30 dicembre 2009

Messaggio di fine anno



Il messaggio di fine anno, tranquillizzo subito tutti, non lo farò io. Solo che in questi giorni ho letto un passo da Vino al Vino di Mario Soldati che mi ha colpito e mi è rimasto dentro. Mi sembrava bello condividerlo. Eccolo dunque:


"La verità è che, in fatto di gusto, nessuno potrà mai sostenere che la maggioranza abbia necessariamente ragione. Nemmeno in politica è così. Infatti, che la maggioranza abbia sempre ragione non è, contrariamente a quanto si crede, la base della democrazia: ma soltanto il suo ideale, il suo miraggio. La base della democrazia è un'altra, più complicata, più delicata, più radicata nel cuore dell'uomo: è che gli inconvenienti di un regime politico autoritario sono, o presto o tardi, tali e tanti che è più saggio per i popoli affidarsi alle decisioni di una maggioranza, che abbia torto, piuttosto che alle decisioni di una minoranza, che abbia ragione. In ogni modo, questo, ovviamente, non è il caso del vino. Giacchè la minoranza, sempre più esigua, che difende il vino genuino e instabile, non pretende affatto di governare i consumatori e i produttori, nè di proibire il vino troppo lavorato e troppo stabile: si limita a compiangere codesta maggioranza e a consigliarle di convertirsi, per il suo bene. Nel vino, come nella cucina, può succedere che il parere di una persona sola sia più giusto del parere di milioni di persone".
Se volete, potete sostituire la parola birra alla parola vino. Buon 2010 a tutti...

11 dicembre 2009

Qui es in caelis...


Lo confesso, non ho mai dato di matto per il miele. Non mi è mai piaciuto spalmato su una fetta di pane (preferisco di gran lunga burro e zucchero), nè lo uso per addolcire bevande calde. Al massimo, come rimedio della nonna, ne mescolo un cucchiaio con rum e latte bollente quando sono raffreddato. Forse dipende dal fatto che non ho mai provato un grande miele. Invece lo scorso anno, nel girone dantesco e milanese dell'Artigiano in Fiera, mi sono trovato a tu per tu con Andrea Paternoster, apicoltore nomade e artefice dei Mieli Thun (http://www.mielithun.it/), che conoscevo solo indirettamente per le birre (Erica di Le Baladin, Utopia di BiDu e Troll) che impiegano alcuni dei suoi mieli. Con lui, cucchiaino dopo cucchiaino, ho visto la luce (in stile Jake Blues) e ho capito le differenze tra un miele di girasole (il preferito della Vale) e quello d'edera, tra quello di cardo (letteralmente fantastico) e quello di timo. Mi si è aperto un mondo di profumi e di dolcezze, di consistenze diverse. Una goduria pazzesca, senza mezzi termini e che volevo rendere pubblica. Soprattutto, ho scoperto che il mondo dei mieli è affascinante, ricco di sfumature, fatto di sano lavoro manuale (la definizione "artigianale" mi ha un po' stufato), di pazienza e di intuizione geniale. Quindi conoscere Paternoster (se riflettete sul cognome, si capirà anche il titolo forse un po' criptico di questo post) è stato proprio un bel regalo. Tanto che, quest'anno in fiera, l'acquisto di mieli Thun è stato paragonabile a quello di un malato cronico di bronchite...

9 dicembre 2009

Un po' di numeri


Al Simei, l'esposizione milanese di macchine e tecniche vitivinicole, si va, almeno nel mio caso, perché si deve. Poi magari si trova pure qualcosa di curioso e di interessante, ma ahimé tutto quello che riguarda chimica e tecnica, macchinari e utensili, mette sempre in difficoltà i miei neuroni. Così sono stato contento, dopo essermi sciroppato una dissertazione sui tappi, essermi fatto coinvolgere dalle linee di imbottigliamento viaggianti (nel senso che arrivano con un tir attrezzato e fanno tutto o quasi loro) e aver quasi masticato un'etichetta biodegradabile, nel leggere un dossier Birra preparato da qualche ufficio fieristico su basi e dati elaborati dalla solita "miniera" Beverfood, catalogone imprescindibile anche se dal prezzo che intimorisce.
Andando rapidi e saltando le mega-acqusizioni mondiali, si scopre che quattro gruppi (Heineken, Sab-Miller, AB-Inbev e Carlsberg) controllano oltre il 65% dei volumi totali, che le birre cosiddette "standard" valgono il 51% del mercato, che la birra più esportata in Patria in assoluto è la Beck's, seguita dalla Ceres e dalle birre dell'olandese Bavaria. Si scopre anche che i birrifici artigianali valgono tutti insieme oltre 150 mila ettolitri, un risultato insperabile fino a qualche anno fa, ma distante anni luce dagli oltre 5 milioni di ettolitri prodotti da Heineken e anche dai 500 mila che sembra valere la Ceres, in tutte le sue varianti.
Ogni tanto questa cifre me le vado a rileggere, un po' per mantenere i piedi per terra e un po' per considerare che il mercato della birra si sta in qualche modo "divaricando": da un lato percentuali, marchi e volumi, dall'altro nicchie, prodotti e bottiglie. E ciò, francamente, mi sembra meglio oggi di ieri. La scelta si è ampliata a dismisura, il consumatore è mediamente cresciuto, un comparto non cannibalizzerà l'altro, nemmeno se qualche grande gruppo deciderà, e non è detto che non succeda prima o poi, di "comprarsi" una birreria artigianale "da vetrina". Insomma, c'è spazio per tutti nel mercato italiano e ancora tanto da conquistare. Soprattutto per i più piccoli che, forse, l'unico pericolo che possono correre è quello di inerpicarsi troppo sulla vetta dell'eccellenza, vera o presunta che sia, dell'immagine e del prezzo. Il mercato è sempre una piramide. Stare in vetta è bellissimo, non c'è dubbio, ma in vetta la superficie calpestabile è alquanto limitata.

11 novembre 2009

Beer Lover's Britain



Per tutti coloro che, come me, si sono innamorati della birra sorseggiando una pinta ambrata in un pub caldo e fumoso in terra d'Inghilterra, spillata a forza di bicipite da un signore brizzolato e rubizzo, standosene poi appoggiati a bancone come un cavallo alla staccionata... ecco l'ultimo lavoro, in ordine di tempo, di Jeff Evans, una delle firme d'Oltremanica più note in materia birraria. Serio, curioso, competente, Jeff ha la capacità di raccontare con brio l'argomento che affronta, senza sbilanciarsi in giudizi apocalittici e senza mettersi al centro dell'attenzione. A mio avviso sono parametri che aggiungono ulteriore valore al suo lavoro. Detto questo il suo Beer Lover's Britain è un e-book rintracciabile e scaricabile dal suo sito (www.insidebeer.com) per 5.99 sterline (fate voi la conversione in euro, please...). Il contenuto è un compendio esaustivo e chiarificatore del mondo anglosassone della birra passando in rassegna produttori e stili, pub e retail, cultura e storia. Insomma, un volumetto agile a mio avviso da non perdere. L'unica controindicazione è che la voglia di acchiappare un volo per la terra d'Albione diventerà quasi insopportabile ma, arrivati al punto, basterà votarsi a Sant'Easyjet... Per quanto invece riguarda Jeff Evans , rumours lo danno in arrivo a febbraio a Pianeta Birra in veste di giurato alla prossima Birra dell'Anno organizzata da Unionbirrai...

7 novembre 2009

Lunedì a Golosaria...


Parte oggi l'edizione milanese di Golosaria, l'evento culturale e gastronomico firmato dal Club di Papillon guidato da Paolo Massobrio (http://www.golosaria.it/), all'Hotel Melià in via Masaccio. Ve lo comunico per due motivi, anzi tre: il primo è che l'occasione sembra interessante per conoscere produzioni artigianali di qualità, dai salumi ai formaggi, dai dolci alla pasta. Fare qualche assaggio e scambiare le proprie impressioni con i produttori (annunciata anche la presenza del grande Lelio Bottero allo stand delle Fattorie Fiandino). Il secondo motivo è perché ho sempre trovato il Golosario (al maschile) una delle guide più utili e interessanti del panorama librario enogastronomico con il merito ulteriore di aver considerato le produzioni di birra artigianale in tempi non sospetti, ovvero prima che il fenomeno esplodesse e diventasse, con tutti i pro e contro, una moda. Infine, il terzo motivo è che l'ultimo giorno di Golosaria, lunedì 9 alle ore 11, andrà in scena Teo Musso in un incontro a tre (ovvero Paolo Massobrio e il sottoscritto) sullo stile de "Il senso della vita" ossia una decine di foto che ripercorrono la storia di Teo e del Baladin, commentate da lui medesimo e intervallate dall'assaggio di tre birre: nell'ordine Super Baladin, Xyauyu e Open. Chi vuole partecipare può iscriversi gratuitamente all'evento, scaricando l'invito dal sito di Golosaria... Vi aspettiamo!

26 ottobre 2009

Il Big Bang della birra italiana?


Ho dato, ahimé, buca al Milano Whisky Festival e ne provo ancora rimorso. In compenso sabato mattina, pur ingannato dalla bastardissima sveglia del mio cellulare che non ha suonato, mi sono fiondato in quel di Pombia per seguire, per la prima volta nella mia vita, l'annuale convegno che in qualche modo celebra la scoperta del famoso, almeno dovrebbe essere tale, bicchiere in argilla contenente resti di pollini di cereali e di luppolo trovato nella tomba identificata 11/95 di un'antica necropoli pombiese databile attorno al VI secolo avanti Cristo. Una testimonianza importante, che certifica la presenza di una cultura brassicola in pianura padana prima che vi arrivassero i Romani e che getta una nuova luce sull'Italia "Paese del vino". Il tema del convegno di quest'anno aveva però a che fare con un'altra bevanda fermentata dal sapore antico, ovvero l'idromele. Tra i relatori il soprintendente per i Beni Archeologici della Liguria, Filippo Maria Gambari, Davide Bertinotti, che ha avuto il merito aggiuntivo di aver preparato una birra al miele, il "mitico" Tullio Zangrando, la ricercatrice Sabina Rossi e Franco Thedy, patron di Birra Menabrea (li vedete tutti nella foto). Sono rimasto affascinato da Gambari e le sue parole su tombe celtiche e usanze antiche, non per niente mi sono sciroppato in età adolescenziale Il Signore degli Anelli, divertito dagli aneddoti di Zangrando, ancora una volta stupefatto dalla competenza di Davide e infine intrigato dal lavoro meticoloso della dottoressa Rossi. Su tutto comunque, mi rimane in testa quel bicchiere d'argilla, un vasetto in realtà, che ho anche comprato (una replica ovviamente).

21 ottobre 2009

Ultimi assaggi...


Visto che passo la maggior parte del mio tempo ammanettato al notebook tentando di accontentare gli editori che mi rincorrono per gli articoli, editori che a mia volta poi devo rincorrere per i pagamenti, spezzo il ritmo stappando qualche birra e godendomela senza tante paturnie descrittive. La birra mi piace e, raggiunta una certa quantità, mi rende più fluida la scrittura e più chiara la mente. Detto questo vado a memoria sulle ultime birre che mi hanno piacevolmente impressionato e che, a dirla tutta, mi dispiace di aver terminato. Al primo posto ecco allora la Utopia 2009 prodotta in collaborazione tra il Bi-Du e il Troll, con miele di rododendro firmato Thun. Tanto di cappello a Dano e Beppe: profumi avvolgenti e fruttati, perfetto equilibrio in bocca, una birra goduriosa per la quale avrei francamente strizzato il vetro vuoto cercando di carpirne l'ultima goccia. Ho anche tirato il collo alle due irlandesi dell'isola di Aran ovvero la Rùa e la Bàn della Arainn Mhòr Brewing Company. Le avevo esportate dall'ultimo blitz a Dublino e le ho trovate gradevoli e non impegnative, abbastanza almeno da giustificarne il passaggio in valigia. Più che discreta infine la Gotha dell'Hibu, che sto bevendo adesso, per la struttura e il finale che ricorda la liquirizia dolce. Il tenore alcolico a quest'ora del giorno lo avverto pertanto torno rapidamente a scrivere quello per cui mi pagano. Forse.

9 ottobre 2009

Amor di Borgotaro


Sarò per sempre debitore a due miei cari amici, Giacomo e Marika, per questa scoperta dolce fatta a Borgotaro, provincia di Parma, dove i funghi porcini regnano sovrani. In misura tale da far dimenticare tutto il resto... Ma dopo una cena che avrebbe fatto scappare a gambe levate Jane Fonda, un peccato trent'anni fa ma oggi più che accettabile, ho avuto modo di azzannare una pasta dolce chiamata Amor e composta da due sottili cialde di wafer ripiene di una crema burrosa da svenimento. Qualche ricerca in rete e ho scoperto gli ingredienti del ripieno ovvero burro, zucchero, uova, farina, latte e mandorle tritate. Una goduria senza se e senza ma. Ne avrei fatto fuori un vassoio anche a costo di sentire il mio colesterolo saltare l'ostacolo dell'umana tollerabilità. Restringimento delle arterie a parte, l'Amor sembra essere di importazione svizzera (come le Ricola) e borgotarese solo d'adozione. Ma chissenefrega, è un dolcetto superlativo. Tanto inoffensivo alla vista e per le dimensioni, quanto in grado di dare assuefazione al primo morso. Di questi tempi, poi, c'è bisogno più che mai di dolcezza.

1 ottobre 2009

Benvenuto Torrone


Un paio di settimane fa ho accettato di fare un educational un po' fuori dai soliti giri, che sono più o meno tutti all'insegna delle bevande alcoliche e, con Valentina, ho fatto rotta per Cremona, patria del violino e del torrone. Ho accettato in primo luogo perché chi mi ha invitato è un buon amico e in seconda battuta perché, fin dall'infanzia, il torrone era per me il dolce più significativo del Natale. Da rosicchiare con la pazienza di Giobbe o da riempirsi le guance come un criceto, andava bene tutto. Mandorle o nocciole, ricoperto di cioccolato o tradizionale. A me, il torrone è sempre piaciuto fin troppo. Come mi ha sempre detto il mio dentista. Ma tra una visita all'azienda Rivoltini, artigianale modello zia-buona-molto-ben-organizzata, e alla Sperlari, formulauno profumata al miele e alle mandorle, ho semplicemente perso la testa. Ho agguantato dove ho potuto, ho annusato fino a intasarmi gli alveoli (sempre meglio che le mie maledette Camel comunque) e mi è sembrato di tornare infante ovvero quando sognavo, come in un racconto di Calvino (se non sbaglio...), di restare chiuso per una notte in una pasticceria.

Emozioni a parte, ho scoperto che di varianti il torrone è ormai ricco. Quelli già detti va bene, ma si fanno torroni con pistacchi, castagne, i canditi della cassata siciliana, aromatizzati al limoncello, con la panna cotta, con il nocino e via di dolcezze caloriche ma, ammettiamolo, consolatorie come mai di questi tempi. A Cremona il torrone va in scena a metà novembre circa (http://www.festadeltorronecremona.it/), per una manifestazione di piazza che l'anno scorso ha visto passare circa 100 mila persone per sgranocchiarsi in letizia torroni cremonesi, ma anche sardi, veneti, piemontesi, siciliani, calabresi, campani e spagnoli. Credo di essermi fatto prendere un po' la mano perché, tra un morso e l'altro, ho pensato che sarebbe una bella cosa dare da bere a tutti i torronedipendenti d'Italia e perché non provare con la birra artigianale... Ma quali birre abbinare ai diversi torroni che, pur giocando molto sull'ingrediente fondamentale che è il miele, offrono sensazioni diverse a seconda delle diverse declinazioni? Qualche suggerimento? Qualche birraio interessato a raccogliere una sfida che, male che vada, comporta assaggiare del buon torrone? E visitare Cremona, che è una gran bella cittadina. E suonare uno Stradivari al chiar di luna. No, quello non ve lo faranno fare. A meno che non sia di torrone pure quello.

30 settembre 2009

Back to Birra e Vino


Terminata la lettura del libro di Charles Bamforth, Birra e Vino, posto qui qualche impressione visto anche l'interesse condiviso con Arzaman, Luca e Tony. Allora, confesso innanzitutto che i romanzi di Don Winslow sono andati via molto più velocemente, ma Birra e Vino non è stato nemmeno come affrontare l'Ulisse di Joyce. Qualche perplessità, comunque, me l'ha lasciata. A parte l'errore, spero di traduzione e/o di ubriachezza, di definire il luppolo un cereale (per due volte a pagina 35), tutto l'impianto risente di una visione molto industriale nella fabbricazione della birra che rispecchia le esperienze dell'autore, ma anche un po' di spocchia verso i piccoli artigiani considerati dei dilettanti allo sbaraglio. Quello che per la grande azienda è vanto, leggi uniformità di prodotto nei secoli dei secoli, per l'artigiano è iattura. Io francamente credo ci sia spazio per tutti e che un mercato maturo possa offrire buone chance ai grandi, questo è abbastanza ovvio, ma anche ai piccoli...

Al libro però, un merito lo attribuirei ed è quello di rivendicare un po' di orgoglio alla categoria birra, cercando di metter in luce tutti i passaggi complessi della produzione e dando fiato alle possibilità di abbinamento, alla cura nel servizio e sottolineando la medesima dignità della birra verso il vino. Tralasciando naturalmente le battute verso quest'ultimo... Un po' tristanzuole...

11 settembre 2009

International Beer Challenge a Londra


Una toccata e fuga in quel di Londra con la consueta depressione al rientro in Italia. L'occasione mi è stata data dall'International Beer Challenge dove ho svolto (spero bene) il compito di giudice, unico italiano insieme ad Agostino Arioli. La mia prima esperienza in un concorso internazionale è stata intensa e vibrante, soprattutto perché queste sono occasioni dove ovviamente si assaggia molto ma si impara ancora di più. Il fatto poi di essere stati praticamente imbullonati per tutto il tempo al White Horse ha reso la cosa ancora più entusiasmante perché pur testando una cinquantina di birre, da leggere lager fino a impegnative wood aged, farsi una pinta in piedi appoggiati al bancone del bar è per me la sensazione più gratificante. Ergo, serata prima del concorso a bere al WH, giornata successiva spesa in assaggi, finale con ultimi giri di pinte e trasferimento finale al The Rake, piccolo ma sapiente pub in Borough Market per passare in rassegna quasi tutte le birre di Brewdog con finalone di due diverse annate di Tokyo. Fantastico tutto, anche l'allarme antincendio suonato alle due di notte nel mio alberghino di Fulham Broadway. Infine qualche considerazione anche per spiegare la foto scelta: gli assaggi erano tutti naturalmente alla cieca; provare diverse categorie senza delle nette interruzioni (impossibili per questioni di tempo) facilita le prime birre della categoria "superiore" (ovvero dopo tante lager, alcune davvero acquette, la prima bitter ale mi è sembrata paradisiaca); gli assaggi del mio tavolo si sono conclusi, lo abbiamo saputo solo dopo, con tre annate diverse della famosa o famigerata Utopias di Samuel Adams (la foto) che, a onor del vero, non mi ha entusiasmato follemente. La bottiglia è da scaffale dei memorabilia su questo non discuto, ma mi è sembrata un po' sbilanciata, "violentemente" alcolica, troppo muscolare... Insomma, non la mia birra anche se, in una versione, un ritorno di aromi vanigliati era senza dubbio interessante...
Di Brewdog invece parlo bene: Punk Ipa, Edge e Trashy Blonde erano eccellenti, della Tokyo onestamente ho apprezzato di più la vecchia annata perché mi sembrava più fine e austera, più completa. La nuova Tokyo alla spina l'abbiamo ordinata in bicchieri da assaggio ovvero un terzo di pinta allo stratosferico costo di 6 sterline l'uno. Non male, no? Se adesso Agostino aumenta i prezzi al Birrificio sapete da dove gli è venuta l'idea... ;-)

25 agosto 2009

No, le pinte di plastica, no...


Uno non fa in tempo a riassestarsi alla tastiera, scuotersi la sabbia di dosso e la sensazione di sale sulla pelle ed ecco che gli tocca commentare la ferale notizia che nel Regno Unito il ministero dell'Interno ha deciso di affidare uno studio destinato a introdurre nei pub la pinta di plastica causa troppi vetri rotti in testa durante le risse tra avventori. A parte il fatto che, nella mia piccola esperienza, ho visto gli inglesi fare a botte solo quando sono all'estero in vacanza o, al massimo, organizzare qualche "simpatica" caccia all'italiano nelle cittadine dove si andava a fare vacanza-studio, ma nutro seri dubbi che la rissa sia pratica endemica tale da richiedere un provvedimento del genere. Vero anche, è che potrei essere io a frequentare pub tranquilli, tradizionali, spesso fuori dai circuiti modaioli e calcistici, ma l'eventuale abbandono del vetro, di quella solida sensazione di tranquillità che si prova a stringere nella mano una pinta colma di ale, verrebbe irrimediabilmente distrutta dalla plastica, per quanto questa possa essere spessa e di design. Insomma, mi rifiuto di credere che la denunciata rissosità delle giovani generazioni britanniche debba essere fermata con questo provvedimento, già i maxischermi e le lager continentali mi intristiscono quando varco la soglia di un pub inglese, figuriamoci se mi mettessero in mano un contenitore in pet. Mi auguro allora che il Camra (http://www.camra.org.uk/) si adoperi per scongiurare questa mossa che sa di declino, di poco rispetto per una nobile bevanda e, in ultima battuta, di "misura all'italiana" di fronte al presunto problema.

21 luglio 2009

Letture per l'estate


Forse è davvero la volta buona. Ancora qualche giorno sul notebook e poi la consueta dissolvenza per un paio di settimane. Ovviamente senza guardare mail, accendere il cellulare, lurkare (ho imparato una parola nuova) in giro tra blog e forum altrui. Come sempre arrivo a luglio un po' nauseato anche se sono consapevole che, dopo due giorni passati al sole come un ramarro, mi assalirà la crisi di astinenza da tastiera. Poco male, ho parecchie birre da bere con calma e alcuni libri da leggere il più rapidamente possibile. Per poterne poi acquistare altri, ovviamente. Di sicuro mi porterò via l'ultimo di Don Winslow, Il potere del cane, perché il primo, L'inverno di Frankie Machine, bruciava tanto andava via veloce. Chiuderò anche la lettura di tutto, o quasi, quello che ha scritto Edward Bunker con Mia è la vendetta e poi passerò a Gore Vidal e al suo Giuliano. Ma, visto che delle mie letture potrebbe anche, legittimamente, fregarvi poco, segnalo un libro che mi sembra promettere bene ovvero Birra e Vino di Charles Bamforth, uscito da poco per Donzelli Editore. Da qualche parte ho letto una recensione che metteva in evidenza i differenti approcci alla comunicazione e al marketing da parte dei produttori di vino e quelli di birra e sono abbastanza curioso di sapere se, alla fine, sarò d'accordo con l'autore oppure no. Questi ultimi giorni milanesi sono trascorsi ammanettati alla scrivania con uno stacco gratificante per la festa del Bi-Du a Bizzarone domenica scorsa. Il locale Le birre del Bi-Du mi è piaciuto parecchio, rivedere Beppe Vento e gli altri birrai presenti anche di più. Tra le birre assaggiate, quelle che mi hanno colpito maggiormente sono state la Yerba del Bi-Du e la Dau' del Troll, la prima per quella definita nota aromatica che mi ha fatto venire voglia di correre al mio take away indiano preferito, la seconda perché si lasciava bere da sola. Buona senza bisogno di impressionare, come chi è talmente sicuro di sè da non avere nemmeno bisogno di dimostrarlo.

9 luglio 2009

Ligera? Leggera!


Posto qui, perché se mai ne avessi avuto intenzione di iscrivermi ora mi è passata del tutto, un topic uscito sul forum del MoBi intitolato "Ligera? Leggera!" dove il vicepresidente chiosa in maniera, a mio modo di vedere insinuante, il fatto che ho descritto la Ligera del Lambrate con le parole "Nel palato scorre, per l'appunto, leggera..." nel numero di luglio del Gambero Rosso. Al che la risposta di un consigliere è stata: "Ma povero Maurizio, Xe veneto, ostrega!". Che dire, avrei davvero preferito non leggerla, il fatto è che purtroppo, per dovere professionale e per curiosità personale, sfrucuglio abbastanza spesso nei forum, newsgroup e blog altrui. Cerco sempre di informarmi o di tenermi aggiornato, includendo nella lettura anche diatribe di cui mi frega poco o punto (questo è un toscanismo montanelliano perché pur essendo veneto di origine, discendo da toscani con "imbarbarimento" lombardo...). Colpa mia dunque, che dovrei fare il mio lavoro parlando con i birrai e stop. Invece cerco di allargare, dove e come posso, lo sguardo alla realtà artigianale nel suo complesso segnalando siti che reputo interessanti come microbirrifici.org e, almeno una volta mi pare di ricordare il MoBi. Ripeto, colpa mia. Il fatto è che della storia della Ligera, nomignolo dato alla malavita milanese di anni fa, sapevo: mi è bastato leggere rapidamente il sito del Lambrate per scoprirlo. Benché forse me l'avesse detto proprio qualcuno di loro, ma non sono sicuro. La frase segnalata dalle alte sfere del MoBi andava letta come un gioco di parole e niente più. A mio avviso era anche simpatico e non credo comunque che i lettori del Gambero mi spareranno per non aver loro rivelato una così preziosa informazione come la vera origine del nome. Invece vengo paragonato a quel tale, portato a esempio da Kuaska, che sbaglia l'origine del nome Golding... Che tristezza, davvero. In contumacia, portato davanti alla Sacra Rota della birra italiana e condannato con sarcastica irrisione. Vabbé ragazzi, prendo atto e memorizzo. Non ho evidentemente i meriti per ascendere alle vette immacolate del Monte Olimpo della cultura brassicola nazionale, lassù l'aria è troppo rarefatta e faccio fatica a respirare. Visti da qua sotto siete bellissimi come gli dei, inavvicinabili come loro, perfetti e luminosi come gli astri che vi hanno creato per portare la luce ai plebei che si infangano sulla terra.

7 luglio 2009

Ligera uber alles


La foto l'ho fregata dal loro sito, lo ammetto subito ma è dovuto al fatto che tra un tracollo del notebook e il lavoro non so dove diavolo è finito il mio archivio fotografico. In più, con tutto quello che ho da scrivere in settimana, nel tentativo vano di fiondarmi in ferie subito dopo e sparire dall'orizzonte degli editori, non dovrei essere qui a scribacchiare sul mio blog. Però, eggià però, per una birra come la Ligera del Lambrate un'eccezione la faccio volentieri. Perché? Perché è una birra che letteralmente adoro, perché l'ho bevuta qualche mese fa nel momento giusto, con la testa sgombra dai pensieri e senza nessuno che mi guardasse per capire cosa ne pensavo, perché mi ha sradicato letteralmente la sete di dosso, perché mi ha lasciato in gola un amaro che ti fa voglia di fare "aahhh" come i bambini assetati e passarmi una mano sulle labbra, perché è finita presto e mi è sembrato naturale prenderne subito un'altra, perché mi ha dato quella sensazione di libertà intima che mi ha fatto amare tanto la birra nelle sue declinazioni più informali. Luppoli, malti, lieviti, bassa e alta fermentazione, e tu da chi prendi ispirazione e perché la birra la fai così... Scusate ma a luglio la lampadina nel mio cervello tremola e i miei quattro neuroni iniziano a ballare la rumba. E' il momento in cui le parole contano sempre meno e la birra è solo liquido prezioso che mi entra in testa per le pulizie di primavera. In effetti, è anche il momento nel quale meglio comprendo quanto sono fortunato a fare questo lavoro...

1 luglio 2009

Gambero e Prosecco


Il titolo potrebbe voler significare un abbinamento. Che tra l'altro non è nemmeno male. Ma questo post vuole essere solo una comunicazione di servizio: sintetica perché sono giornate incandescenti di lavoro, oltre che di temperatura sahariana e umidità amazzonica, e perché sono, lo ammetto, ben contento di rivelare che sul numero di luglio del Gambero Rosso appare la mia prima collaborazione (le due pagine di classifica delle birre artigianali da bere in estate) e che, lo scorso 26 giugno, alla Scuola Enologica di Conegliano Veneto, ho ricevuto il premio per il miglior articolo apparso su riviste e periodici nel Concorso Giornalistico Primavera del Prosecco con un servizio intitolato "Il segreto del Prosecco" e apparso su Il Luogo Ideale. Gli altri premiati erano Anna Scafuri del TG1 (sezione Radio e Televisioni), Antonella Lanfrit del Sole 24 Ore (sezione Quotidiani), Alessandra Moneti dell'Ansa (sezione Web) e Anna Sandri de La Stampa (Primo Premio Assoluto). Insomma, me la canto e me la suono da solo e non è che la cosa mi esalti al massimo. Ma, che ci volete fare, son contento... Ogni tanto vedere riconosciuto il proprio lavoro fa bene e sarei ipocrita a non ammetterlo...
Vabbé, torno a lavorare che è meglio...

6 giugno 2009

Il diavolo e l'acqua santa


Rulli di tamburi, e nemmeno tanto in lontananza, nella giungla della birra artigianale italiana. Due profeti del movimento hanno varcato la soglia degli inferi e non lo hanno fatto per convertire ma, per essere convertiti. L'annuncio, riportato e commentato con la consueta serenità dal sempre tempestivo Andrea Turco di Cronache di Birra, poi più o meno contemporaneamente, credo, da Fermento Birra, da Mondobirra, etc... sembra aver gettato lo scompiglio tra gli appassionati. In realtà nessuno aveva fatto una piega, mi sembra, quando già da inizio anno alcuni birrai avevano aderito ad Assobirra, ma che l'abbiano fatto due gesucristi come Teo Musso e Leonardo Di Vincenzo ha aperto le cateratte del cielo. Da qualche giorno ci sto pensando anche io. Chissà poi perché, visto che quando ne avevo scritto su Barbusiness di febbraio la cosa non mi aveva turbato più di tanto. E mica perché allora a entrare nella confindustria, oddio che volgarità, erano stati l'Atlas Coelestis e compagnia, ma solo perché mi sembrava un abbastanza logico approdo per chi, dalla dimensione modello guerriglia di Sendero Luminoso era arrivato a quella di giovane imprenditore desideroso, anche, di guadagnare. Quello che non capisco è lo stracciarsi le vesti, il minacciare ritorsioni, il "come li abbiamo fatti, ora li distruggiamo" e via di questo passo... Mi suona tanto da amanti traditi, da "meno siamo e meglio stiamo", come quelli che ti dicono che una volta sì che la Pilser Urquell era buona, ma adesso... E io mi chiedo sempre: una volta quando? Dieci anni fa, cinquant'anni fa, nel 1860? E allora quando i treni arrivavano puntuali? E quando c'erano le mezze stagioni? Agli inizi probabilmente Teo faceva le birre da solo, una a una e pure le etichettava personalmente o quasi. Ma da quanti anni le birre, chiamiamole standard, non le fa più Teo? Fanno schifo adesso? Boh, sicuramente ci sarà qualcuno che dirà: eh, non sono più quelle di una volta... A me piacciono ancora. Così come piacciono ancora quelle di Leonardo. E' questa costante divisione tra nero e bianco, tra il diavolo e l'acqua santa, che non comprendo. La visione manichea delle cose. Le guide non sono la Bibbia o un libro da ardere a seconda di chi le fa. Sono consigli che si possono seguire o meno, giudicare sempre. I guru, i sacerdoti, gli esperti non sono vati illuminati la cui parola è legge. Ma solo persone che ci fanno conoscere cose che ancora non conosciamo, ma sulle quali il giudizio spetta solo a noi. Singoli individui. Una birra è buona se per noi è buona. Non se lo dice qualcuno o se la fa un artigiano. L'educazione al gusto non è indottrinamento. Perché non siamo polli in batteria. E allora il tanto vituperato ingresso di due ottimi produttori artigianali in Assobirra non è niente di così drammatico. La gran parte della gente continuerà a bere ciò che vuole, grazie a Dio. I megaproduttori si scanneranno sulle quote, altrettanto mega, di mercato, i piccoli lavoreranno sulla nicchia e se cresceranno ancora un po' dovranno allargare il loro mercato perché sui ristoranti stellati e sulle enoteche di lusso ci campi finché fai davvero poco. Ma anche in quel caso si dovranno distinguere perché prima di arrivare ai volumi, e ai fatturati, delle megaziende ci vorranno delle generazioni. Insomma, mi sembra si stia facendo un gran casino sul nulla, e soprattutto che lo si stia facendo su basi ideologiche ammantate della parola "etica". Ma crescere, fare profitto, è assolutamente etico, quando non sfoci nel reato, per un imprenditore. E questo sono i birrai. Ne più nè meno. La loro birra, dopo essersi asserviti al Golem confindustriale, scadrà al livello di un'acquetta bicarbonata? Bene, ci sarà chi la berrà perché intanto il marchio è diventato trendy e nel frattempo nasceranno nuovi birrai ancora più artigianali, la nuova generazione di duri e puri, pronti a essere scoperti dai guru e dalle guide e pronti, dopodomani, a entrare in Assobirra. E il ciclo riprenderà immutabile. Questo è il mercato, questa è la natura umana. Ovviamente con, sullo sfondo, i cori di dolore dei "ti ricordi tu, tanti anni fa, quanto era buona quella birra....".

1 giugno 2009

Speyside Break


Ogni anno, chissà poi per quale arcano motivo, non appena intravedo l'estate che si avvicina, il lavoro diventa frenetico al limite del parossismo. Quasi fosse un disperato colpo di coda per tenermi ammanettato al notebook. La notizia, ovviamente e di questi tempi, è positiva ma tra articoli da consegnare, la degustazione a Crema con l'Ais Lombardia sulle birre artigianali lombarde e i viaggi di lavoro a Cagliari e a Roma, sono state settimane intense e anche un po' schizofreniche. Se però dovessi scegliere "l'attimo fuggente" sarebbe senza dubbio quello che vedete in questa foto. Si tratta della mia mano (credetemi sulla fiducia), di un calice di Glenrothes Select Reserve e del panorama di un angolo dello Speyside scozzese. Visto dalla sorgente le cui acque compongono questo single malt "soffice" e setoso, comodoso mi verrebbe da osare. La camminata per raggiungere la sorgente è durata una buona mezz'ora, in salita, tra rovesci di pioggia ogni cento metri, più o meno, sguardi indagatori di cordiali bovini al pascolo, e profumi di trifoglio, erba bagnata e fiori. Un'aria pulita che a un milanese, per quanto d'adozione come me, comporta lievi giramenti di testa (troppo ossigeno evidentemente) e una degustazione finale che, d'un balzo, tra il lieve vento in faccia e l'arcobaleno spuntato in valle, si è iscritta di rigore come la più bella della mia vita. E con questa mossa, l'anfitrione della giornata, Ronnie Cox, è diventato il mio uomo di pubbliche relazioni preferito... Glenrothes, in tutta onestà, mi era piaciuto molto già a Milano, ma tutte le sensazioni provate in Scozia mi hanno messo in pace con me stesso. Talmente in pace che quando il mio notebook (quello di adesso è il netbook di riserva) ha ceduto di schianto, l'ho presa con filosofia. Nemmeno avessi fatto colazione con corn flakes e fiori di loto... Scotland forever!

19 maggio 2009

E... lezioni italiane


Vabbé, il titolo del post è un po' forzato perché volevo fare il paio con il precedente, ma nella foto, insieme ad Alessio Gatti del Birrificio Bruton, ci sono io davanti a una piccola platea di studenti della Facoltà di Scienze Gastronomiche a Pollenzo. Sto tenendo una "lezione" sull'argomento Birra & Giornalismo in un corso voluto e organizzato dagli stessi studenti. Questa cosa, raccontata con un po' di enfasi, ha reso in qualche modo orgogliosa pure mia madre, e non capitava da anni, che probabilmente non ha mai mandato giù il mio abbandono di Giurisprudenza a cinque esami dalla laurea. Poco male perchè la mattinata con i ragazzi di Pollenzo mi ha regalato sensazioni "strane": in primo luogo ho capito che sono definitivamente troppo anziano per fare lo studente; poi che spiegare trucchi del mestiere a gente che prima o poi potrebbe farmi le scarpe è decisamente autolesionistico. In realtà, mi è sembrato che la pattuglia di volenterosi fosse più interessata a comprendere il mercato e le prospettive della birra artigianale in Italia e che, tra loro, ci fossero più potenziali birrai che giornalisti di settore. Ma la conversazione mi è sembrata interessante, soprattutto per gli spunti che mi sono arrivati e che magari matureranno nella mia testa in qualche tempo. Anche questa è stata comunque la riprova che la birra artigianale è sempre più sugli scudi: se ne parla sempre più spesso, si moltiplicano le occasioni di incontro e di degustazione, la si trova nei ristoranti più blasonati. E' un gran bel momento, non c'è che dire... Eppure, chissà, a volte è proprio all'apice della festa che si verificano i primi scricchiolii, solo che nessuno li sente per il troppo rumore... Anche sul Titanic, in fondo, si ballava, no? Ogni giorno mi giungono notizie di nuovi impianti in produzione e nuove birre sul mercato, dopo la cavalleria degli esploratori stanno arrivando le legioni. E' un bene o un male? Forse entrambe le cose perchè a volte le masse si trasformano in slavina e dopo sarà più difficile distinguere i bravi dagli improvvisati. Forse lo è già. Per dirla insomma alla Arbore: vigilate, gente, vigilate...

9 maggio 2009

Lezioni americane


Incontrare Garrett Oliver, brewmaster della Brooklyn Brewery di New York, e Sandro Vecchiato, amministratore delegato di Interbrau, non è stato il classico appuntamento di lavoro con intervista ovviamente connessa. O per lo meno, non solo. Del talentuoso birraio della Grande Mela avevo, come molti, sentito parlare a lungo, alcune sue birre le avevo assaggiate in Italia e all'estero, ma di lui non sapevo nulla dal punto di vista personale. Poteva essere un sussiegoso tizio consapevole della sua fama oppure un abbottonatissimo americano da cui cavare parole di bocca con la pinza. Invece, grazie a Dio, ho portato il registratore con me e ho inciso un vero e proprio fiume di parole intervallate da poche, brevi, domande. Garrett Oliver è indubbiamente un uomo di comunicazione, ma trasuda letteralmente una passione smodata per la birra, da quando ne è stato fulminato in Europa dove si trovava per lavoro. Passione indubbiamente, ma anche un approccio molto serio, quasi severo, verso l'arte brassicola. Questo, forse, la parte che mi ha colpito maggiormente di lui. La creatività lo affascina tanto quanto la competenza e quando gli ho chiesto cosa avrebbe suggerito a un giovane birraio alle prime armi, mi ha risposto che una delle prime cose da provare a fare bene è una pilsner. La competenza si acquisisce con il tempo e con la pratica, confrontandosi con i birrai più esperti. A un certo punto mi ha chiesto: "In Italia non avete un mastro birraio in pensione che possa trasferire il suo bagaglio tecnico ai giovani che vogliono imparare?". Uno, a dire il vero, ci sarebbe, ho risposto pensando a Tullio Zangrando, un maestro di modestia quanto di tecnica. Ma chissà cosa ne penserebbe Zangrando, già impegnato con Theresianer... Ma, al di là di questo, quanto pesa la fantasia e quanto la tecnica per far saltare fuori un bravo birraio? Forse è una domanda che vale la pena porsi, in un momento in cui in Italia nascono brewpub e microbirrifici come funghi dopo una pioggia autunnale...

22 aprile 2009

Dirty Old Town


Un fine settimana di rapina, al lavoro ovviamente... Ma mancavo da Dublino da troppo tempo per rimandare ancora il mio consueto pellegrinaggio a Temple Bar e così fuga per la vittoria approfittando di un buon prezzo sul volo Aer Lingus da Linate in compagnia di Valentina e di amici fidati. Dublino ha pochi monumenti degni di nota, niente di paragonabile a Londra o a Parigi nè tantomeno a Roma, ma è un luogo dell'anima, ti entra sotto pelle in poche ore e, se hai il carattere giusto, non ti abbandona più. Quindi prima tappa, come sempre, al Mulligan's di Poolbeg Street che resiste alle falangi di turisti e mantiene la vecchia, solida, atmosfera del pub senza fronzoli, solo legno e spine. Qui la prima pinta di Guinness o di "black stuff" che dir si voglia. La prima di tante. Era dai tempi di Praga o della Croazia che non bevevo così di gusto, solo per sentirmi bagnare la gola e provare il pulito amaro finale di questa stout che a lungo è stata in cima alla lista dei miei desideri quando, vent'anni fa, ho cominciato a bere birra seriamente. Guinness, Guinness, Guinness... Nei pub ma anche nella Storehouse, dove ho incontrato anche, pur non riuscendo a metterlo a fuoco, Raimondo Cetani birraio dell'Hibu... Piccolo il mondo della birra, senile la mia mente smemorata...
Ma se di Guinness a Dublino potrei vivere, va detto che ho trovato grande soddisfazione nel mandare giù la Plain Porter di The Porterhouse e soprattutto la Galway Hooker, una formidabile irish pale ale che non conoscevo. Così come non conoscevo il The Bull & Castle (http://www.indublin.ie/Venues/Pubs/The_Bull_-_Castle_Gastro_Pub_-_Beer_Hall.aspx), gastropub a due passi dalla Christ Church e piccolo tesoro di microproduzioni irlandesi: da quelle delle isole Aran, che ho portato a casa, a quelle di Whitewater Brewery e di Franciscan Well che invece mi garantiscono un ritorno, spero presto, nell'isola di smeraldo.

14 aprile 2009

Le birre del pesce


Finalmente, dopo due tentativi andati a vuoto siamo, io e Valentina, riusciti a dedicarci una serata a Chieri al Grado Plato dall'ineffabile Sergio Ormea. L'occasione era quella delle Birre del pesce, rassegna di produzioni artigianali "strane"e, in qualche caso, ai confini con il delirio. Panoramica ampia e interessante, introdotta da Kuaska, e presentata "one to one" da quasi tutti i birrai presenti in sala. Al di là del solito piacere che provo nell'incontrare i produttori e nel poter fare due chiacchiere in libertà, alcune birre mi hanno colpito senza dubbio in chiave positiva come ad esempio la Saltinmalto del Bidu. Conoscendo Beppe e le sue capacità di immissione di birra nello stomaco ho pensato che avesse trovato una sorta di personalissima "pietra filosofale", questa infatti è una birra che ti mette sete e più ne bevi e più ne berresti in un gioco quasi letale che ti porta alla dipendenza. O alla pressione alta, vedete un po' voi. Però, a parte gli scherzi, davvero una gran bella prova di genio e (lucida?) follia. A dire il vero però, degli altri tentativi non sono rimasto molto ben impressionato, la Riz Tresor per celiaci era debolissima anche se con il riso è probabilmente difficile tirare fuori molto, la Canapa di Zahrebeer l'ho trovata in condizioni migliori e così pure la Borlotta di Arte Birraia (che per quanto "strana" possa essere, provo per lei una sorta di affetto "del territorio"... boh, non me lo so spiegare nemmeno io...). Sulla Musa d'estate ho un giudizio sospeso, mi ha preso in contropiede forse perché su Agostino sono tarato in un certo modo... In sostanza le birre che mi sono piaciute di più sono state quelle consolidate e meno "strane" a partire dalla Chocarrubica e Nanorò (leggera, ma godibilissima) del Grado Plato e la Soci's Schwartz del grande Paolo De Martin (la mia stima per lui aumenta di incontro in incontro). Ah, quasi dimenticavo l'Anteprima del Lambrate. Che dire... è sconvolgente, ha un gusto che si attacca al palato come carta da parati, ma a me è piaciuta molto. Non che ne berrei un boccale da mezzo litro, s'intende... (Nella foto, da sinistra: Beppe Vento, Sergio Ormea, Kuaska.

3 aprile 2009

Diritto di critica


Ho preferito lasciar passare qualche giorno prima di commentare il post lasciato da Davide Bertinotti, dal titolo "L'arroganza di certi birrifici", che si può leggere tra i commenti al mio post precedente. L'ho fatto perchè in primo luogo avevo bisogno di rifletterci sopra, anche se ammetto di non averlo fatto giorno e notte, e poi perché a volte è meglio scrivere a mente fredda, lasciando sedimentare la prima reazione di carattere umorale. Allora, la vicenda è abbastanza nota e la si può leggere su diversi forum, da quello di HobbyBirra a quello del Mobi, ed è stata anche abbastanza dibattuta.

In primo luogo sono del parere che la reazione del birrificio in questione sia stata quantomeno sopra le righe, andare per vie legali, oltre a una colossale perdita di tempo e soldi, è spesso controproducente dal punto di vista dell'immagine e ingenera fenomeni di "boicottaggio" dannosi, soprattutto quando l'azienda sta cercando di farsi conoscere sul mercato. Tatticamente, insomma, un errore. Di certo però, opinioni trancianti come quelle espresse, nei termini non nella sostanza, possono far incazzare chi le riceve. E' uno stile che non amo e che cerco di non praticare, anche se a volte la tentazione è forte, perchè ingenera fenomeni di "arroganza" anche nei cosiddetti commentatori. Insomma, c'è modo e modo e la successiva modifica del commento, che non ha alterato comunque e giustamente il contenuto, rivela che esiste sempre un'altra strada. Libertà di espressione del pensiero? Certo, se uno mi dicesse che un mio articolo non è piaciuto, che ho evitato di scrivere certe cose, che ho commesso certi errori, accetterei il confronto e, forse, ammetterei la colpa, se questa ci fosse. Sia come sia, sarei pronto alla discussione. Ma in uno che mi scrive, che so, "spero per te che gli articoli che vendi siano migliori di sta roba qua", troverei più l'insulto che la critica. E confrontarmi con lui sarebbe, per me, una snervante perdita di tempo e basta.
Mi sembra insomma che moderare gli animi sia un invito che vada rivolto a 360° gradi. In primo luogo perché dire che una birra non è piaciuta per niente è diverso che dire che quella birra avvelena, in secondo luogo perché ridicolizzare qualcuno può dare soddisfazioni, soprattutto crea un certo pacchetto di fan della "sentenza di morte", ma è poco costruttivo. Mi ripeto: nella sostanza il commento può essere estremamente negativo, sono i termini che vano pensati soprattutto quando si scrive e si fa leggere. Due sere fa ero a Chieri per le "Birre del pesce", seguirà post sull'argomento, e alcuni assaggi erano francamente inquietanti. Nessuno, né Kuaska né i birrai o gli "esperti" presenti in sala, ha stroncato nessuno. I più attenti hanno intuito, bastava guardare le facce, le reazioni, ma non c'è stata gogna pubblica o pubblico ludibrio.
Sono dell'idea che la reazione del birrificio sia sbagliata, esagerata, stupidamente minacciosa. Soprattutto perché il commentatore ha rapidamente modificato il suo giudizio, nella forma ribadendolo nella sostanza come è accettabile, tuttavia credo sia il caso, e questa è una considerazione generale e non legata solo al fatto specifico, che si debba un po' ripensare allo stile del commento su blog, forum e spazi internet di pubblica lettura. Lo so, le sensazioni (le parole) forti riscuotono sempre lo stupore di un certo pubblico, l'ammirazione dei pasdaran e magari un bel fanclub su Facebook, ma non sono utili a chi le riceve né alla maggior parte dei lettori.

17 marzo 2009

O tempora, o mores


Massì, ogni tanto ricordarsi di aver fatto il liceo classico non fa male... Ma la battuta di Cicerone, che francamente non mi è mai stato troppo simpatico, mi è tornata in mente dopo qualche ora di sano (?) cazzeggio leggiucchiando un po' qui e un po' là, tra i forum birrari di associazioni varie e alcuni blog che cerco di seguire come posso... Poi, dopo una lettura effettivamente molto "random", me ne sono stato per altrettante ore a ripetermi, come un mantra, "non scrivere nulla, non scrivere nulla...". E ancora in questo momento, mentre picchietto sulla tastiera, sono convinto che alla fine farò "annulla". Perché, in fondo, chi me lo fa fare... Ho sempre cercato di stare fuori da beghe che mi sembrano assomigliare a lotte tra rioni e simil-disfide di Barletta. Io scrivo di birra artigianale e di birra industriale dal 1997, ammetto di essermi messo a farlo quasi per caso (anche se la birra mi piaceva da prima) e poi perché mi pagano per farlo, non sono un idealista puro e annuso sempre un po' di puzza di zolfo in chi fa dell'idealismo la sua bandiera (magari sbagliando), inoltre sono caratterialmente avverso alle discussioni senza scopo, di quelle che si fanno "perché ho ragione io". Sulle recenti vicissitudini del piccolo, ma ormai articolatissimo, universo birrario artigianale cerco di ricavarmi la posizione dell'osservatore "extra-partes" (ho scritto extra e non super). Sicuramente perchè è una posizione comoda, poi perché ho già i miei sbattimenti con editori che pagano tardi e con colleghi da "Corrida", quella di Gerry Scotti, e infine perché, appunto, sono un giornalista e non un conducator...

Ho collaborato con Adb (perché mi è stato chiesto), ho collaborato con UB (perché mi è stato chiesto), non ho collaborato con Slow Food (prima mi è stato chiesto, poi ho chiesto io, e poi boh...), collaboro con Heineken (esatto, gli dei infernali...), cercando sempre di offrire le mie competenze e il mio stile di scrittura. Ho molta stima per molti personaggi del piccolo universo e una sostanziale indifferenza per altri, condivido per quanto ho capito finora l'impegno del MoBi che si propone come paladino dei consumatori consapevoli, indipendente da condizionamenti di sorta (in primis i birrifici stessi), tuttavia credo che ci debba essere libertà di espressione per tutti e, di conseguenza, libertà di scelta. D'altro canto, mi piace osservare, le posizioni non si mantengono monolitiche a lungo... O tempora, o mores, appunto. Tutto però sta avvenendo in un clima che spesso rasenta il cortile dove ci sono troppi galli, in un clima da parapiglia generale, in una guerra da ragazzi della via Pal dove da una parte lottano le forze del Bene e dall'altra, quelle del Male. Entrambi in termini assoluti e assolutistici e ovviamente a seconda di chi parla. Autocritiche zero, autoironia zero. Ho assistito a mesi di pubblico linciaggio di un individuo su un forum che ora, dopo aver fatto ammenda, è accolto con calore e simpatia dalle stesse persone che lo hanno massacrato fino a qualche mese fa. Francamente l'ho trovato sorprendente, ma anche esilarante... Adesso immagino venga linciato dai suoi ex amici.... E gli esempi che mi tornano in mente sarebbero numerosi... Sono stato logorroico, scusate, adesso vado a bermi una birra... Poi mi passa....

9 marzo 2009

De Vinis: si cambia!


Una delle collaborazioni di cui vado più fiero è quella, che dura ormai da qualche anno, con la rivista ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier. Orgoglioso perché onestamente pensavo che, appena fatto capolino nel sancta sanctorum del vino, la mia rubrica interamente dedicata alla birra sarebbe stata fatta oggetto di proteste e contumelie. Invece sembra che le due pagine siano molto lette dal popolo dei sommelier e che ogni volta, per i protagonisti di cui parlo, ci sia qualche contatto positivo. Anche a livello professionale. Ed è di questo, in particolare, che sono orgoglioso. Tuttavia, appunto dopo qualche anno, tutte le cose vanno ritoccate o restaurate e allora la mia idea sarebbe quella di inserire, nelle due pagine previste, dei piccoli "box" (diciamo tre o quattro) con delle mini-schede di degustazione di birre che per qualità e disponbilità (sono escluse quelle prodotte solo per la spina) possono interessare direttamente i sommelier titolari di enoteca o responsabili di cantina (di un ristorante). Ovvero a chi la birra, dopo che gli è piaciuta, magari la compra.

A me sembra un progetto interessante per andare incontro alla crescente sete di birre di qualità che si registra nel mondo del vino (potrebbe sembrare un controsenso e invece non lo è affatto) dando delle informazioni e dei contatti utili. Per ogni birra infatti sarà inserito un riferimento telefonico o mail del produttore o del distributore.

Perché scrivo qui queste cose? Perché chi fosse interessato a inserire le sue birre nella rubrica dovrebbe farmi la cortesia di inviare al mio indirizzo dei campioni. Scontato dire che decido io che birre inserire, me ne prendo la responsabilità, che non è un servizio a pagamento e non è il caso di inviare casse su casse di birra. Meglio invece accompagnare i campioni con delle foto (delle bottiglie o delle etichette) in alta definizione.

Penso di aver detto tutto: chi mi conosce sa anche come contattarmi (sono pure su Facebook). Intanto vediamo se e come questa cosa può funzionare....

3 marzo 2009

Il Messia


Stacchetto enologico dopo tanti post a tema birra. Già, perché anche di vino mi occupo e forse per quasi la metà del tempo in cui sono davanti a una tastiera. Ma più che descrivere sensazioni e aromi, persistenza e retrogusto, la mia è più una comunicazione sul mercato e le tendenze, tuttavia... Tuttavia non mi posso esimere, anzi mi piace pure, dal partecipare ad eventi di degustazione. Nei cosiddetti winetasting esistono diverse sottocategorie: ci sono i "self tasting", dove chi fa da sè fa per tre, i "vertical tasting", stesso vino ma annate diverse, e infine i "mass tasting" ovvero le degustazioni di massa nelle quali torme di appassionati (?) e assetati mettono sotto assedio i banchetti difesi dai sommelier per provare questo o quell'altro vino. Le condizioni dell'assaggio sono a dir poco ridicole per calore, odori, rumore e via dicendo ma con un po' di fortuna si può assistere a simpatici siparietti, di quelli cioè che mi fanno amare questo mondo anche nelle situazioni di caos primordiale. Come ad esempio quella del Festival della Franciacorta andato in scena qualche giorno fa al Westin Palace, dove manipoli di arditi prendevano d'assalto i produttori franciacortini stringendo in mano le flute e sgranocchiando grissini. Scene di massa degne dei migliori film storici. In un angolo, davanti a un banchetto di una firma celebre della Franciacorta, stavo io e un signore dallo sguardo torvo. Pur essendo a meno di un metro l'uno dall'altro era impossbile sentire i suoi commenti ma, d'un tratto, l'ho visto scuotere la zazzera bianca e rovesciare il bicchiere nel contenitore degli scarti. Poi allontanarsi davanti allo sguardo basito della sommelier che si girava verso di me e mormorava costernata: "Non è mica colpa mia...". Era successo infatti che posate le severe labbra sul calice, il sommo degustatore aveva commentato con un certo disgusto: "Non c'è abbastanza Pinot nero!" e se n'era andato... Una scena fantastica che poneva le seguenti domande: il degustatore era un produttore di barbatelle (giovani viti) di Pinot nero e tentava di stimolare il suo mercato? Il degustatore era un celebre enologo che vorrebbe meno Chardonnay e più Pinot nero nei filari? Il degustatore era uno dei tanti appassionati fuori di testa che invece di bastonarsi in curva la domenica preferiscono i wine tasting? Ai posteri l'ardua sentenza. Ma l'occhio e lo stile messianico erano impagabili e vista la diffusione di questi elementi nel panorama enoalimentare, non vedo l'ora di assistere al passo successivo. Ovvero, come nell'antica Roma, quando dallo sventramento dei polli si coglievano i segni del destino, vedremo assaggiatori fare vaticini dopo un sorso di Merlot, predire il vincitore del campionato osservando controluce uno Spumante trentino... Sì, questo mestiere è bello perchè non smette mai di stupirmi....

26 febbraio 2009

Il mercato, questo sconosciuto...


Mancato, causa misunderstanding, il dibattito sull'Informazione birraria ai tempi del web, a Rimini ho avuto modo di seguire da vicino l'incontro sul "mercato della birra artigianale" che ha avuto come relatori d'eccezione un produttore, Agostino Arioli del Birrificio Italiano, un "distributore", Sandro Vecchiato di Interbrau, e un publican, Manuele Colonna del Ma che siete venuti a fa' di Roma. In pratica, tutta la filiera: dalla creazione alla vendita al dettaglio. Bel dibattito, ben pensato e, a mio avviso, anche ben riuscito soprattutto perché le posizioni espresse non coincidevano appieno a dimostrazione che quando si entra nel vivo degli interessi, soprattutto commerciali, il clima di apprezzamento reciproco, che comunque c'era di sottofondo, viene messo in discussione dalla difesa delle proprie legittime posizioni. Concordi tutti sulla necessità di saper comunicare la cultura della birra, sulla qualità e sulla costanza delle medesima, le prime crepe si sono evidenziate quando si è passati ad affrontare la questione dei prezzi. Costi elevati all'origine, ha sottolineato Agostino, ma più che per i prezzi delle materie prime per l'atavico e tutto italiota peso degli adempimenti burocratici che costringono a sopportare i costi relativi. L'accisa insomma, ferisce, ma il ginepraio amministrativo uccide. Un problema comunque, condiviso da tutti i piccoli imprenditori di questo nostro sciagurato Paese. Fatto sta che l'accusa rivolta al mondo delle birre artigianali (costano care!) andrebbe approfondita in più di un dibattito (forse in un congresso di un paio di giorni ce la caviamo...), ma io rimango dell'avviso che appare molto più inquietante il costo finale della birra industriale che ha anch'essa il peso dell'accisa, ma possiede anche una struttura specifica per rendere impalpabile il peso economico della burocrazia, all'interno dei volumi che produce. Inoltre ci sono locali, come appunto il Macche di Roma, che riescono a campare più che dignitosamente vendendo solo birre artigianali, anche non italiane ovviamente, e ci sono distributori, come Interbrau, che credono e investono sulle produzioni artigianali.
E, per concludere, una via d'uscita alla questione prezzi all'origine è stata delineata in una sola parola: "crescere". Solo crescendo, Agostino dixit, possiamo pensare di sopravvivere. La dimensione di sopravvivenza, che dovrebbe tra le righe suonare come un campanello d'allarme per tutti i neoimprenditori o futuri tali, garantirebbe di "spalmare" le spese su un volume maggiore di vendita. Mi sembra un'ipotesi corretta. Ma nel frattempo, è una follia pensare a un unico "centro di assistenza fiscale e tributaria" per più micro e brewpub? Una consulenza esterna collettiva o uno studio da costituirsi ex novo le cui spese andrebbero divise tra i beneficiari... Impossibile? Boh, il fatto è che non sono sicuro di quanti artigiani della birra arriveranno in tempi idonei alla quota di sopravvivenza, e non so nemmeno quantificare la suddetta quota...
Tempo di decisioni questo per la birra artigianale italiana...

19 febbraio 2009

Brewmarketing


Certo, come spiega Rocco Siffredi, la patata tira. Ma, ultimamente credetemi, tira molto di più la birra. Alcuni sintomi sembrano chiaramente dimostrarlo. Non solo le aperture di brewpub e di microbirrifici si susseguono a ritmo da tachicardia, ma adesso ci sono anche delle curiose operazioni di marketing che onestamente non avrei mai intuito. Da qualche mese a questa parte è infatti in libera circolazione la Birra Milano, marchio storico ed estinto, ma ritornato in vita con un repentino colpo d'ala. Chi l'ha assaggiata non ne è rimasto particolarmente colpito e la birra non sembra essere prodotta in Milano e nemmeno in Lombardia. Il produttore è il Birrificio Paguba, provincia di Treviso. Un emerito sconosciuto per me. Ma per l'appunto, in tempi di tachicardia per essere aggiornati bisognerebbe avere un'Ansa sottomano...

Due giorni fa, tra le calli e campielli di Venezia, ecco un altro flash. La Birra Venezia! Marchio storico anch'esso, leggete l'ottimo volume intitolato Birrerie Storiche d'Italia di Michele Airoldi (http://www.collezionandobirra.com/), che tuttavia è prodotto da Arte Birraia, nel Bellunese. Due iniziative fotocopia a distanza di poche settimane: straordinario! Straordinaria soprattutto l'immagine che la birra sta acquisendo in Italia nell'ultimo periodo perché, francamente, non saprei in che altro modo spiegarmi questi due, redivivi, marchi birrari che, magari mi sbaglio, appaiono più due operazioni di business che frutti del "sacro fuoco" per l'arte brassicola. E se lo sono, vuol dire che c'è gente disposta a investire nel settore, anche se quanto non lo so; che ha annusato la moda della birra artigianale e va al traino... Eggià, mi sa che gli anni del pionierismo sono proprio finiti... Oddio, meglio la Birra Milano o Venezia piuttosto che quella del Duce o del Che, ma il semplice fatto che siano nate (o rinate) queste due birre è, a mia sensazione, il segno dei tempi... Anche se sono i tempi dei soliti "furbetti del quartierino" all'italiana perché non rinascono le birrerie, ma solo i marchi... Non risorge l'arte del "brewing", ma nasce quella del "brewmarketing"....
P.S. Ho assaggiato la "Bionda" (sic!) Birra Venezia è francamente mi è parsa davvero poca cosa...

17 febbraio 2009

Vedi Rimini e poi...


Avverto i lettori che ho scritto il titolo di questo post solo con una mano, mentre l'altra era sotto il tavolo... Non si sa mai... Comunque eccoci di nuovo qui dopo la "toccata e fuga" in quel di Rimini. Che dire... La definizione migliore della fiera l'ho trovata nel completamento di una mia frase lasciata a metà ovvero "Pianeta Birra ha un piede nella fossa..." e il mio interlocutore, al momento non ricordo chi fosse ma può legittimamente rivendicare i suoi diritti, l'ha chiusa dicendo: "e l'altro su una buccia di banana...". Eggià, Pianeta Birra boccheggia come un pesce appena tirato fuori dall'acqua. Padiglioni chiusi, meno gente del solito (anche se da un certo punto di vista questo non è il male assoluto), voci insistenti di future diserzioni (il che equivarrebbe a giocare alla roulette russa con il caricatore pieno) e clima a tratti deprimente. A tratti perché qualche luce accesa è rimasta: lo stand Interbrau letteralmente preso d'assalto ma organizzato con grande razionalità (avevano pile di biglietti da visita di locali da inserire nel loro database), e lo spazio dedicato ai microbirrifici dove si potevano assaggiare le novità e interloquire con i birrai. Tralascio come sempre gli stand con belle ragazze inguainate da capo a piedi che omaggiano giovanotti in piena tempesta ormonale con strani intrugli coloratissimi e confezioni a dir poco inquietanti, ognuno è libero di fare della sua vita quello che crede... Momenti di approfondimento, dibattito, degustazione affidati come sempre alla buona volontà degli operatori. Il che è bello, ma dalla fiera sarebbe lecito aspettarsi qualcosa in più... Nel poco tempo che mi sono concesso ho bazzicato solo gli artigiani (a lungo), Interbrau (per un saluto) e Beer Concept (una decina di minuti), quindi non ho problemi a rivedere il mio giudizio in base ai vostri commenti... Ma dubito di doverlo stravolgere completamente...
Per l'ennesima volta, per come è concepita, questa fiera ha fatto il suo tempo. Rimane il fatto che è bello rivedere un sacco di vecchi amici, dare un volto a mail e contatti Facebook, provare nuove birre e tenersi aggiornati su come va il nostro mondo... Qualche spunto lavorativo inoltre si trova sempre, ma la discesa verso il baratro mi appare evidente (anche per i costi organizzativi di una fiera del genere che per essere giustificata, immagino, debba dover girare a una certa "velocità"). Eppure, dentro di me lo so, se Pianeta Birra venisse a mancare ne sentirei un po' la nostalgia. Ma d'altro canto, sento la nostalgia di quello che era nel passato... Oh, vabbé, i ricordi sono sintomo di senilità e quindi per ora vi saluto... A un prossimo post il commento sul convegno in tema di mercato della birra (ospiti Sandro Vecchiato, Manuele Colonna e Agostino Arioli).

11 febbraio 2009

Tutti a Rimini... ancora una volta?


Cavoli, come sempre quando entro in una fase di delirio lavorativo e il mio rapporto con il notebook si fa rovente, il mio blog patisce. Ma tant'è, di ragione bisogna fare virtù (almeno mi pare si dica così). E allora eccoci di nuovo in prossimità della Fiera di Rimini, ancora una volta (per me la dodicesima come gli apostoli o come la "notte" di Shakespeare): un evento manifestazione che ogni anno mi sembra sempre meno imperdibile per molte ragioni. Una su tutte: calano i protagonisti e per chi, come me, scrive di birra per buona parte del suo tempo, la cosa ha una sua rilevanza. Ma una toccata e fuga non si può negare, ergo ci prepariamo alla discesa sul'Adriatico... Lasciando perdere le assenze che quest'anno oltre alle major coinvolgono anche medi produttori come Menabrea e artigianali come 32 Via dei Birrai, gli spunti che più mi colpiscono (a priori, vedremo poi a posteriori) sono la nuova Unionbirrai, orfana di alcuni personaggi storici, la nascita del fantomatico Mo.Bi. (mi sembra con i personaggi storici ex Unionbirrai), il report del primo anno di attività di Consobir (di cui francamente ho perso le tracce dopo la presentazione, ma forse è colpa mia e faccio nel caso ammenda), la presentazione del marchio "Birra Artigianale Unionbirrai" con tanto di nuovo logo. Di primo acchito, un gran bel fermento... Ma qualche punto di domanda, nella mia testa, sta crescendo... Con le sigle ho poca confidenza, e lo stesso vale per le associazioni. Ho dei dubbi personali nel senso che mi chiedo, ad esempio, quanto di "dissenso filosofico" ci sia in tutto questo e quanto di "ansia da protagonismo"... Lo dico con estrema precauzione perché, ripeto, al momento sono dei semplici dubbi e poi io faccio l'osservatore, non ho molta voglia di schierarmi o di fare crociate se non quella per la birra artigianale tout court. Inoltre, non ce la faccio a essere a Rimini il 14, ovvero quando presenteranno il MoBi e, in contemporanea, il primo anno di Consobir... Cercherò di informarmi. E di capire...

18 gennaio 2009

Bere una birra con...


In un momento in cui i miei neuroni se ne stanno belli rilassati sotto l'ombrellone a bere gin tonic e vodka martini mi è tornato in mente quel passaggio di Fight Club, il film, in cui uno dei due protagonisti (credo Brad Pitt) chiede all'altro con chi, pensando a personaggi famosi, gli piacerebbe battersi... Ebbene, visto che anche in questo preciso momento i miei neuroni sono tranquilli, ho pensato di proporre, in versione birraria, il "giochino" di Fight Club. Ovvero, con chi vi berreste una birra e, naturalmente quale?
Avverto subito che non valgono parenti, amici, viventi o meno, ma sono ammessi solo personaggi più o meno famosi, loro sì viventi ma anche no... Quindi va bene ad esempio una Imperial Stout della Samuel Smith con William Wallace oppure una Bibock con Franco Baresi... Fate voi per, diciamo, un massimo di tre scelte...
Io confesso che berrei volentieri una Courage Best Bitter con Ernest Hemingway (anche più di una), una Oatmeal Stout con sir Winston Churchill e... boh, troppo difficile così su due piedi fare la terza scelta. I miei neuroni si sono riattivati improvvisamente e adesso stanno litigando tra di loro per, appunto, decidere chi sarà la mia terza opzione. Così, per ora chiudo qui, e mi metto a fare cose più serie di questi giochini...

8 gennaio 2009

Sweet dreams are made of this


Anno nuovo, vita boh... Troppo presto per dirlo, ma disceso a malincuore dal paesino di montagna da 400 abitanti dove puoi passeggiare in mezzo alla strada e il fruttivendolo chiude la porta del negozio, lasciando le chiavi all'esterno, per farsi un'ombra al bar (a Milano l'avrebbe trovato svuotato e già con i cinesi dentro...), sono ora pronto a ripartire. Della lunga maratona enogastronomica avviata qualche giorno prima di Natale e conclusa l'ultima notte dell'anno, il mio ricordo più commosso va alla "fiorentina" da oltre due kili che nella foto ha raggiunto il punto di cottura perfetto nel camino di Stefano, carissimo amico dalle mille abilità... Carne meravigliosa accompagnata da Brunello di Montalcino che mi ha fatto tornare in mente la simpatica domanda, quasi un rito, che facevo alla fine delle interviste ai cosiddetti vip durante il periodo trascorso a Civiltà del Bere (anche se non sempre la utilizzavo...) ovvero: se domani mattina venisse fucilato, cosa ordinerebbe come "ultima cena"? E mi piaceva molto l'idea che, anche chi si dilettava di cucina creativa e frequentazioni di chef stellati, rispondeva poi con piatti molto semplici: dai primi di pasta, al pesce alla griglia fino alla pizza. Piatti d'affezione, sicuramente. Io, la mia risposta, l'avevo scelta da tempo ed era, appunto, quella che vedete nella foto con relativa bottiglia di Brunello (la Riserva Il Greppo di Biondi Santi, possibilmente). La mattina dopo avrei affrontato la pallottola con maggiore serenità anche perchè, si sa, l'odore della polvere da sparo si sposa bene con l'aroma di legna e di leggera bruciatura della carne e con l'altera astringenza e nobiltà di carattere del Brunello suddetto... Sono o non sono un sommelier Ais? ;-)