20 giugno 2012

Chi scrive di birra alla Metro?

La Carta delle Birre di Metro
Le scure? "Sono chiamate così perché a maggior contenuto di malto, hanno gusto più dolciastro, a volte zuccherato ed un sapore amaro". Le Weisse? "Non filtrate e opache...(omissis)... durante la cottura, possono essere aggiunti coriandolo e scorze d'arancia...". Queste un paio di perle che ho ricavato dalla rapida lettura dello speciale Carta delle Birre di Metro Italia, la catena di cash&carry. Ora io non vesto i panni del fustigatore, gli errori si fanno e so per esperienza che non c'è "visto si stampi" che sia immune da sviste, errori di ortografia et similia. Tuttavia gli svarioni firmati Metro Italia mi servono da spunto per compiere una riflessione che da qualche mese va e viene nel mio cervello. Che la birra in Italia abbia un'immagine percepita di gran lunga superiore rispetto ai tempi passati non ci piove. Di birra si parla anche su giornali extra-settoriali, i birrai vanno in televisione e la birra, soprattutto quella artigianale, è citata a ogni pié sospinto. Anche in occasioni dove non ricopre un ruolo principale. Altro esempio è la conferenza stampa che ha annunciato, qualche giorno fa, la collaborazione tra Gambero Rosso e IULM qui a Milano. Oltre all'annunciata inaugurazione, proprio nella sede dell'ateneo, della succursale meneghina della Città del Gusto (prevista nel 2013), sono stati presentati diversi corsi universitari e master in tema enogastronomico. Da quelli in area del Restaurant Management a quelli sul Web e Social Marketing per il settore enogastronomico e sul Food & Wine Communication. Tralascio volutamente le mie opinioni in merito, sono contento di aver imparato il giornalismo sulle strade di Mestre e Venezia, a furia di interviste de visu e qualche porta in faccia, ma faccio solo memoria a un servizio che avevo preparato per un mensile vinicolo anni fa in merito all'esplosione dei corsi di enologia non più confinati alle storiche istituzioni di Alba, Conegliano e San Michele all'Adige. Un autorevole intervistato mi confidò che, di questo passo, avremmo avuto più enologi che cantine in Italia...
Ma il passaggio che mi ha colpito è stata la precisazione, da parte del relatore, che il corso di Food&Wine Communication avrebbe riguardato anche i distillati e, certamente, la birra. Solo due paroline buttate lì che, tuttavia, solo qualche anno fa non sarebbero state dette. Indizi, certo. Ma che, come si dice nei gialli, messi tutti insieme fanno una prova...
E allora, ed è questa la mia domanda, perché ci si ostina a far scrivere di birra gente che ne sa poco o nulla? Nel vino è una cosa che succede di rado. Forse perché ci sono in giro personaggi molto più noti o perché ci sono in ballo interessi più sostanziosi, ma è raro che capiti a scrivere di vino qualcuno che ne sa poco. Nella birra invece va bene tutto, al massimo anche qui si sceglie un esperto di vino perché, tanto, sempre di bevande alcoliche stiamo parlando. E' stato ad esempio il caso di Giuseppe Sicheri, scrittore di lungo corso in materia enologica chiamato da Hoepli a pubblicare un volumetto sulla birra con risultati, a mio parere, modesti. So già l'osservazione che si sta levando nella testa di chi sta leggendo: questo post è un chiaro tentativo di portare acqua al mio mulino... Beh, lo è certamente, ma sono anche consapevole dei miei limiti fisici e di quelli temporali e anche di un sacco di altre cose, quindi non ho l'ambizione di diventare il monopolista della parola scritta intinta nella birra.
Considero solo come ci sia ancora parecchia strada da fare nel campo della comunicazione birraria e di come la birra sia ancora considerata un'appendice curiosa e simpatica nel campo del bere, magari da tenere d'occhio ma senza investire troppe risorse. E' miopia bella e buona. E' come se per innaffiare aspettassimo di vedere se la pianta cresce. E, in ultima battuta, detta fuori dai denti, dispiace pure vedere l'associazione di riferimento del settore, la storica Assobirra, scegliere sempre dei foodblogger per commentare risultati di ricerche in tema birra. Con risultati a volte imbarazzanti. Qui non si tratta di avere chissà chi a raccontare di birra davanti a un pubblico comunque di giornalisti, e spesso di settore, solo trovare qualcuno che sa andare un po' più in profondità, trasmettere più passione e amore per il prodotto e non parlare di birra per luoghi comuni. E' quello che è capitato appena due giorni fa sempre a Milano, ma non era nemmeno la prima volta. E forse non sarà neanche l'ultima...

13 giugno 2012

AIS-Unionbirrai: questo matrimonio...

Il Westin Palace a Milano
Lunedì scorso ho fatto un salto all'evento targato Associazione Italiana Sommelier e Unionbirrai che si è tenuto al Westin Palace Hotel di piazza della Repubblica a Milano. L'hotel, location di lusso, è la sede ormai naturale degli eventi e dei corsi organizzati dalla sezione milanese e/o lombarda dell'Ais. Questa era però la prima volta, andando a memoria, che ospitava una serata interamente dedicata alla birra artigianale italiana. A mio merito, voglio ricordare una serata di degustazione di un paio d'anni fa, tenutasi a Crema con birre artigianali lombarde. Quella volta, l'Ais locale era rimasto a bocca aperta perché, a fronte delle solite 40-45 persone per tasting enologici vari, ma di livello, gli iscritti paganti erano addirittura 90. Milano comunque era rimasta una piazza "vergine" tolte le apparizioni, di successo, di Teo Musso e di Agostino Arioli.
L'evento "Birra, che stile!" dunque si preannunciava interessante, forte anche di 13 birrifici lombardi e non solo. La notizia sta anche in una prima forma di collaborazione tra le due associazioni di riferimento dei rispettivi settori, la storicissima Ais e la consolidata Unionbirrai. Che gli uomini in giacca blu e modi misurati fossero leggermente in antitesi con il popolo "indie" della birra si poteva presumere, ma è stato divertente vedere il contrasto di persona. Da un lato giacche e cravatte, dall'altro pantaloni a mezza gamba e tatuaggi in vista.
Il logo Ais
Le apparenze comunque contano poco. L'iniziativa è meritevole visto che di birra l'Ais mastica ancora troppo poco. Una lezione dedicata durante il primo corso, e condivisa con nozioni sui distillati di malto, lascia il tempo che trova. E servono a poco anche i corsi promossi in collaborazione con Assobirra, il cui limite a birre mainstream e dei grandi gruppi, evidenzia una certa caratura "pubblicitaria" e autopromozionale dell'iniziativa. Ma forse questo è davvero uno dei limiti più evidenti di Assobirra, dimostrato anche dalla sparizione all'orizzonte della discutibile operazione "Tavole della birra" firmata in collaborazione con il gruppo L'Espresso. Faccio solo due rapide riflessioni, con poca voglia di far polemiche: se a una guida non dai un respiro annuale e non la mantieni in vita almeno per tre anni, i costi della pubblicazione sono gettati nel vento. E se ai sommelier del vino che si sono incuriositi alla birra per le sue particolarità fai assaggiare birre che si trovano in grande distribuzione, il flop è abbastanza annunciato.
E quello di Unionbirrai...
Detto questo mi riporto rapidamente sull'argomento del post ovvero Birra, che stile! In tutta franchezza mi aspettavo più pubblico e più facce sconosciute, invece ho avuto i piacere di rivedere alcuni volti noti del mondo della birra artigianale, ma non la ressa tipica dei banco d'assaggio organizzati dall'Ais. Vero anche che, in questo senso, non ho una frequentissima partecipazione da addurre, e forse mi ero fatto qualche illusione di troppo, tuttavia ero convinto che le birre si sarebbero volatilizzate in poche ore. Colpa di qualcuno? Forse no, forse serviva solo un po' di pubblicità in più, forse i tempi non sono ancora così maturi, forse i sommelier preferiscono, con un tema abbastanza nuovo per loro come le birre, partecipare a una degustazione guidata piuttosto che a un tasting.
Ma, in questi casi, si deve sempre fare la tara del debutto. Magari la prossima volta andrà meglio. Io personalmente invece ho avuto modo di conoscere dal vivo Nicola Grande del Siebter Himmel. Conoscevo di nome il suo pseudonimo e il suo talento grafico, ma la Nuce è una dubbel che mi ha convinto molto. Soprattutto tenendo conto che lo stile a volte mi sembra accusare una certa "pesantezza" e non è mai stato tra i miei preferiti. Molto buona anche la 2 Cilindri del Birrificio del Forte, una porter morbida morbida, con un profumo che mi ha fatto venire in mente quando, bimbo, spendevo i miei soldi in Kinder Cereali. Quindi grazie per l'effetto nostalgia! Infine sono stato letteralmente "piallato" dalla Machete Double Ipa di Giovanni Campari, "conducator" del Birrificio del Ducato. E' stato come infilarsi con una tavola da surf in un tunnel di luppolo: inebriante, pericolosa, adrenalinica, "assuefacente"...

1 giugno 2012

Uomini che contano...

Charlie Papazian
Sì, ma non nel senso che ci sanno fare con i numeri... Contano nel senso che hanno un "peso", un'influenza specifica nel settore della birra artigianale. Insomma, gli opinion leader, quelli che fanno il piccolo mercato della birra artigianale italiana. L'idea di questo post mi è venuta qualche settimana fa, dando un occhio a questa pagina dell'americano The Daily Meal. Il quale proponeva una classifica delle 30 persone più "potenti" nel settore del beverage, quindi non solo birra. In classifica, che vede al primo posto il Ceo di Starbucks, con altri big boss tipo della Coca Cola, Pepsi Cola e AB Inbev, compaiono anche dei noti personaggi della birra artigianale a stelle e strisce: da Jason e Todd Alstrom di Beer Advocate (30) a Charlie Papazian (20). Mi sono chiesto quindi se si poteva fare un sondaggio, qui su Birragenda, per capire tra i miei sparuti lettori chi si ritiene influente nel nostro ambiente. Ovviamente si tratta di un giochino e niente di più, in primo luogo perché il mio pubblico non è così vasto da decretare una classifica davvero credibile, in secondo luogo perché comunque le classifiche di questo tipo tendono a premiare le persone più amate o con maggiore visibilità in rete e non, con matematica certezza, quelle che davvero hanno il "potere" d'influenzare il mercato della birra artigianale.
Fatta questa premessa ho allora cercato di riflettere sulla mia personale classifica per arrivare a creare una lista di nomi che ritengo abbiano tutti un certo peso eliminando dal contest solo due figure: una è la mia, né per timori di finire a zero voti né per sicurezza di vincere ma solo per onestà intellettuale (dovrei come minimo votarmi), la seconda figura è quella di Lorenzo Kuaska Dabove, ma per ragioni diverse ovvero credo vincerebbe troppo facilmente e poi lo considero troppo "padre della patria" per metterlo in sfida con gli altri.
Jason e Todd Alstrom
Ripeto, è solo un gioco ma è anche un tentativo di capire, in minima parte, a che livello è la percezione tra i miei lettori di chi davvero fa il mercato della birra artigianale. Sicuramente dalla mia lista resteranno fuori delle persone che qualcuno invece troverà giusto inserire. A questo punto vi invito a segnalarmi la persona nei commenti. Per il resto ho cercato di mettere dentro personaggi diversi: blogger e distributori, curatori di guide e produttori, gestori di locali...
Il criterio non deve essere la bravura o la competenza, ma solo l'influenza (definirlo potere mi sembra eccessivo, ma il termine vi si avvicina molto) cioè la capacità di avvicinare nuovo pubblico, e non consolidare il vecchio, al fenomeno birra artigianale.
Ok, credo di aver detto tutto. Adesso appronto il sondaggio e poi via ai voti.