22 aprile 2009

Dirty Old Town


Un fine settimana di rapina, al lavoro ovviamente... Ma mancavo da Dublino da troppo tempo per rimandare ancora il mio consueto pellegrinaggio a Temple Bar e così fuga per la vittoria approfittando di un buon prezzo sul volo Aer Lingus da Linate in compagnia di Valentina e di amici fidati. Dublino ha pochi monumenti degni di nota, niente di paragonabile a Londra o a Parigi nè tantomeno a Roma, ma è un luogo dell'anima, ti entra sotto pelle in poche ore e, se hai il carattere giusto, non ti abbandona più. Quindi prima tappa, come sempre, al Mulligan's di Poolbeg Street che resiste alle falangi di turisti e mantiene la vecchia, solida, atmosfera del pub senza fronzoli, solo legno e spine. Qui la prima pinta di Guinness o di "black stuff" che dir si voglia. La prima di tante. Era dai tempi di Praga o della Croazia che non bevevo così di gusto, solo per sentirmi bagnare la gola e provare il pulito amaro finale di questa stout che a lungo è stata in cima alla lista dei miei desideri quando, vent'anni fa, ho cominciato a bere birra seriamente. Guinness, Guinness, Guinness... Nei pub ma anche nella Storehouse, dove ho incontrato anche, pur non riuscendo a metterlo a fuoco, Raimondo Cetani birraio dell'Hibu... Piccolo il mondo della birra, senile la mia mente smemorata...
Ma se di Guinness a Dublino potrei vivere, va detto che ho trovato grande soddisfazione nel mandare giù la Plain Porter di The Porterhouse e soprattutto la Galway Hooker, una formidabile irish pale ale che non conoscevo. Così come non conoscevo il The Bull & Castle (http://www.indublin.ie/Venues/Pubs/The_Bull_-_Castle_Gastro_Pub_-_Beer_Hall.aspx), gastropub a due passi dalla Christ Church e piccolo tesoro di microproduzioni irlandesi: da quelle delle isole Aran, che ho portato a casa, a quelle di Whitewater Brewery e di Franciscan Well che invece mi garantiscono un ritorno, spero presto, nell'isola di smeraldo.

14 aprile 2009

Le birre del pesce


Finalmente, dopo due tentativi andati a vuoto siamo, io e Valentina, riusciti a dedicarci una serata a Chieri al Grado Plato dall'ineffabile Sergio Ormea. L'occasione era quella delle Birre del pesce, rassegna di produzioni artigianali "strane"e, in qualche caso, ai confini con il delirio. Panoramica ampia e interessante, introdotta da Kuaska, e presentata "one to one" da quasi tutti i birrai presenti in sala. Al di là del solito piacere che provo nell'incontrare i produttori e nel poter fare due chiacchiere in libertà, alcune birre mi hanno colpito senza dubbio in chiave positiva come ad esempio la Saltinmalto del Bidu. Conoscendo Beppe e le sue capacità di immissione di birra nello stomaco ho pensato che avesse trovato una sorta di personalissima "pietra filosofale", questa infatti è una birra che ti mette sete e più ne bevi e più ne berresti in un gioco quasi letale che ti porta alla dipendenza. O alla pressione alta, vedete un po' voi. Però, a parte gli scherzi, davvero una gran bella prova di genio e (lucida?) follia. A dire il vero però, degli altri tentativi non sono rimasto molto ben impressionato, la Riz Tresor per celiaci era debolissima anche se con il riso è probabilmente difficile tirare fuori molto, la Canapa di Zahrebeer l'ho trovata in condizioni migliori e così pure la Borlotta di Arte Birraia (che per quanto "strana" possa essere, provo per lei una sorta di affetto "del territorio"... boh, non me lo so spiegare nemmeno io...). Sulla Musa d'estate ho un giudizio sospeso, mi ha preso in contropiede forse perché su Agostino sono tarato in un certo modo... In sostanza le birre che mi sono piaciute di più sono state quelle consolidate e meno "strane" a partire dalla Chocarrubica e Nanorò (leggera, ma godibilissima) del Grado Plato e la Soci's Schwartz del grande Paolo De Martin (la mia stima per lui aumenta di incontro in incontro). Ah, quasi dimenticavo l'Anteprima del Lambrate. Che dire... è sconvolgente, ha un gusto che si attacca al palato come carta da parati, ma a me è piaciuta molto. Non che ne berrei un boccale da mezzo litro, s'intende... (Nella foto, da sinistra: Beppe Vento, Sergio Ormea, Kuaska.

3 aprile 2009

Diritto di critica


Ho preferito lasciar passare qualche giorno prima di commentare il post lasciato da Davide Bertinotti, dal titolo "L'arroganza di certi birrifici", che si può leggere tra i commenti al mio post precedente. L'ho fatto perchè in primo luogo avevo bisogno di rifletterci sopra, anche se ammetto di non averlo fatto giorno e notte, e poi perché a volte è meglio scrivere a mente fredda, lasciando sedimentare la prima reazione di carattere umorale. Allora, la vicenda è abbastanza nota e la si può leggere su diversi forum, da quello di HobbyBirra a quello del Mobi, ed è stata anche abbastanza dibattuta.

In primo luogo sono del parere che la reazione del birrificio in questione sia stata quantomeno sopra le righe, andare per vie legali, oltre a una colossale perdita di tempo e soldi, è spesso controproducente dal punto di vista dell'immagine e ingenera fenomeni di "boicottaggio" dannosi, soprattutto quando l'azienda sta cercando di farsi conoscere sul mercato. Tatticamente, insomma, un errore. Di certo però, opinioni trancianti come quelle espresse, nei termini non nella sostanza, possono far incazzare chi le riceve. E' uno stile che non amo e che cerco di non praticare, anche se a volte la tentazione è forte, perchè ingenera fenomeni di "arroganza" anche nei cosiddetti commentatori. Insomma, c'è modo e modo e la successiva modifica del commento, che non ha alterato comunque e giustamente il contenuto, rivela che esiste sempre un'altra strada. Libertà di espressione del pensiero? Certo, se uno mi dicesse che un mio articolo non è piaciuto, che ho evitato di scrivere certe cose, che ho commesso certi errori, accetterei il confronto e, forse, ammetterei la colpa, se questa ci fosse. Sia come sia, sarei pronto alla discussione. Ma in uno che mi scrive, che so, "spero per te che gli articoli che vendi siano migliori di sta roba qua", troverei più l'insulto che la critica. E confrontarmi con lui sarebbe, per me, una snervante perdita di tempo e basta.
Mi sembra insomma che moderare gli animi sia un invito che vada rivolto a 360° gradi. In primo luogo perché dire che una birra non è piaciuta per niente è diverso che dire che quella birra avvelena, in secondo luogo perché ridicolizzare qualcuno può dare soddisfazioni, soprattutto crea un certo pacchetto di fan della "sentenza di morte", ma è poco costruttivo. Mi ripeto: nella sostanza il commento può essere estremamente negativo, sono i termini che vano pensati soprattutto quando si scrive e si fa leggere. Due sere fa ero a Chieri per le "Birre del pesce", seguirà post sull'argomento, e alcuni assaggi erano francamente inquietanti. Nessuno, né Kuaska né i birrai o gli "esperti" presenti in sala, ha stroncato nessuno. I più attenti hanno intuito, bastava guardare le facce, le reazioni, ma non c'è stata gogna pubblica o pubblico ludibrio.
Sono dell'idea che la reazione del birrificio sia sbagliata, esagerata, stupidamente minacciosa. Soprattutto perché il commentatore ha rapidamente modificato il suo giudizio, nella forma ribadendolo nella sostanza come è accettabile, tuttavia credo sia il caso, e questa è una considerazione generale e non legata solo al fatto specifico, che si debba un po' ripensare allo stile del commento su blog, forum e spazi internet di pubblica lettura. Lo so, le sensazioni (le parole) forti riscuotono sempre lo stupore di un certo pubblico, l'ammirazione dei pasdaran e magari un bel fanclub su Facebook, ma non sono utili a chi le riceve né alla maggior parte dei lettori.