15 marzo 2011

Torta Mimosa alla Bloemenbier

Lievemente in ritardo sulla festa dell'8 marzo, ma noi apparteniamo a quelli che non credono molto in queste ricorrenze, ecco il secondo appuntamento con le ricette di Salvatore Garofalo ovvero la Torta Mimosa. Ma, Mimosa in versione birraria naturalmente, quindi con la Bloemenbier, una birra belga aromatizzata con fiori che la rendono particolarmente dolce. A mio gusto, perfino troppo, nel senso che non riesco a berne più di qualche sorso. Ma così, in versione "aromatizzante" di una torta, credo abbia tutto un altro senso. Complimenti dunque a Salvatore, chef de La Ratera di Milano, che come sempre apre nuove porte alla scoperta delle birre speciali.
M.M.

TORTA MIMOSA ALLA BLOEMENBIER

La Torta Mimosa alla Bloemenbier

INGREDIENTI

4 dischi di pan di spagna
2 vaschette di fragole o 1 vasetto di ananas sciroppato
50 cc di Bloemenbier
250 dl di panna fresca

Per la crema pasticcera:
7 tuorli
150 g di zucchero
45 g di farina
650 dl di latte
100 cc di Bloemenbier

PROCEDIMENTO:

Battere i tuorli con lo zucchero e la farina, versarvi parte del latte freddo e i 1000 cc di Bloemenbier; amalgamare bene.
Porre sul fuoco la restante parte del latte e portare a ebollizione.
Versare il latte caldo sulle uova unite allo zucchero, al latte e alla farina, mescolare bene e versare in un tegamino.
Portare il tegamino sul fuoco e, mescolando continuamente per evitare che la crema attacchi sul fondo, portare a ebollizione.
Lasciar raffreddare la crema.
Montare la panna fresca e unirla alla crema, una volta raffreddatasi.

Con l’aiuto di un pennello, bagnare i dischi di pan di spagna con i 50 cc di Bloemenbier.
Tagliare a spicchi le fragole o a cubetti le fette di ananas sciroppato (esistono in commercio vasetti di ananas sciroppato, già tagliato a cubetti).
Su un primo disco di pan di spagna, sistemare la crema alla Bloemenbier e un terzo della frutta; ricoprire col secondo disco di pan di spagna e ripetere l’operazione. Completare con l’ultimo disco di pan di spagna, sistemare la crema e la frutta anche su quest’ultimo disco.
Tagliare a cubetti il disco di pan di spagna rimasto e guarnire con questi cubetti la torta.
Lasciar riposare almeno un paio d’ore in frigorifero prima di servire.

10 marzo 2011

Basta che sia autoctono?

Mi cospargo il capo di cenere per aver millantato che sarei passato all'Italian Beer Festival la domenica. Ma, ahimé, la chiusura adrenalinica di un lavoro per la Regione Lombardia mi ha costretto a fare i doppi turni alla tastiera. Leggendo qua e là mi sono reso conto di essermi perso una kermesse importante e interessante, soprattutto la possibilità di incontrare parecchi produttori in un unico luogo (che per chi ha poco tempo è particolare non indifferente). Poi, certo, il mio lato "perverso" avrebbe tanto voluto conoscere i campioni dello yo-yo che, per certi assurdi versi, mi ricordano un po' alcuni web-commentatori. Comunque, sia come sia e Ibf ormai archiviato, butto giù qualche riflessione dopo aver acquistato e assaggiato la Birra Stelvio Saraceno, produzione valtellinese localizzata in quel di Sondrio e nota per essere proprietà degli stessi artefici del famoso Amaro Braulio. La birra in sé è abbastanza anonima, evidentemente il grano saraceno, una delle produzioni più caratteristiche della zona (i pizzoccheri tanto per fare un esempio), non contribuisce a renderne particolare il profilo aromatico. Oppure il birraio ne mette troppo poco. Boh...
Birra Stelvio

Ma la questione mi ha fatto pensare a questa tendenza tutta italiana di "tipicizzare" le birre con prodotti vari del territorio. Sia chiaro alcune cose sono state delle intuizioni, e realizzazioni, particolarmente felici. Penso ad esempio al Birrificio Montegioco, al Birrificio Barley, a Birra del Borgo, al Birrificio Amiata, ma in altri casi l'aggiunta dell'ingrediente "di zona" poco ha fatto per la birra. Insomma, a parer mio è più una trovata di marketing che altro. Il problema è che se si decide di fare una birra "autoctona" si dovrebbe tentare in tutti i modi di riuscire a esprimere il carattere dell'ingrediente "autoctono". In che modo io non lo so, ma questa tendenza ha senso solo se si schiaccia l'acceleratore della caratterizzazione. A costo di buttare via tutto. Altrimenti meglio lasciar perdere, dopo un po' sembra quasi una presa in giro. Bisognerebbe anche iniziare a convincersi che non tutto ciò che è autoctono è sinonimo di qualità. O, almeno, non tutto vale l'immissione in una birra. Molto meglio lavorare bene su lieviti, cereali, luppolo e acqua che, a dirla tutta, non è cosa facile. Passato lo stupore e la curiosità della birra "al rapanello di Fondi" (spero non esista sul serio una birra così), sembrerà che i birrai sono degli improvvisatori o, peggio, dei bambini alle prese con Il piccolo alchimista. E le cose, pensando ancora a Montegioco & Co., non stanno così. Almeno per ora...

3 marzo 2011

Birra Fare & Gustare

Si preannuncia come una lettura interessante l'ultima fatica letteraria di Daniele Fajner e Mirco Marconi. Il titolo è Birra fare & Gustare, edizioni Edagricole per 15 euro da pagare alla cassa. Sui due autori non credo ci siano molte parole da spendere perché ben conosciuti nell'ambiente birrario italiano. Marconi, insieme a Tullio Zangrando, aveva dato qualche anno fa alle stampe Il libro della Birra e, più recentemente, insieme a Fajner il molto interessante Dentro al gusto dove alla birra si dedicava un capitolo insieme a vino, olio, caffè, tè ma anche pasta, riso e cioccolato. Nella vita Fajner è responsabile di laboratorio al Dipartimento di Ingegneria Chimica dell'Università di Bologna, collabora inoltre con Slow Food. Marconi invece è un insegnante di chimica agraria, assaggiatore Onav, collaboratore di Slow Food e un sacco di altre cose.

La copertina del libro
Il taglio è abbastanza tecnico professionale e molto rivolto a chi vuole mettersi in campo come birraio casalingo, quindi un sacco di nozioni scientifiche descritte con meticolosità dai due autori. Che del resto hanno entrambi una formazione "chimica". A tal proposito, un passaggio a pagina 143 è emblematico: "Degustatori e beerwriters ci deliziano spesso con descrizioni degli aromi delle birre molto fantasiose e colorite, dove sono presenti profumi a volte del tutto inaspettati. Ovviamente queste percezioni del profumo della birra sono del tutto personali, frutto della propria memoria olfattiva e creatività, ma di difficile riscontro su base scientifica". Che dire? Lo sappiamo, ma un pizzico di poesia ci vuole... Comunque tra citazioni di feniletanolo e butoanoato di etile, che mi dimenticherò sicuramente di aver letto dopo nemmeno dieci secondi, restano molte cose interessanti per cui vale la pena sfogliare con cura il libro. Come ad esempio il fatto che "il profilo aromatico del luppolo statunitense differisce completamente dagli altri, dominato da un profumo di ribes nero, la cui causa è stata identificata con la presenza del 4-metil-4-sulfanil-pentan-2-one (MSP)". Vabbé, ribes nero, d'accordo. Questo me lo posso ricordare...

1 marzo 2011

Prendila "sfusa"...

La nuova frontiera della birra artigianale potrebbe passare da Spinea (Venezia)? Me lo sono chiesto quando i fari dell'auto hanno illuminato per un attimo questo cartello lungo la strada che mi riporta a casa (quella "natale". Mi sono incuriosito parecchio per quel termine "sfusa" che per la prima volta vedevo applicato alla birra e, per di più, in un'enoteca. Così il giorno dopo eccomi alla porta di un'enoteca che conoscevo da anni per l'onesto Merlot del Piave venduto, per l'appunto, sfuso. La proposta oggi si è arricchita pur restando ancorata al buono senza pretese. Niente SuperTuscan o etichette blasonate, ma del vino decente per chi ne fa un consumo quotidiano (ebbene sì, esistono ancora), poi qualche salume, dei formaggi, delle confetture e, incredibile ma vero, delle birre artigianali. Bottiglie del birrificio trevigiano San Gabriel, del beneventano Saint John's e parmense pluripremiato Birrificio del Ducato. Fin qui tutto bene, convengo con il gestore che, di questi tempi" non puoi proprio non tenere delle birre artigianali. Ma allo stesso tempo resto perplesso per il
fatto che di rappresentanti di birra artigianale "se ne vedono ormai tutte le settimane". Quello che si dice: conseguenze concrete del fenomeno del momento. Ma, bottiglie a parte (la Viaemilia da 33 cl va via a 4,90 euro), la mia attenzione si concentra sulla questione della "birra artigianale sfusa". Il trucco è facile facile, soprattutto forse perché io mi aspettavo chissà che cosa, e si concretizza in un impianto mobile alla spina fornito dal birrificio San Gabriel e da enne bottiglie, tappo metallico, sempre firmate San Gabriel. le bottiglie le prendi in comodato d'uso a 2,50 euro; il litro di birra, per ora solo la chiara ma si pensa presto ad aggiungere un'ambrata, costa 4,90. Tanto quanto una Viaemilia da 33. I paragoni economici mi interessano poco (sono convinto che sia il mercato a fare il prezzo), ma trovo tutto sommato simpatica questa idea della birra sfusa.

Il titolare e l'impianto della "birra sfusa"

Mi ricorda la vecchia abitudine, tuttora credo in vigore, di fare un salto alla Birreria Pedavena, quella storica dell'omonima fabbrica di birra, per bersi la Centenario, non pastorizzata e non filtrata, ed eventualmente farsi riempire un bottiglione da due litri per esigenze future. Bottiglione, come all'enoteca di Spinea, concesso in comodato d'uso. Insomma, è un'iniziativa che fotografa il momento di straordinaria vitalità per le birre artigianali. Se, da un lato infatti, Unionbirrai propone la "bottiglia unica", e ci torneremo sopra su questo argomento, alcuni birrifici propongono la "sfusa". Se alcuni birrifici cominciano a puntare su prezzi più bassi e, presumo, diffusione più allargata, altri invece tengono prezzi più elevati e diffusione più ristretta. Scelte diverse, indubbiamente. Non saprei dire, in tutta onestà, chi vincerà. In realtà, mi piacerebbe che vincessero tutti.