6 giugno 2009

Il diavolo e l'acqua santa


Rulli di tamburi, e nemmeno tanto in lontananza, nella giungla della birra artigianale italiana. Due profeti del movimento hanno varcato la soglia degli inferi e non lo hanno fatto per convertire ma, per essere convertiti. L'annuncio, riportato e commentato con la consueta serenità dal sempre tempestivo Andrea Turco di Cronache di Birra, poi più o meno contemporaneamente, credo, da Fermento Birra, da Mondobirra, etc... sembra aver gettato lo scompiglio tra gli appassionati. In realtà nessuno aveva fatto una piega, mi sembra, quando già da inizio anno alcuni birrai avevano aderito ad Assobirra, ma che l'abbiano fatto due gesucristi come Teo Musso e Leonardo Di Vincenzo ha aperto le cateratte del cielo. Da qualche giorno ci sto pensando anche io. Chissà poi perché, visto che quando ne avevo scritto su Barbusiness di febbraio la cosa non mi aveva turbato più di tanto. E mica perché allora a entrare nella confindustria, oddio che volgarità, erano stati l'Atlas Coelestis e compagnia, ma solo perché mi sembrava un abbastanza logico approdo per chi, dalla dimensione modello guerriglia di Sendero Luminoso era arrivato a quella di giovane imprenditore desideroso, anche, di guadagnare. Quello che non capisco è lo stracciarsi le vesti, il minacciare ritorsioni, il "come li abbiamo fatti, ora li distruggiamo" e via di questo passo... Mi suona tanto da amanti traditi, da "meno siamo e meglio stiamo", come quelli che ti dicono che una volta sì che la Pilser Urquell era buona, ma adesso... E io mi chiedo sempre: una volta quando? Dieci anni fa, cinquant'anni fa, nel 1860? E allora quando i treni arrivavano puntuali? E quando c'erano le mezze stagioni? Agli inizi probabilmente Teo faceva le birre da solo, una a una e pure le etichettava personalmente o quasi. Ma da quanti anni le birre, chiamiamole standard, non le fa più Teo? Fanno schifo adesso? Boh, sicuramente ci sarà qualcuno che dirà: eh, non sono più quelle di una volta... A me piacciono ancora. Così come piacciono ancora quelle di Leonardo. E' questa costante divisione tra nero e bianco, tra il diavolo e l'acqua santa, che non comprendo. La visione manichea delle cose. Le guide non sono la Bibbia o un libro da ardere a seconda di chi le fa. Sono consigli che si possono seguire o meno, giudicare sempre. I guru, i sacerdoti, gli esperti non sono vati illuminati la cui parola è legge. Ma solo persone che ci fanno conoscere cose che ancora non conosciamo, ma sulle quali il giudizio spetta solo a noi. Singoli individui. Una birra è buona se per noi è buona. Non se lo dice qualcuno o se la fa un artigiano. L'educazione al gusto non è indottrinamento. Perché non siamo polli in batteria. E allora il tanto vituperato ingresso di due ottimi produttori artigianali in Assobirra non è niente di così drammatico. La gran parte della gente continuerà a bere ciò che vuole, grazie a Dio. I megaproduttori si scanneranno sulle quote, altrettanto mega, di mercato, i piccoli lavoreranno sulla nicchia e se cresceranno ancora un po' dovranno allargare il loro mercato perché sui ristoranti stellati e sulle enoteche di lusso ci campi finché fai davvero poco. Ma anche in quel caso si dovranno distinguere perché prima di arrivare ai volumi, e ai fatturati, delle megaziende ci vorranno delle generazioni. Insomma, mi sembra si stia facendo un gran casino sul nulla, e soprattutto che lo si stia facendo su basi ideologiche ammantate della parola "etica". Ma crescere, fare profitto, è assolutamente etico, quando non sfoci nel reato, per un imprenditore. E questo sono i birrai. Ne più nè meno. La loro birra, dopo essersi asserviti al Golem confindustriale, scadrà al livello di un'acquetta bicarbonata? Bene, ci sarà chi la berrà perché intanto il marchio è diventato trendy e nel frattempo nasceranno nuovi birrai ancora più artigianali, la nuova generazione di duri e puri, pronti a essere scoperti dai guru e dalle guide e pronti, dopodomani, a entrare in Assobirra. E il ciclo riprenderà immutabile. Questo è il mercato, questa è la natura umana. Ovviamente con, sullo sfondo, i cori di dolore dei "ti ricordi tu, tanti anni fa, quanto era buona quella birra....".

1 giugno 2009

Speyside Break


Ogni anno, chissà poi per quale arcano motivo, non appena intravedo l'estate che si avvicina, il lavoro diventa frenetico al limite del parossismo. Quasi fosse un disperato colpo di coda per tenermi ammanettato al notebook. La notizia, ovviamente e di questi tempi, è positiva ma tra articoli da consegnare, la degustazione a Crema con l'Ais Lombardia sulle birre artigianali lombarde e i viaggi di lavoro a Cagliari e a Roma, sono state settimane intense e anche un po' schizofreniche. Se però dovessi scegliere "l'attimo fuggente" sarebbe senza dubbio quello che vedete in questa foto. Si tratta della mia mano (credetemi sulla fiducia), di un calice di Glenrothes Select Reserve e del panorama di un angolo dello Speyside scozzese. Visto dalla sorgente le cui acque compongono questo single malt "soffice" e setoso, comodoso mi verrebbe da osare. La camminata per raggiungere la sorgente è durata una buona mezz'ora, in salita, tra rovesci di pioggia ogni cento metri, più o meno, sguardi indagatori di cordiali bovini al pascolo, e profumi di trifoglio, erba bagnata e fiori. Un'aria pulita che a un milanese, per quanto d'adozione come me, comporta lievi giramenti di testa (troppo ossigeno evidentemente) e una degustazione finale che, d'un balzo, tra il lieve vento in faccia e l'arcobaleno spuntato in valle, si è iscritta di rigore come la più bella della mia vita. E con questa mossa, l'anfitrione della giornata, Ronnie Cox, è diventato il mio uomo di pubbliche relazioni preferito... Glenrothes, in tutta onestà, mi era piaciuto molto già a Milano, ma tutte le sensazioni provate in Scozia mi hanno messo in pace con me stesso. Talmente in pace che quando il mio notebook (quello di adesso è il netbook di riserva) ha ceduto di schianto, l'ho presa con filosofia. Nemmeno avessi fatto colazione con corn flakes e fiori di loto... Scotland forever!