo caso parliamo di un isola diversa, natalizia e birrosa, in programma il prossimo 26 e 27 novembre in quel di Suisio (Bergamo). Organizzato dalla Compagnia del Luppolo e dalla Locanda del Monaco Felice, l'evento si preannuncia come una ghiotta occasione per assaggiare birre natalizie e invernali in genere made in Italy, assaggiare la cucina del Monaco e godersi due serate di musica dal vivo.

La locandina: ante


La locandina: retro
Di sicuro interesse i birrifici presenti in piazza Giovanni XXIII: si va dai più noti, celebri e celebrati Birrificio del Ducato, BiDu, Babb e Orso Verde, per poi andare sul Birrificio Civale e il Birrificio Hibu. Con l'aggiunta più che interessante dei debuttanti bergamaschi ovvero dell'Endorama e del Via Priula. Insomma, abbastanza per togliersi la sete e la curiosità culturalbirraria (qualunque questa cosa voglia dire). Le birre saranno disponibili in formato da 30 cl e da 10 cl al prezzo di 3,50 euro, nel primo caso, e 1,50, nel secondo.

22 novembre 2010

I love my Radio

Vabbé, due post in un solo giorno un po' mi preoccupano, soprattutto se il secondo (questo) è assolutamente autoreferenziale, ma da un lato devo un ringraziamento solenne ad Antonio Simonetti e al suo Aizercast che ha avuto la pazienza di Giobbe nello stare ad ascoltarmi per oltre un'ora mentre parlavo di birra e allora ecco qui sotto il link per chiunque volesse trovare il podcast e (con altrettanta biblica pazienza) ascoltarmi...
Martedì scorso invece è andata in onda su RadioMonteCarlo, alle 6.50 del mattino e all'interno del programma Primo Mattino, un'altra breve intervista al sottoscritto (in coincidenza con l'annuncio dell'Italian Beer Festival di Torino). Questa dura davvero pochi minuti e, in verità, nemmeno io sono riuscito ad ascoltarla perché come al solito ho i riflessi di un bradipo quando si tratta di sintonizzare manualmente una stazione sulla mia, di radio. Ergo, e di nuovo, ecco il link interessato:
Mi piace sottolineare, nella premessa del conduttore, i panini BQ che sembrano aver ricevuto riconoscimenti internazionali... Non lo sapevo...
Che dire di più? Buon ascolto!

Madrid e l'Inedit Adrià

Dopo qualche giorno trascorso a Madrid non si riesce a capire se la capitale è la città più spagnola in assoluto, come sostengono in molti, o quella che invece rientra meno nei parametri iberici. Non ha, a mio avviso, il fascino abbagliante dell'Andalusia, di Siviglia o di Granada, e nemmeno l'immagine simpaticamente rocambolesca di Barcellona, tuttavia la sua bellezza è sottile come il suo cielo e, quando devi ripartire, sai già che ti mancherà un po'. Di Madrid ricorderai senza dubbio il Prado, la Puerta del Sol, il palazzo reale, la spettacolare Plaza de Toros, tanto bella fuori quanto crudele dentro, e ancora i suoi mille locali dove mangiare le tapas, a qualsiasi ora, e bere infiniti boccali di birra (tanto costa poco...).


La Plaza de Toros a Madrid

La birra in Spagna è affare quotidiano. Nel senso che è impossibile non berla tutti i giorni, ma non ci si deve aspettare di trovare chissà che birra. Al di là dei grandi marchi commerciali, i brewpub che abbiamo incontrato in città difficilmente si discostano dalla semplice dicotomia "chiara o ambrata". Naturbier, ad esempio, si trova in plaza Santa Ana ed è un fantastico "spot" per tenere d'occhio la vivace vita notturna madrilena. La loro chiara è ben spillata, gradevole e perfetta per toglierti la sensazione di calore opprimente (noi siamo stati lì a settembre). Se ne possono bere un nugolo di boccali, mentre l'ambrata è un po' troppo "caramella" e dopo un po' ti fa segnare il passo. Lo stesso discorso si può applicare al vicino di porta del Naturbier, ovvero la Cerveceria Santa Ana oppure alla Cerveceria Magister, in una stradina laterale alla piazza. Anche con questa varietà limitata, tuttavia, si continua a bere birra un po' a tutte le ore. Compresa la notte, che a Madrid è nè più nè meno che la prosecuzione del giorno visti i risultati dell'ultima Noche Blanca.


La Notte Bianca di Madrid
L'ultimo giorno comunque, sono riuscito a infilare in valigia tre bottiglie di birra. Una Cruzcampo Gran Reserva (ancora da assaggiare), una Domus Regia prodotta da un microbirrificio di Toledo (deludente oltre qualsiasi pessimistica previsione) e la Estrella Inedit, bottiglia da 0,75 firmata da nientepodimenoche Ferran Adrià, il genio dei fornelli vincitore enne volte del titolo di miglior chef del mondo (almeno secondo San Pellegrino).
 

Estrella Inedit by Adrià

Iniziamo con il dire che l'ho pagata 4,90 euro nel supermercato de La Corte Ingles (una specie di Rinascente in versione spagnola), un prezzo decisamente abbordabile. Diciamo poi che ero prevenuto in maniera sostanziosa avendo già visto la simpatica faccia di Ferran su un sacchetto di patatine durante un mio precedente viaggio a Siviglia. Ma, tutto sommato, l'assaggio non è stato drammatico. Gli ingredienti per la birra sono malto d'orzo e di frumento, coriandolo, buccia d'arancio e liquirizia e l'assaggio è risultato gradevole, senza voli pindarici, ma nemmeno senza smorfie di disgusto. Bella bottiglia, ingredienti correttamente dichiarati in retroetichetta, fascino snob garantito, prezzo da battaglia. E' la versione della "birra da ristorante" in salsa spagnola. E, mentre la bevevo, ho pensato che forse qui in Italia abbiamo ancora qualcosa da imparare...

19 novembre 2010

Into the Abyss

Sul finire delle celebrazioni per lo European Beer Star di Norimberga ci siamo trovati casualmente (si fa per dire) tra le mani alcune bottiglie di birra. Passato lo stupore iniziale, abbiamo pensato bene di lasciarle in auto (al fresco e al buio) per alcuni giorni per poi, ulteriore stupore, ricordare di averle con noi proprio mentre stavamo andando a La Ratera. Così, consapevoli del fatto che non offri la Riserva di Brunello di Montalcino alla zia che beve solo rosolio e non stappi Tavernello per gli amici capaci di ricordare a memoria tutte le Doc piemontesi, abbiamo deciso di immolare la bottiglia che vedete in foto qui sotto al palato di Marco Rinaldi e Salvatore Garofalo, oltre che naturalmente al nostro.

La purtroppo unica bottiglia di The Abyss

Già l'etichetta e la copertura del collo in ceralacca incutevano un po' di timore. In etichetta poi, questa imperial stout da 11% vol riportava "33% invecchiato in legno di quercia (nuova presumo) e botti da bourbon" con l'aggiunta di liquirizia e melassa. L'abbiamo assaggiata con tutta la meticolosità possibile e il giudizio è stato che ci trovavamo di fronte a una birra monstre, dalla persistenza lunghissima di quelle che ti si incollano come carta da parati, una struttura e un corpo indiscutibili ma, parametro per me sempre più apprezzabile di questi tempi, straordinaria bevibilità. Una birra sontuosa e impegnativa, certo, ma come se fosse controllata, come se non avesse bisogno di dimostrare niente a nessuno. La producono in Oregon, alla Deschutes Brewery di cui ho pensato bene di diventare subito fan su Facebook, non solo per la loro The Abyss, ma anche per le altre birre che avevo avuto modo di assaggiare a Norimberga: la Black Butte Porter, la Obsidian Stout e la ESB Bachelor. Piaciute immensamente tutte, ma da vertigini solo "l'abisso"....

18 novembre 2010

La mia "Tavola della Birra"

Sarà stato il fatto che la guida dell'Espresso "Le Tavole della Birra" mi ha turbato non poco oppure che il navigatore ieri sera funzionava una meraviglia, ma eccoci varcare la soglia de La Ratera, a Milano in via Ratti 22. Era un po' che non ci si andava in effetti e così vedere il work in progress di Marco Rinaldi e Salvatore Garofalo sul loro locale mi ha fatto molto piacere. Ancora qualche mese e questo ristorante birrario sarà pronto a spiccare definitivamente il volo. Ristorante birrario ho detto, perché mi sembra incomprensibile che la EspressoGuida lo abbia segnalato come pub (per quanto il giudizio sia stato il migliore possibile), ma sarebbe bastato sedersi a un tavolo e scorrere il menu di Salvatore per capire che tipo di lavoro stanno facendo da queste parti. Salvatore e Marco hanno, e mi sembra il caso di sottolinearlo ancora una volta, il merito dei precursori del genere, quando ancora in Italia di birra al ristorante se ne vedeva pochina. Tuttavia non sono bravi perché pionieri, sono bravi perché sono bravi. Nei fatti quotidiani, giorno per giorno. Capaci di affrontare le critiche (che ci sono state e spesso ingenerose) e di proporre una cucina non banale, spesso coraggiosa, sempre gratificante. E con il sorriso sulle labbra. Il che non guasta...

Salvatore Garofalo
La bravura, dicevamo, consiste nel saper servire una Tipopils di benvenuto spillata alla perfezione. La bravura significa pensare e creare un piatto come gli Anelli di grano duro cotti nella Tripel Karmeliet con cime di rapa, radicchio e zucca; dove gli anelli si cuociono per i primi minuti in acqua e poi si "definiscono" nella birra, dove la dolcezza della zucca si incastra "alla Tetris" nell'amaro del radicchio e delle cime di rapa, dove il sottofondo di purea di ceci poi armonizza il tutto. Un piatto, questo senza dubbio alcuno, coraggioso perché giocato sul contrasto di sapori netti e dove pertanto trovare l'equilibrio giusto non è proprio facile...


I favolosi Anelli

Un piatto, per inciso, proposto a 9 euro che onestamente non mi sembra una cifra inaffrontabile per nessuno e che, forse, in un ristorante più blasonato sarebbe uscito almeno al doppio di quella cifra. Abbinato alla Chimera del Birrificio del Ducato è stato davvero la più bella sorpresa della serata. Non che l'Ossobuco di vitello (carne squisita) alla Gouden Carolus con polenta e cipolle borettane glassate fosse da meno, sia chiaro. Una carne del genere, per un piatto proposto a 13 euro, e un midollo che era un concentrato di sapore sono stati la fantastica chiusura di una cena da ricordare. Salvatore Garofalo è bravo ed è sereno. Io se fossi in lui sarei sicuramente meno bravo e sarei, senza ombra di dubbio, meno sereno ancora. Di più, sarei seriamente incazzato a guardare le pagine della EspressoGuida. La sua cucina alla birra è, a mio avviso, tra le prime in Italia. La competenza e il valore di Marco Rinaldi sono tra i primi in Italia. Più Tavola della Birra di così!
Ogni tanto, anche se la tribuna è modesta, qualche cosa va urlata. Non sarà risolutorio, ma almeno è liberatorio...

16 novembre 2010

Beer & Design

Qualche giorno fa avevo sottolineato l'attenzione per la grafica e il design che distingue il lavoro di 32 Via dei Birrai, ricordando come le loro bottiglie fossero apparse sulla rivista britannica "posh" Wallpaper... Qualcuno potrebbe anche rilevare che poco la grafica e il design hanno a che fare con la qualità della birra ma, stante l'indiscutibile talento di Fabiano Toffoli come birraio, proporre al mercato confezioni attraenti è un plus da non sottovalutare. La semplicità minimalista delle etichette di 32 Via dei Birrai era fin dall'inizio un chiaro segnale della strada che il birrificio veneto avrebbe intrapreso, un look che sembra essere piaciuto molto visto che Toffoli e soci godono di buona salute e li si incontra in molti eventi (anche questi selezionati secondo la loro strategia). Ora, le nuove confezioni mantengono l'eleganza e la "presa" estetica, basta guardare qua...


La "piramide" di 32 Via dei Birrai
Ma non è tutto. L'attenzione per l'aspetto esteriore è spesso la premessa per le idee più originali come, ad esempio, il cosiddetto "alveare". Si tratta dell'arcinoto, fondamentale, separatore in cartone che si piazza all'interno della scatola da sei bottiglie. Praticamente quello che hanno tutti: produttori di birra e produttori di vino. I ragazzi di 32 hanno però deciso di personalizzarlo allungandogli pure la "vita". E così il separatore

E il loro "alveare"
diventa anche espositore da piazzare sul tavolo, completo di informazioni sulle birre e perfino di QR Code per accedere in diretta al sito web del birrificio. A me l'idea, dopo aver impiegato dieci minuti a comprendere il meccanismo arcano del QR Code, è piaciuta molto e la trovo intelligente. Presumo sarà anche presto emulata, se non nel mondo della birra, probabilmente in quello del vino... Di certo, un riconoscimento va dato a 32 Via dei Birrai e, immagino, ai loro consulenti per la grafica. Insomma, la dimostrazione che anche la birra, perfino quella artigianale, ha bisogno di costruirsi un'immagine e una comunicazione di prodotto. Non è detto che, per forza di cose, debba assomigliare a quella di 32 (anzi la virtù è distinguersi e non scimmiottare), ma la strada va imboccata assecondando la propria personalità, il proprio stile nel fare la birra, il proprio target... Rimanere con le mani in mano o, peggio, attaccati al palo del "c'era una volta", non porta da nessuna parte.

 

15 novembre 2010

Fumo di Bamberga

Una volta arrivati a Norimberga sarebbe stato da idioti non fare un salto, una sessantina di kilometri più a nord, in quel di Bamberga. E' con questa indiscutibile motivazione che, due giorni dopo la cerimonia di premiazione allo European Beer Star, siamo arrivati in città. Il tempo di parcheggiare lungo il fiume, girare per il centro storico e, Good Beer Guide Germany di Steve Thomas in mano, prima e irrinunciabile tappa alla birreria Schlenkerla per godere beati della loro Marzen che, alla spina, è più buona che mai.

In attesa dei piatti
Il locale (in Dominikanerstrasse 6) è ovviamente ultrafamoso (gli italiani non mancavano) con un servizio di cucina tra i più sorprendenti mai incontrati in giro per il mondo. Allora, c'era un menu che andava bene fino alle 12, un altro dalle 14.30 fino alle 22 e infine una minilista per colmare il buco temporale. Considerato che il cibo, peraltro ottimo, non sembrava richiedesse ore e ore di lavoro ai fornelli, la scelta era quantomeno discutibile. Sia come sia, le marzen ci hanno dato serenità. Se al primo sorso hai la sensazione di essere stato chiuso in castigo da piccolo in un affumicatoio (con tutti gli incubi ricorrenti che la cosa comporta) in breve ti rendi conto che questa rauchbier ti intriga e non ti demolisce, non è aggressiva come sembrerebbe di primo acchito e si lascia bere ripetutamente. Visto che eravamo in ballo e complice qualche incontro inaspettato...


Conrad Seidl alla Schlenkerla
come quello con Conrad Seidl, il più noto beerwriter austriaco che avevamo conosciuto nel lontano 2000 per il debutto della Samichlaus prodotta dall'austriaca Eggenberg, ci siamo lasciati andare sulla stagionale Urbock ovvero una versione più forte della Marzen, stagionata in grotta (almeno così dicono loro) e spillata dalla botte. Una birra a dir poco corposa, con evidenti e ovvie note di affumicato, forse a mio gusto un pochino greve. Alla lunga mi ha stancato e sono tornato alla mia Marzen. Almeno fino a quando non abbiamo deciso di portarci verso la birreria Spezial, in Obere Konigstrasse 10 che è risultata clamorosamente chiusa! Lo sconforto è stato notevole, ridotto solo di poco dall'acquisto successivo di bottiglie di Spezial Rauchbier, tanto da permetterci di arrancare appena al di là della strada e imbucarci nella birreria Fassla dove non abbiamo fatto in tempo ad apprezzare le piccole botti dalle quali ardite cameriere spillavano senza sosta per "sbattere" contro un gruppo di italiani "torreggiati", nel vero senso della parola, da Simone Dal Cortivo, birraio del vicentino Birrone, insieme a Paolo De Martin, sempre da me stimato birraio (dai Soci dea Bira al Birrificio Villa Pola e ora consulente on the road).


Simone Dal Cortivo e Paolo De Martin
L'occasione per scambiare idee e opinioni sulla birra a tutto campo, chissà magari da riprendere e sviluppare proprio su questo blog, e la strana sensazione che sia quasi più facile, per noi italiani, incontrarsi all'estero che in Madrepatria....

12 novembre 2010

Il tricolore sventola allo European Beer Star

Massì, ogni tanto essere un po' nazionalisti va bene. Possibilmente senza sbragare. Però, cavoli, vincere la medaglia d'oro al serissimo European Beer Star nella categoria German-Style Keller Pils è un po' come se un pizzaiolo cinese vincesse il campionato della Pizza Margherita disputato a Napoli. Beh, oggi pomeriggio a Norimberga (da dove scrivo stile Ruggero Orlando...) il Birrificio del Ducato ha fatto l'impresa. Oro, con la loro Viaemilia, in una delle categorie a cui i birrai tedeschi tengono maggiormente. Non paghi, Giovanni Campari e soci hanno pensato bene di infilare anche due argenti, il primo con la Sally Brown nella categoria Sweet Stout e il secondo con la Chimera in quella riservata alle Belgian Style Strong Ale, e un bronzo, nella categoria Herb and Spice Beer, con la New Morning. Un risultato impressionante che porta il birrificio emiliano a chiudere il 2010 con ben 14 medaglie vinte in vari concorsi: dall'italiano Birra dell'Anno, alla World Beer Cup passando per l'International Beer Challenge. Abbastanza prevedibile quindi il loro entusiasmo finale immortalato qui sotto...

Il team del Ducato festeggia a Norimberga
Ma se il birrificio di Roncole Verdi ha senza dubbio impresso il suo marchio sulla manifestazione, ottime soddisfazioni se le sono tolte anche il Birrificio Italiano che si è guadagnato la medaglia d'argento con la Vudù nella categoria South German-Style Weizenbock Dunkel e una di bronzo con la Tipopils sempre nelle German-Style Keller Pils. Classe che quindi ha assunto connotati pesantemente italiani (per la cronaca al secondo posto si è piazzata la Ruppaner Brauerei), tanto che a fine serata, dove giravano birre da lacrime - di gioia - agli occhi, qualche birraio bavarese ammetteva a denti stretti che forse un po' d'ispirazione andava presa dagli italiani. E, prima di crollare dalla stanchezza, va festeggiata un'altra medaglia d'oro made in Italy, ovvero quella andata al Doppio Malto Brewing Company con la loro Zingibeer nella categoria Herb and Spice Beer. Che dire di più? Un'edizione dello European Beer Star da incorniciare, la verifica che i riconoscimenti internazionali si stanno facendo numerosi e costanti (vale la pena ricordare anche la recente medaglia di platino per la Chocarrubica del bravo Sergio Ormea all'ultimo Mondial de la bière) e un doppio monito: mai adagiarsi sugli allori, ma anche non criticarsi addosso allo sfinimento. Per il resto complimenti a tutti e anche a me stesso, che a fine serata me ne sono uscito con una Smoked Porter 2009 di Alaskan Brewing invano cercata per giorni e giorni negli Stati Uniti.

10 novembre 2010

Assobirra chiama, Espresso risponde

La birra una bevanda per giovani? Per motociclisti? Per gente che adora tavoli e panche di legno (possibilmente da incidere) e luci abbassate tanto da non farti vedere nemmeno il panino che hai ordinato? Beh, da oggi non è più così. Segnatevi la data che sarà ricordata negli annali come quella del debutto ufficiale della guida, firmata Antonio Paolini e Roberta Corradin, Le Tavole della Birra, ultima uscita sugli scaffali de Le Guide de L'Espresso. Ben 433 indirizzi distribuiti tra tre categorie: ristoranti (e affini), pub e beer shop con ricchi premi e cotillon. La Tavola della Birra dell'Anno va a Ilario Vinciguerra, ottimo chef dell'omonimo ristorante di Galliate Lombardo, Selezione Premio Tavole della Birra l'Ora d'Aria di Firenze, stesso premio anche per il fantastico marchigiano Symposium Quattro Stagioni di Serrungarina e per il ragusano Duomo, Premio speciale per il miglior abbinamento cibo-birra Cracco di Milano, Pub dell'Anno Open Baladin di Roma, Beer Shop dell'Anno Grand Cru di Santarcangelo di Romagna, Premio speciale per la diffusione della cultura della birra Nidaba di Montebelluna. Una sequenza lunga sulla quale si potrebbe discutere a iosa (come si fa più o meno sempre sulle guide, il bello è quello...) e qui non vorrei tediarvi sulle mie preferenze all'insegna del "questo sì, questo no" (a meno che non me lo chiediate espressamente). Voglio solo fare qualche riflessione...

La copertina della nuova "birroguida"

La prima: in quarta di copertina si dice che la guida è stata fatta "in collaborazione con Assobirra". Collaborazione di che tipo? Segnalazioni? Sostegno economico? Vattelapesca... Seconda riflessione che è più una domanda di scuse: non mi ero mai reso conto che in Italia ci fossero tanti giornalisti esperti di birra... La mia cecità è davvero riprovevole, ma adesso lo so. Un numero poco inferiore agli inglesi e forse ce la giochiamo con i belgi. Terza riflessione che si ricollega all'introduzione di questo post: la birra è ufficialmente, definitivamente, consacrata come una (anzi la) bevanda più trendy che ci sia oggi in Italia. Così è e niente discussioni. Chi vuole esultare esulti e chi vuole recriminare recrimini. Io non dirò l'avevo detto (ma sì, in effetti, l'avevo detto), ma da adesso è ufficiale. Il che comporta in primo luogo una presa d'atto e in secondo luogo la considerazione che, da oggi in poi, sarà tutto più difficile. Sarà più difficile distinguere la realtà dall'apparenza, la passione dalla moda, gli improvvisatori dell'ultimo minuto dai navigatori di lungo corso...

9 novembre 2010

Cambio vita (e pure birra...)

Come dicevo ieri, una delle più belle scoperte fatte al Merano Wine Festival  è stata la birra San Biagio prodotta nell'azienda agraria Monastero di San Biagio a Nocera Umbra. Ne avevo solo sentito parlare anche perché avevo conosciuto il loro "beer creator", ovvero Giovanni Rodolfi, come uno dei manager di punta di Heineken Italia. Questo almeno fino a un paio d'anni fa, circa. Ora Rodolfi ricompare nel "cuore verde d'Italia" facendo birra in un posto che, visto in foto, appare come l'ideale buen retiro per chiunque non riesca a sopportare il peggio, e francamente ce n'è abbastanza di questi tempi, di Milano.

L'azienda agraria Monastero di San Biagio
L'ex (a questo punto) monastero si trova a circa 750 metri di quota al'interno del Parco del Monte Subasio e fa parte di una azienda agricola e biologica ci circa 50 ettari. Quattro le birre stabilmente in produzione per un volume complessivo che dovrebbe raggiungere quest'anno i 100 mila pezzi. A Merano ne ho assaggiate tre più una fuori catalogo. La prima, la Verbum, è un'ottima weizen da 5,2% vol molto delicata ma elegante, con note di frutta bianca e camomilla, quasi una carezza nel palato. Mi ha proprio convinto. Molto meno, onestamente, la Gaudens che vorrebbe essere una pils sempre da 5,2% vol, ma sembra un po' debole, poco caratterizzata per quanto gradevole. Insomma, ha un'aria da rullaggio in pista senza decollo. Vola già invece molto bene la Monasta, birra che si ispira "alle antiche tecniche produttive dei monaci trappisti". Prodotta con orzo italiano, come tutte le altre, vede la partecipazione di miele millefiori della zona e alloro. Alloro che la caratterizza senza stravolgerla, un tocco distintivo che a me è piaciuto parecchio. Anche perché, con i suoi 7% vol, la si beve volentieri, facilmente e a lungo.


Giovanni Rodolfi
Soddisfatto quindi degli assaggi fatti ero allora pronto a passare oltre, ma due minuti di chiacchiera in più mi hanno permesso di assaggiare l'ultima loro birra dell'unica bottiglia (non etichettata) che si erano portati in Alto Adige. Una kriek in buona sostanza, a fermentazione spontanea e aggiunta di ciliege varietà Moretta di Vignola. Non essendo, confesso, un fanatico della tipologia "spontanea" l'ho trovata una meraviglia. Una birra da aperitivo che mi avrebbe permesso di attraversare la strada e affrontare a testa alta uno stinco e un piatto di canederli al burro fuso. Una acidità bella convinta ma non sgraziata, un profumo di ciliege ovviamente ma anche di mandorle e tanto altro ancora, dissetante e determinata senza essere iper aggressiva. Ripeto, non essendo un fanatico, me ne sono quasi innamorato. Non ho idea di quante bottiglie ne facciano ma spero che la mettano in produzione tutti gli anni.

8 novembre 2010

Merano, la pils e il caviale

Due giorni a Merano per il notevolissimo (per affluenza e per rango di produttori) Wine Festival. Sono riuscito nella quasi incredibile impresa di non assaggiare alcun vino (tranne Prosecco e Cartizze di Le Colture) perché, per la prima volta, debuttavano le birre. Dieci produttori inclusa la "padrona di casa" Birra Forst e la "della famiglia" Menabrea, a seguire Amarcord, Birrificio del Ducato, Cittavecchia, Bruton, 32 Via dei Birrai, Turbacci, Zahre e Monastero di San Biagio (che ho assaggiato per la prima volta e su cui tornerò nei prossimi giorni). Location: la centralissima Kurhaus (si dirà al femminile o al maschile? Boh...)

L'ingresso della Kurhaus. Il biglietto costava 80 euro!

Pubblico numeroso con un biglietto da tagliar le gambe a sbevazzatori casuali, stand birrari piccolini ma attaccati uno all'altro. Sensazione, non mia ma dei protagonisti, positiva con inevitabili smagliature da debutto. Si può senza dubbio fare meglio il prossimo anno. Di sicuro c'è da correggere il tiro sulle birre in degustazione nel senso che i nostri potevano mettere in assaggio solo tre esempi della loro arte. Così mentre ho provato quasi tutte quelle di Zahre (fantastica l'Affumicata e sempre buona la Canapa), mi è sfuggita l'Ultima Luna del Ducato e tante altre belle loro cosette sulle quali spero presto di poter mettere le mani e il palato. A Merano si fa così ma, onestamente, non ne capisco il motivo. Solita marcia in più per il 32 Via dei Birrai, sia sotto il profilo della qualità dei prodotti di Fabiano sia dal punto di vista della grafica, design etc (torneremo presto anche su questo). D'altro canto 32 mi sembra proprio l'unico birrificio artigianale italiano che può vantare un'apparizione sull'iper elitaria rivista di design Wallpaper e scusate se è poco...

Le birredi Zahre. I ragazzi di Sauris hanno rinnovato il loro website
Serata con relativa cena nella dimora (definirla casa mi sembra riduttivo) della "first lady" della birra italiana ovvero Margherita Fuchs von Mannstein. Ospite straordinariamente affabile che ha saputo vincere un certo timore reverenziale provato dalla ridotta pattuglia giornalistica (almeno così è stato per me) di fronte a un arredamento degno dei migliori servizi di AD. Abbiamo naturalmente bevuto Birra Forst scoprendo un insospettabile ma affascinante abbinamento tra la Pils di casa e il Caviale Beluga con blinis all'orzo e luppolo. Il caviale era quello, eccellente a mio avviso ma molto più abbordabile - meno male - della bresciana Calvisius, geniale idea di un imprenditore lombardo del quale si dovrebbe scrivere di più, visto che, tra le altre cose, sembra esportare addirittura in Russia. Ma l'abbinamento è stato davvero ben fatto grazie a una pils che, volutamente, non è "troppo pils" nel senso amaro del termine e un caviale sì salato, ma molto delicato. Dopo tanta esclusività e atmosfera quasi d'altri tempi, rientro a Milano con "dimenticanza grave" al distributore di Brescia e conseguente "gita" di recupero. Come si dice, chi non ha la testa ha le gambe. O per lo meno, le ruote...

3 novembre 2010

Quel cartello "vendesi"...

Nella sinfonia festaiola che ho respirato al Salone del Gusto ho colto una nota stonata. Il mio cervello ci ha messo un po' a metabolizzarla, eppure il segnale era chiarissimo e difficilmente interpretabile. Sono sicuro che sia stato visto anche da altri ma, finora, non ho letto niente in merito. E allora inizio io. Mi riferisco al cartello "vendesi" che Enrico Borio aveva attaccato, in bella vista, sopra lo stand del suo Beba. Con Enrico ci conosciamo da anni, conosco il suo carattere a volte un po' "fumino", ma ne ho sempre apprezzato la sincerità e la grande capacità di lavoro. In un'occasione, durante un Cibus a Parma di qualche anno fa, lo ricordo come una componente essenziale per la riuscita dello "spazio birre artigianali" in città. Non lo avessi coinvolto, non so se saremmo riusciti in un'impresa realizzata in fretta e furia. Sono convinto anche che si sia impegnato molto per Unionbirrai, soprattutto nei primi difficili anni di pionerismo. E' per questi motivi, ma ce ne sarebbero anche altri, che quel cartello esposto al Salone del Gusto mi ha colpito particolarmente.

Lo stand del Beba al Salone del Gusto -Torino 2010
Certo, con Enrico si scherza sempre. Ma le sue intenzioni sono serie. Il Beba è davvero in vendita. E allora varrebbe la pena porsi qualche domanda anche se, probabilmente, tra gli squilli di tromba della moda birrarioartigianale e le nuove aperture che si succedono a ritmo quasi quotidiano, cadrà nel dimenticatoio. Perché il Beba appartiene alla prima schiera dei birrai artigianali, fa parte di quella "storica" pattuglia che ha avviato la rivoluzione e la sua, eventuale, scomparsa o cessione non ha lo stesso significato della chiusura di un birrificio che "ci ha provato" da pochi anni, magari allettato dalle sirene del business facile, e che si è reso conto che le vie della birra artigianale italiana non sono esattamente lastricate d'oro. Almeno non per tutti.
Perchè Enrico vende? I motivi vanno chiesti a lui, che ve li dirà nel suo, colorito, modo. Ma di certo qualcosa sembra essersi spezzato e, tolte le ragioni meramente personali, resta il dato di fatto. Che sia iniziata la fase di selezione che in molti, birrai compresi, paventano? Oppure che oggi fare birra artigianale in Italia, così senza troppi pensieri, non è più sufficiente? In un mercato che si infittisce di piccoli produttori, tra loro in inevitabile competizione, come si fa ad emergere (per sopravvivere)? Si deve fare birra buona ok, ma la si deve anche poter vendere. E allora, con oltre 300 impianti in attività e stante il ruolo massiccio di grandi aziende e importatori vari, dire "questa è una birra artigianale" forse non basta più.
Enrico ripensaci!
Questo post non vuole essere in alcun modo un "coccodrillo". Io vorrei che Enrico ci ripensasse, che il cartello "vendesi" fosse la sua ennesima "impennata" e, alla fine, la vita comunque va avanti. Magari Enrico andrà a fare la sua Motor Oil o la sua Toro in qualche isola polinesiana. Bene per lui, cercheremo di andare a trovarlo. Ma il suo cartello impone una qualche riflessione. Soprattutto a vantaggio di chi pensa che aprire un birrificio e farlo funzionare sia solo una questione di buone materie prime, capitali per l'avviamento e tanta fantasia...

2 novembre 2010

Toronado (I left my heart in...)

Così cantava Tony Bennett, riferendosi tuttavia alla città di San Francisco. Posso condividere, ovviamente. Soprattutto perché gli abitanti della città che, dopo più di cinquant'anni, è tornata a vincere le World Series di baseball, avranno la possibilità di andare a festeggiare al Toronado Pub. Io invece no. E la cosa un po' mi deprime. A vederlo da fuori, in effetti, il locale non ti impressiona. La prima persona che incontri solitamente ti chiede i documenti per verificare se hai compiuto i 21anni regolamentari. La cosa è successa anche a me, la prima sera, e confesso che dopo un attimo di stupore mi ha gratificato non poco. La sera successiva invece, malgrado le mie vibranti proteste, sono passato con uno sguardo d'intesa e basta. Un'insegna azzurrina a dirti che sei arrivato e un antro in penombra con gente assiepata al bancone, a sgomitare per ottenere una birra.
L'ingresso del Toronado
Ambiente dunque che descriverei come essenziale, fatto per gente che beve birra senza troppe elucubrazioni e senza, forse, nemmeno guardarsi troppo intorno. Si guarda al massimo lo sport in televisione o, luce permettendo, la birra del vicino per capire, dalla sua faccia, se gli piace o no. E, nel primo caso, la si mette in scaletta per l'ordinazione successiva. Su una lavagna sei messo al corrente delle birre alla spina disponibili: molti micro californiani (Russian River, Lagunitas), un buon tour americano (Allagash, Dogfish Head), apparizioni belghe e tedesche. Non si mangia al Toronado. O meglio, non si mangia il cibo del Toronado. Perché non esiste. Se dopo qualche birra si sente la necessità, comprensibile, di confortare lo stomaco sempre più in balia di un "mare forza 9", basta uscire e girare a destra. La vetrina del Rosamunde Sausage Grill è una benedizione scesa (quasi) dal cielo. "Fanno una cosa sola", ha scritto un giornale locale, "ma la fanno da dio". Le salsicce più succulente, caloriche, incasinate (come sapori) che mi siano mai capitate sotto i denti. Le potete trovare, e provare, anche di carne d'anatra o di fagiano. Fatto l'acquisto, si rientra al Toronado. Perché il vostro panino lo potete mangiare lì. Se c'è coda al Rosamunde, fate l'ordinazione, tornate a bere birra e poi rientrate, al minuto consigliato, al Rosamunde. Non lo so, io sono stato in una sorta di estasi mistica per tutto il tempo e per le due serate consecutive passate al "Toromunde".

Rosamunde Sausage Grill
Tuttavia, visto che adesso mi sono ripreso, provo a buttare giù un'idea. Che ci vuole per aprire un Toronado anche in Italia? E un Rosamunde? Ambienti piccoli, arredamento spartano, un notevole, questo sì, impianto di spillatura e una selezione birraria da paura (ma anche le salsicce non scherzano). Togli invece l'atmosfera da "priorato di Sion" che ogni tanto si respira in qualche locale italiano, menu che gironzolano tristemente tra panini e piadine, piadine e panini (senza menzionare le spesso orrende bruschette), cocktail e vini. Sia il Toronado sia il Rosamunde invece fanno "una cosa sola, ma la fanno da dio". Difficile? Forse ma nel caso qualcuno ci stesse pensando sono pronto a darvi il mio indirizzo di casa. L'ItalyToronado lo vorrei vicino. Il più possibile.

1 novembre 2010

Il giorno della zucca

Io onestamente non comprendo il livore che, spesso anche dal mondo cattolico, viene riservato alla festa di Halloween. Robaccia statunitense, viene detto, festa pagana che ruba spazio agli Ognissanti. E ancora: bieca operazione commerciale per "attizzare" bimbi e ragazzini e costringere i genitori ad aprire i portafogli. Sarà anche vero, e lo è senza dubbio, ma anche il Natale cristiano, a dire la verità, è la sostituzione di una festa pagana e l'orgia consumistica per l'arrivo del "Babbo surgelato" scatta almeno un mese prima del 25 dicembre. E vogliamo parlare della Befana, della festa del papà, del 14 febbraio e via dicendo? Perché va bene tutto, tranne Halloween?
Comunque non è di questo che volevo parlare e nemmeno della zucca che ho sapientemente intagliato ieri (e per la quale mi faccio i complimenti da solo, essendo la mia seconda volta), ma di birre alla zucca....

La zucca d Halloween... "home made"
A New York ho avuto il modo di provare due "pumpkin ale". La prima, molto buona, era la Post Road Pumpkin Ale di Brooklyn Brewery, provata alla spina in un locale a due passi da Times Square. La seconda, più buona ancora, l'ho trovata in una Heartland Brewery vicina al Ponte di Brooklyn e si chiama Smiling Pumpkin Ale. Confesso però di non avere un lungo background in fatto di birre alla zucca. Negli Usa, dove Halloween e tutto quello che ne consegue, la zucca regna sovrana già un mese prima del 31 ottobre, se ne fanno molte, alcune sono anche firmate da grosse aziende come Coors e Anheuser-Busch. In Italia conosco la Stregale del Birrificio Karma e ho sentito parlare della Candeot del friulano La Birra di Meni e poi buio totale. Sembra peraltro che, quest'anno, anche l'ineffabile Teo Musso abbia fatto proprio una birra alla zucca in omaggio alla tradizionale fiera annuale di Piozzo. Paesino che, prima del suo "avvento", era famoso proprio per l'arancione cucurbitacea. Sapendo per esperienza che quando Teo fa una mossa, qualcosa, prima o poi, succede, potrei anche aspettaremi che, per l'anno prossimo, le birre alla zucca made in Italy aumentino di numero... Si vedrà. Non tante, comunque, che Halloween resta pur sempre un'americanata....