30 dicembre 2009

Messaggio di fine anno



Il messaggio di fine anno, tranquillizzo subito tutti, non lo farò io. Solo che in questi giorni ho letto un passo da Vino al Vino di Mario Soldati che mi ha colpito e mi è rimasto dentro. Mi sembrava bello condividerlo. Eccolo dunque:


"La verità è che, in fatto di gusto, nessuno potrà mai sostenere che la maggioranza abbia necessariamente ragione. Nemmeno in politica è così. Infatti, che la maggioranza abbia sempre ragione non è, contrariamente a quanto si crede, la base della democrazia: ma soltanto il suo ideale, il suo miraggio. La base della democrazia è un'altra, più complicata, più delicata, più radicata nel cuore dell'uomo: è che gli inconvenienti di un regime politico autoritario sono, o presto o tardi, tali e tanti che è più saggio per i popoli affidarsi alle decisioni di una maggioranza, che abbia torto, piuttosto che alle decisioni di una minoranza, che abbia ragione. In ogni modo, questo, ovviamente, non è il caso del vino. Giacchè la minoranza, sempre più esigua, che difende il vino genuino e instabile, non pretende affatto di governare i consumatori e i produttori, nè di proibire il vino troppo lavorato e troppo stabile: si limita a compiangere codesta maggioranza e a consigliarle di convertirsi, per il suo bene. Nel vino, come nella cucina, può succedere che il parere di una persona sola sia più giusto del parere di milioni di persone".
Se volete, potete sostituire la parola birra alla parola vino. Buon 2010 a tutti...

11 dicembre 2009

Qui es in caelis...


Lo confesso, non ho mai dato di matto per il miele. Non mi è mai piaciuto spalmato su una fetta di pane (preferisco di gran lunga burro e zucchero), nè lo uso per addolcire bevande calde. Al massimo, come rimedio della nonna, ne mescolo un cucchiaio con rum e latte bollente quando sono raffreddato. Forse dipende dal fatto che non ho mai provato un grande miele. Invece lo scorso anno, nel girone dantesco e milanese dell'Artigiano in Fiera, mi sono trovato a tu per tu con Andrea Paternoster, apicoltore nomade e artefice dei Mieli Thun (http://www.mielithun.it/), che conoscevo solo indirettamente per le birre (Erica di Le Baladin, Utopia di BiDu e Troll) che impiegano alcuni dei suoi mieli. Con lui, cucchiaino dopo cucchiaino, ho visto la luce (in stile Jake Blues) e ho capito le differenze tra un miele di girasole (il preferito della Vale) e quello d'edera, tra quello di cardo (letteralmente fantastico) e quello di timo. Mi si è aperto un mondo di profumi e di dolcezze, di consistenze diverse. Una goduria pazzesca, senza mezzi termini e che volevo rendere pubblica. Soprattutto, ho scoperto che il mondo dei mieli è affascinante, ricco di sfumature, fatto di sano lavoro manuale (la definizione "artigianale" mi ha un po' stufato), di pazienza e di intuizione geniale. Quindi conoscere Paternoster (se riflettete sul cognome, si capirà anche il titolo forse un po' criptico di questo post) è stato proprio un bel regalo. Tanto che, quest'anno in fiera, l'acquisto di mieli Thun è stato paragonabile a quello di un malato cronico di bronchite...

9 dicembre 2009

Un po' di numeri


Al Simei, l'esposizione milanese di macchine e tecniche vitivinicole, si va, almeno nel mio caso, perché si deve. Poi magari si trova pure qualcosa di curioso e di interessante, ma ahimé tutto quello che riguarda chimica e tecnica, macchinari e utensili, mette sempre in difficoltà i miei neuroni. Così sono stato contento, dopo essermi sciroppato una dissertazione sui tappi, essermi fatto coinvolgere dalle linee di imbottigliamento viaggianti (nel senso che arrivano con un tir attrezzato e fanno tutto o quasi loro) e aver quasi masticato un'etichetta biodegradabile, nel leggere un dossier Birra preparato da qualche ufficio fieristico su basi e dati elaborati dalla solita "miniera" Beverfood, catalogone imprescindibile anche se dal prezzo che intimorisce.
Andando rapidi e saltando le mega-acqusizioni mondiali, si scopre che quattro gruppi (Heineken, Sab-Miller, AB-Inbev e Carlsberg) controllano oltre il 65% dei volumi totali, che le birre cosiddette "standard" valgono il 51% del mercato, che la birra più esportata in Patria in assoluto è la Beck's, seguita dalla Ceres e dalle birre dell'olandese Bavaria. Si scopre anche che i birrifici artigianali valgono tutti insieme oltre 150 mila ettolitri, un risultato insperabile fino a qualche anno fa, ma distante anni luce dagli oltre 5 milioni di ettolitri prodotti da Heineken e anche dai 500 mila che sembra valere la Ceres, in tutte le sue varianti.
Ogni tanto questa cifre me le vado a rileggere, un po' per mantenere i piedi per terra e un po' per considerare che il mercato della birra si sta in qualche modo "divaricando": da un lato percentuali, marchi e volumi, dall'altro nicchie, prodotti e bottiglie. E ciò, francamente, mi sembra meglio oggi di ieri. La scelta si è ampliata a dismisura, il consumatore è mediamente cresciuto, un comparto non cannibalizzerà l'altro, nemmeno se qualche grande gruppo deciderà, e non è detto che non succeda prima o poi, di "comprarsi" una birreria artigianale "da vetrina". Insomma, c'è spazio per tutti nel mercato italiano e ancora tanto da conquistare. Soprattutto per i più piccoli che, forse, l'unico pericolo che possono correre è quello di inerpicarsi troppo sulla vetta dell'eccellenza, vera o presunta che sia, dell'immagine e del prezzo. Il mercato è sempre una piramide. Stare in vetta è bellissimo, non c'è dubbio, ma in vetta la superficie calpestabile è alquanto limitata.