21 giugno 2010

Birra e comunicazione



Mi è piaciuta fin da quando mi è stata proposta, da Lorenzo Bottoni di Bad Attitude (http://www.badattitude.ch/), l'idea di partecipare all'incontro sul tema "Birra e comunicazione" insieme a Davide Bertinotti, Agostino Arioli, Paolo Polli, Laurent Mousson, Tony Manzi, Antonio Simonetti, Luca di Birrophilia e Davide de La Bussola della Birra. Onestamente ho fatto del mio meglio per arrivare puntuale, sebbene tra Venezia e Milano la batteria della mia auto avesse deciso di smettere di collaborare, ma alla fine sono arrivato.

Argomento interessante, che per molti aspetti sento mio (non in esclusiva comunque...), e che mi sembra solo sia arrivato tardi sul tavolo delle discussioni. Non faccio qui la telecronaca del dibattito: non ho preso appunti, chi c'era lo sa meglio di me e ho visto altri report in giro per la rete. Piuttosto provo a puntualizzare alcune cose che forse ho detto e altre su cui ho sorvolato (complice anche un'ottima Bootlegger).


Allora, punto primo: bravo Lorenzo a sollevare l'argomento, che semmai andava già affrontato anni fa. Ovvio che ognuno è libero, nel suo mestiere, di fare quello che gli pare (tranne nuocere agli altri) tanto le conseguenze le paga lui. Osservo solo che certi birrifici, dalla nascita, si sono sempre orientati alla comunicazione. Altri meno. Mi sembra anche di poter dire che chi ha comunicato più efficacemente è oggi più conosciuto di chi non lo ha fatto. Ne deduco che comunicare è importante. Per tutti. Almeno per chi vuole uscire dal giro, benché affollato, dei soli appassionati. Punto secondo: se comunicare è importante perché a molti birrifici non sembra fregargliene niente o pochissimo? Domanda che mi pongo spesso, alla quale non trovo risposta e che risolvo passando ad altro (birrificio). Esempio concreto: sono stato tampinato per mesi da un birrificio artigianale che voleva proporsi per un articolo. Tanta passione, tanto entusiasmo, nessuna birra da provare e niente in bottiglia. Io su certe riviste scrivo solo di birre in bottiglia, perchè quei lettori sono interessati alle bottiglie. Non alla spina. Torto o ragione è così. E quindi, al momento, devo passare. Per settimane invece cerco di avere info e/o bottiglie da un altro birrificio perchè mi piacerebbe scriverne e non ottengo risposta. Nessuna illazione: nessun birrificio artigianale mi ha mai pagato per scrivere. Io me li cerco e io ne scrivo. Assumendomi la responsabilità delle scelte. Sta di fatto, comunque, che certi birrifici comunicano, altri no. Alcuni comunicano per altre vie rispetto a quelle che batto io, la carta stampata. E' una scelta legittima ovviamente, ma che non posso dire, a mio modo di vedere, accorta. Soprattutto quando non costa niente.

Terzo punto: come comunicare, ammesso che si voglia farlo. I corsi di degustazione, almeno quelli validi, vanno benissimo perché fanno proseliti, gli eventi pure, le associazioni sono meritevoli quando animate da spirito costruttivo, il passaparola e l'opera di alcuni, ancora troppo pochi, publican sono cose fantastiche. Poi ci sono i blog, i forum e la stampa ma se si sente il bisogno di parlare di comunicazione un problema ci deve essere. E, a mio avviso, risiede nei birrifici che da un lato sono poco organizzati o sensibili alla cosa, dall'altro non vogliono investire un euro su un ufficio stampa (anche collegiale) e quando va bene si affidano a qualche amico volenteroso. Forse è il caso di accorgersi che siamo usciti dalla fase pionieristica-entusiastica della birra artigianale italiana e siamo entrati nel pieno del gioco. Fatto di un mix di concorrenza e di professionalità, di qualità e costanza della produzione e di marketing (brutta parola ma necessaria), di (ancora più brutto magari) capacità di vendersi. Che non significa necessariamente prostituirsi, ma semplicemente tenere presente che per vendere beni "superflui" cioè non necessari al sostentamento umano, e la birra come il vino ne fanno parte, bisogna anche saperli raccontare. In una parola, comunicare.

8 giugno 2010

Ma dai, la birra al ristorante...


Ne avevo sentito parlare un paio di mesi fa, delle Menabrea Top Restaurant, ma ancora non ho avuto modo di assaggiarle. E così, comunque, ecco altri due arrivi nel sempre più affollato, di birra, canale della ristorazione. E' certamente un segno dei tempi e sembra davvero un'altra era geologica quando nei ristoranti appena appena blasonati, a volte semplicemente pretenziosi, a chiedere una birra si veniva guardati come marziani. Quando il miglior risultato possibile era vedere l'impassibile sommelier frugare vigorosamente nel fondo del cassetto refrigerato per estrarne una lager industriale. Portandola poi al tavolo con una certa riluttanza. L'estate scorsa mi è capitato di cenare alla Madonnina del Pescatore di Senigallia, quella del talentuoso Cedroni, aprire la carta dei vini e beccarmi una minilista d'apertura dedicata alle birre. Prima ancora avevo visto servire, da Cracco a Milano, una birra senza esitazione alcuna. Anzi raccomandata dal bravo sommelier. Che cosa è successo in questi ultimi tempi? E' successo che tutti si sono accorti delle birre artigianali italiane e a furia di parlarne, per la novità indubbia, si è creata una moda. E quando una cosa diventa di moda crea proseliti, suscita l'imitazione, viene insomma cavalcata come una tigre (sebbene di piccole dimensioni). Così allora Assobirra si è messa in scia, ha stretto accordi con associazioni di cuochi, i Jeunes Restaurateurs d'Europe, e con guide di settore, più o meno tutte, che a loro volta hanno iniziato a premiare le cosiddette "tavole della birra" stimolando ancora di più gli chef a prestare attenzione al fenomeno. Che ovviamente non poteva fermarsi alle birre artigianali, ma è finito per traslocare alle specialità belghe, a qualche arrembante americana, fino alle birre create apposta per la ristorazione. Sulle quali si può discutere certamente, ma che non si possono arrestare. Era francamente prevedibile, come è prevedibile che alcuni piccoli birrifici artigianali si mettano a fare qualche birra per grandi distributori o per grandi produttori, fino al momento in cui un grande si "farà" il suo piccolo birrificio personale, affidandogli ovviamente le birre creative, quele a tirtura limitata. E quelle di cui volentieri parlano i giornali. C'è poco da lanciare scomuniche e c'è da diffidare da chi indossa la veste del supremo magistrato contro questa presunta invasione. Anche le vecchie e storiche bottiglierie si sono viste in breve tempo accerchiate dai modaioli winebar. E adesso siamo, più o meno tutti, dei sommelier. E' la democrazia applicata al bere, è il libero mercato delle bottiglie. Che tuttavia trova adeguata compensazione nel discernimento personale. E nell'educazione al gusto.