30 luglio 2012

Ciao Franco

Scrivo queste righe dedicate a Franco Re in ritardo. Quando ho appreso la notizia, inaspettata e traumatica, mi trovavo in vacanza a Creta e ben poco potevo fare se non scrivere un rapido e conciso saluto su Facebook e su Twitter. Ma Franco, personalmente, merita qualcosa in più.
Franco Re, qualche anno fa...
Ogni volta che scompare qualcuno che hai conosciuto, inevitabilmente ciò che scrivi è filtrato dalla tua conoscenza della persona. Io Franco l'ho conosciuto alla fine del 1997 o i primi mesi del 1998. Avevo appena iniziato a collaborare con Il Mondo della Birra e ancora non mi rendevo conto che quella che consideravo una semplice passione potesse trasformarsi in un lavoro. Franco era fisicamente un po' diverso da quello che appariva negli ultimi anni, più simile alla prima foto che alla seconda. Leggendo i primi numeri della rivista (che è nata nel lontano 1983) avevo visto qualche sua foto ancora di più antica data e so che avevo scherzosamente pensato che, la birra, poteva essere un argomento interessante per la penna ma assolutamente rischioso per il giro vita.
Mentre io entravo negli ingranaggi del settore birrario conoscendo publican alternativi e seriosi manager di multinazionali, Franco era occupatissimo a definire gli ultimi tasselli di quella che sarebbe diventata l'Università della Birra. Tanto io riempivo pagine della rivista, tanto lui mollava il suo ruolo di colonna portante. Forse mi teneva d'occhio da lontano, perché un giorno, incrociandolo in redazione, mi disse: "Stai crescendo in maniera inquietante". Io lo considerai, e lo considero ancora oggi, uno dei migliori complimenti che mi siano mai stati fatti.
Franco negli ultimi tempi...
Non posso affermare di esserci frequentati con assiduità, ma quando lo vedevo restavo colpito, con un pizzico d'invidia, dalla sua cultura quasi enciclopedica. Capitava che si iniziasse a chiacchierare di birra belga o inglese per ritrovarci a discutere di "smorfia napoletana". Più che discutere, in realtà ad ascoltare, io, e a parlare, lui. Spesso non capivo come potevamo saltare di palo in frasca nel discorso ma erano delle belle chiacchierate. Aveva sempre un che di didattico nel suo interloquire. Un modo che solitamente a me mette i nervi, ma la sua bonomia compensava certamente quell'aspetto a me così tanto ostico. Del resto, Franco era della vecchia scuola, esponente di riferimento assoluto dell'era pre-artigianale. Si considerava un personaggio, certamente, e come tutti i protagonisti non ne faceva mistero. Ma in misura tollerabile. Senza spirito di onnipotenza e senza rivendicare diritti di primogenitura su qualsiasi cosa avesse a che fare con la birra.
Credo ne vedesse ancora l'aspetto "ludico" sebbene, per lui come per me, la birra fosse diventata un mestiere. Un mestiere comunque appassionante e nel quale lui ha buttato molte delle sue innumerevoli energie. Il ricordo di lui che mi terrò più stretto è comunque, senza dubbio, il suo "umanesimo", il fatto cioè di avere avuto molteplici interessi e di non essere mai stato un talebano. Alcuni suoi aneddoti e alcune sue imitazioni, del nostro mondo, erano fulminanti e molto divertenti. Mai livorosi. E questo mi piaceva davvero molto.
Un saluto, caro Franco, te ne sei andato via davvero troppo presto.