29 ottobre 2010

On the road...

Rapido giro nel Nord Est per due visite previste da tempo. La prima è stata a Duino Aurisina, a due passi da Trieste, dove si trova la Birreria Bunker gestita con grandi capacità da Danijel Lovrecic. Danijel è un po' che lo conosco, ha saputo fare del suo locale una meta sicura per gli appassionati. Ottima scelta di birre e cucina di territorio interpretata con le birre (come la jota, tradizionale minestra triestina, con Duchesse de Bourgogne). Al suo invito per una cena con birre abbinate alla cucina slovena non abbiamo saputo dire di no. E per fortuna, posso dire a posteriori. Perché altrimenti non avrei avuto modo di provare i notevolissimi piatti di Uros Stefelin (mancano degli accenti ma non so come fare), giovane chef del ristorante dell'Hotel Triglav di Bled. Il menu comprendeva, cito le mie preferenze, un fantastico Carpaccio di cervo su terrina di fegato d'oca con scaglie di tartufo abbinato alla Silly Pils, un indimenticabile Brodo di castagne con risotto nero e filetto di branzino, abbinato alla Maredsous 6 e infine, mai provato prima, il Muflone cotto nella birra con una pallina di gelato alla barbabietola, abbinato alla Achel Brune. Il piatto migliore della serata, davvero straordinario. Se la cucina slovena è anche questa, allora tanto di cappello (odio dire "chapeau", fa troppo "Dolce&Gabbana")...
Danijel Lovrecic e Uros Stefelin
Serata successiva invece tutta dedicata alla nuova avventura di Denis Calzavara, già storico elemento chiave del Voodoo Child Pub di Caltana. In pochissimo tempo Denis ha messo su un locale a Camposampiero, in posizione strategica tra Padova, Treviso e Venezia. Si chiama Beer House e si trova in via Visentin 31. Una sessantina di posti a sedere, birre in bottiglia selezionate (così a memoria Brewdog, Sierra Nevada, St. Peter's, Dupont, Girardin, Cantillon...) e Augustiner (più altre) alla spina. Cucina alla birra semplice ma di grande soddisfazione (i ravioli al sugo di cervo alla Gouden Carolus erano spettacolari), e una piccola, ma promettente, cantina dove far maturare qualche birra che merita. Se siete in zona vi consiglio di farci una tappa, Denis è davvero bravo e merita il successo.
La cantina del Beer House

24 ottobre 2010

Il Salone del G(i)usto...

Giornata di sabato interamente dedicata al Salone del Gusto a Torino. Arrivati verso le 13 abbiamo incredibilmente trovato un parcheggio sicuro e gratuito. Il che ci ha messo nella giusta disposizione d'animo per varcare le soglie del Lingotto. Molta gente, come ricordavamo da esperienze precedenti ma nessun congestionamento drammatico tra gli spazi espositivi e le bancarelle di olive ascolane. Ogni volta che ci torno il Salone mi appare come un entusiasmante farmer's market di dimensioni notevoli. Ci si diverte, si fanno acquisti e si incontrano facce amiche. D'accordo, su qualche stand continuo a nutrire delle perplessità, ma ormai mi sono convinto che Terra Madre costituisca lo spazio filosofico-politico di Slow Food e il Salone invece una food hall dove trovi birra, formaggi, salumi, carni, spezie e via dicendo... Onestamente, abbiamo saltato con rammarico la gran parte dello spazio food (guadagnando però la gratitudine imperitura del nostro portafoglio). Certo, la colatura di alici calabrese l'abbiamo pagata qualcosina in più rispetto a quando la compriamo al food store della Rinascente, ma volete mettere l'emozione di comprarla al Salone? I prezzi, quindi, non sono vantaggiosi, in compenso si incontra un sacco di gente. Egoisticamente, mi è dispiaciuto non vedere una piazza, o via, o viale o chiamatela come vi pare, della birra. Avere tutti i birrifici concentrati facilita le visite e si risparmia sulle suole delle scarpe ma, a detta di molti di loro, la cosa non ha guastato. Massimo Versaci ha ritenuto giusto il posizionamento nella sua Liguria (la birra artigianale è in effetti anche espressione del territorio) e gli affari per molti sembrano anche essere andati meglio. Cosa da non sottovalutare visti i costi di affitto degli stand (tra i 2500 e i 3000 euro se non sbaglio)....

Fausto Marenco e Massimo Versaci di Maltus Faber

Prima tappa quindi da Massimo e Fausto dove abbiamo trovato una Tripel in forma eccellente. Ne avremmo bevuta di più se non fosse stato per l'apparizione improvvisa di Kuaska che ci ha spostato in quel del Birrificio San Paolo di Torino dove presentava l'ultima nata dei birrai Graziano e Maurizio ovvero l'Ipè Harvest 2010, prima birra italiana prodotta con luppolo, varietà Cascade,  impiegato ancora umido e coltivato in Liguria. Birra senza dubbio notevole che tuttavia ho sbagliato a bere rapidamente, senza accorgermi forse di tutte le sue potenzialità aromatiche che, a detta dei vicini, emergevano prepotenti dopo qualche minuto. Io invece, dopo qualche minuto, avevo finito il bicchiere...
Kuaska, Graziano e Maurizio
Archiviata comunque l'esperienza ho cercato di accellerare i tempi saltando così al Baladin che custodiva in barrique una versione di Terre e una di Lune, le sperimentazioni avviate in Cantina Baladin qualche mese fa. Troppo presto, francamente, per dare dei giudizi. Lune era un qualcosa di indefinibile, mentre Terre (da barrique da vini rossi), era già più evoluta, promettente come un neo acquisto nelle amichevoli estive. La Riserva 2008 di Xyayu, invece, splendida. Con tutte le complesse e ampie sensazoni che ho imparato ad apprezzare in questa geniale creatura di Teo. Visto che si stava da Teo abbiamo pensato bene di fare tappa dal suo "compagno di merende" (in senso buono e newyorchese), al secolo Leonardo di Vincenzo. Affascinante la sua L'Equilibrista, una birra champagne estremamente elegante e raffinata. Molto contento di essere riuscito a provarla, anche se avrei detto che le uve impiegate sarebbero state di una varietà a bacca bianca e non di Sangiovese.
Per non stare solo in Italia abbiamo deciso di andare a trovare l'amico Lorenzo Fortini e il suo fantastico "temporary pub" firmato Ales&Co. Qui stazionava Alessandro Coggi e, visto il successivo via vai di facce note, era lecito sospettare la qualità delle birre in offerta. Tanto che al bancone di Ales&Co. siamo rimasti praticamente imbullonati per quasi quattro ore tra assaggi di Brewdog, credo quasi tutte, intervallate da assaggi di ostriche britanniche (mai pensato che potessero essere così buone), salami e formaggi polacchi. Il gentile signore di Brewdog di cui, comprensibilmente visto il tasso alcolico in aumento, non ricordo il nome (chi vuole può aiutare perché lo vedete nella foto qui sotto) ha stappato e spillato di tutto.
Natascia Tion, Alessandro Coggi e Michael Cameron di Brewdog
I ricordi si soffermano sul fatto che adoro come al solito le Brewdog, chiamiamole così, normali ma sono rimasto estasiato di fronte alla Abstrakt 04, una birra quasi masticabile fatta impiegando cocco, peperoncino e caffè. Io l'ho trovata semplicemente sontuosa e bene è andata anche, subito dopo, con la Abstrakt 03 giustamente rinfrescante con una nota evidente di lampone e di mela. Dagli americani ho fatto semplicemente un salto, senza assaggiare nulla, ma rimpiangendo il fatto che appena due settimane fa ero a sole due miglia dalla Lagunitas Brewery, a Petaluma che è a un tiro di schioppo da San Francisco. Due chiacchiere con birrai di passaggio (Michele Barro) e poi si tornava in Piemonte per provare con soddisfazione l'ultima nata dei Borio Brothers (la risposta birraria a Brooks Brothers?) e un paio di produzioni di Birra Pasturana davvero interessanti (soprattutto la Filo di Fumo, di cui ho apprezzato la mano leggera e l'indiscutibile eleganza).
E, infine, sperando di non aver dimenticato nulla (ma è possibilissimo), "ultimo ballo" dal rinnovato BiDu. Ovvero, a mio avviso, una sicurezza di tutto relax perchè, a memoria, non mi ricordo di aver mai bevuto una birra del Beppe cannata. Tra l'altro la presenza al suo fianco dei nuovi soci (Marco e Nino) fa ben sperare anche dal punto di vista della reperibilità e dello sviluppo. Perchè questo è senza dubbio un birrificio che merita di crescere. La H10Op5 l'ho trovata francamente un filo meno aggressiva del consueto, ma sempre una birra da bere con gioia, in quantità e senza sofismi inutili. Bene così, adesso si tratta solo di continuare...

Birragenda "necessita" delle birre di Beppe Vento

Questa, insomma, la nostra giornata al Salone. Non ho molta voglia adesso di trarre morali su un evento che comunque mi piace, mi permette di incontrare amici e professionisti che stimo, togliermi qualche sfizio gastronomico e fare molte chiacchiere utili. Confesso che all'uscita eravamo quasi tentati di trovare un alberghino per la notte per bissare la mattina successiva. Mi dispiace solo, e mi scuso pubblicamente, con chi avevo promesso di passare a salutare e non ci sono riuscito (gli interessati sanno di chi parlo), faccio ammenda ma alla fine ero un po', come dire, "piallato". Vorrà dire che mi toccherà aspettare Pianeta Birra a febbraio. O meglio, Selezione Birra come più opportunamente, ahimé, sembra l'abbiano chiamato...

20 ottobre 2010

And so this is... Eataly

L'ingresso
Il titolo va letto con nella mente la musica di "Happy Xmas (War is over)" di John Lennon. Ordunque, siamo alla fine capitati a Eataly New York di persona. Dopo averne sentito parlare enne volte e dopo averne parlato anche noi qui. La prima impressione conferma l'idea che mi ero fatto ovvero che si tratti di una geniale, efficiente e, vista l'affluenza, molto probabilmente remunerativa trovata commerciale di Farinetti. Lo spazio è strategicamente posizionato a due metri dal Flatiron Building e a due passi dalla 5th Avenue ergo frotte di turisti di passaggio e newyorchesi in abbondanza pronti a celebrare i fasti del Made in Italy. Perché di Made in Italy si tratta anche se si potrebbe discutere a iosa di luoghi di produzione e di definizione stretta del Made in Italy. Di certo, Eataly è un'ambasciata italiana non ufficiale: produzioni a tiratura limitata, quanto limitata è da vedere, insieme a produzioni industriali. La pasta Latini e la pasta Barilla, gli aceti artigianali e gli aceti Ponti, le birre Baladin e Birra del Borgo (ma anche di Beba, di Montegioco, di Grado Plato...) e le birre Moretti. Uno scandalo? No, perché come avevo sostenuto in un post precedente se vuoi fare le cose in grande devi muoverti in grande. Un supermercato, ma anche un ristorante e una pizzeria (Rossopomodoro non il micropizzaiolo di Fuorigrotta), che deve macinare numeri e fatturato (ho provato a immaginare il costo dell'affitto ma non ci sono riuscito) non credo possa stare in piedi a lungo con le microproduzioni artigianali che, ribadisco, per essere anche eticamente corrette (come in qualche caso si sostiene) non dovrebbero comunque attraversare l'Atlantico per sbarcare negli Usa.
Lo spazio della birra è la celebrazione dei fasti di Teo Musso e Leonardo Di Vincenzo, immortalati in altrettanti manifesti. Un chiaro segno che la personalizzazione, nel food, è vincente. Se i grandi chef ormai sono considerati delle star perchè non i birrai, gli allevatori di suini allo stato brado, i formaggiai d'alpeggio, etc...
My pride is Lurisia

I'm also in love with Eataly

E' vero, resto un po' perplesso, a leggere che l'orgoglio di Teo sono le birre Lurisia. E idem a vedere il volto di Sam Calagione, anche lui immortalato come i nostri due alfieri italici. Che il concetto Made in Italy sia stato esteso anche a tutti gli italoamericani? Ma nel suo specifico cartellone c'è, nero su bianco, la risposta alla mia domanda "Perché le birre di Calagione e non, che so, Cilurzo?". " La risposta, la potete leggere qui sotto, all'ultima riga.
A noi piace tanto!
Comunque, sul fatto che Eataly sia una vetrina prestigiosa nella piazza, altrettanta prestigiosa, di New York City credo ci sia poco da discutere. Come direbbero gli americani "business is business" e Eataly lo è. Fino a che punto staremo a vedere, ma sospetto che le cose andranno bene per Farinetti e soci. Avevano capitale (molto) da investire e lo hanno fatto in maniera intelligente. Da imprenditori previdenti quali, tutti, sono. Onestamente, da italiano in vacanza, mi sono divertito di più a girare tra i banchi di Dean & De Luca, gastronomia boutique (vietato fotografare!) dove compaiono molti prodotti italiani, insieme a salsine americane per barbecue da mille e una notte. Ma, se fossi americano a stelle e strisce possibilmente discendente da una delle famiglie sbarcate dalla Mayflower, a Eataly ci andrei volentieri. A livello comunicazione e marketing il gioco è pressoché perfetto. Prodotti tricolori, ambiente italian style anche nei giornali, schermo al plasma collegato alla Stampa di Torino (e quale altro quotidiano avrebbero dovuto scegliere), bancomat firmato Unicredit. In più, ospitate regolari per i grandi chef di casa nostra (quando sono passato io era in corso Identità New York, emanazione di Identità Golose Milano, con la presenza di Bottura, Cedroni e il firmamento dei cuochi di grido della Penisola). Gli americani si divertiranno parecchio, chi avrà i soldi per comprare comprerà (a Manhattan non ci dovrebbero essere troppi problemi) per la soddisfazione di tutti: proprietari, partner, aziende grosse e piccole, giornalisti italiani inorgogliti e, magari, ospitati nella Grande Mela a spese dell'organizzazione (non era purtroppo il mio caso). D'altro canto, il messaggio finale del foodstore farinettiano è di una chiarezza d'intenti lampante.
D'accordo, ma Eataly is truly Italy?
Decidete voi se si tratta di una verità inconfutabile o... di una "minaccia".

18 ottobre 2010

Back with a World Champion

Ohibò, avevo pensato di riprendere la scrittura del blog con un report birrario Made in Usa pescando a scelta tra lo stupefacente Toronado di San Francisco, le meraviglie delle birre hawaiane di Kona Brewing, e di Maui Brewing, il sorprendente Father's Office di Santa Monica e il rumoroso, ma avvincente, The Gingerman Pub di New York. E invece, i casi della vita, scrivo di vino anzi di sommelier perché in attesa di acchiappare il volo che, purtroppo e con sofferenza, ci ha riportati sull'amaro suolo natio ho praticamente sbattuto contro il giovane Luca Gardini, noto come sommelier del ristorante Cracco di Milano e fresco trionfatore del campionato mondiale di sommellerie. Con Luca ci conosciamo da anni e, senza inutili piaggerie, di lui ho sempre apprezzato la freschezza, la spontaneità e il fatto di non tirarsela come potrebbe. Di lui invidio peraltro la giovane età e il cursus honorum quasi inquietante: a 22 anni è il campione italiano dei sommelier, a 28 l'europeo, a 29 il mondiale. Così, in scioltezza. E in mezzo l'Oscar del Vino 2005, il titolo di Ambasciatore del Metodo Classico nel Mondo... Prima di salire in aereo ci facciamo un paio di birre e proseguiamo su questa strada anche durante il volo. Niente vino, che forse in questi ultimi mesi a Luca potrebbe anche essergli uscito dagli occhi...

"In effetti", ha confessato, "se di norma assaggio tra i trenta e i quaranta vini alla settimana, per prepararmi al concorso ne provavo una trentina... al giorno! Più le ore dedicate allo studio, anche della lingua inglese, che si sono aggiunte al solito lavoro".
Ma come si svolge un campionato mondiale di sommelier?
"Si parte con una prova scritta: cinquanta domande aperte da concludere in un'ora (in lingua inglese). Poi ci sono tre vini da degustare davanti alla commissione (2 scritti e 1 orale), per uno di questi vini va trovato anche l'abbinamento, e infine c'è la prova di decantazione di un rosso dove si giudica lo stile, la classe e l'eleganza del sommelier". Luca ha sbaragliato tutti facendo praticamente l'en plein di risposte corrette, azzeccando le annate dei vini e comportandosi con la classe innata che possiede e lo stile messo a punto da Cracco, ma anche all'Enoteca Pinchiorri in precedenza.
Quando hai bevuto il tuo primo vino?
"A tredici anni, ma per nove anni ho studiato violino e forse, dovessi tornare indietro, non lascerei quella strada. Anche mio padre (Roberto Gardini, campione italiano sommelier nel 1993) non l'aveva mandata giù al tempo, ma il vino mi ha obbiettivamente dato molte soddisfazioni".
Come negarlo. Ma, a 29 anni, adesso cosa ti resta da fare o da vincere?
"Forse nulla. Ma tra un mesetto mi rimetto a studiare e ad assaggiare. In questo lavoro non ci si può riposare sugli allori. Poi, chissà, al futuro ancora non ci penso. Sono contento come sto...".
Incredibile Gardini. Ha sempre l'argento vivo addosso, una vitalità che non so mai se dipenda più dal fatto di essere d'origini romagnole, dall'età o dalla determinazione assoluta nel voler essere il migliore. Forse un mix di tutte e tre le cose, in effetti.
Mentre parliamo, sorseggiamo Heineken gentilmente offertaci dalla Delta Airlines. Luca stupisce anche per questo. Può passare da un Romanee Conti a una birra senza problemi, senza elucubrazioni inutili e senza troppi preconcetti. Mi piace anche per questo, a dirla tutta.