10 marzo 2011

Basta che sia autoctono?

Mi cospargo il capo di cenere per aver millantato che sarei passato all'Italian Beer Festival la domenica. Ma, ahimé, la chiusura adrenalinica di un lavoro per la Regione Lombardia mi ha costretto a fare i doppi turni alla tastiera. Leggendo qua e là mi sono reso conto di essermi perso una kermesse importante e interessante, soprattutto la possibilità di incontrare parecchi produttori in un unico luogo (che per chi ha poco tempo è particolare non indifferente). Poi, certo, il mio lato "perverso" avrebbe tanto voluto conoscere i campioni dello yo-yo che, per certi assurdi versi, mi ricordano un po' alcuni web-commentatori. Comunque, sia come sia e Ibf ormai archiviato, butto giù qualche riflessione dopo aver acquistato e assaggiato la Birra Stelvio Saraceno, produzione valtellinese localizzata in quel di Sondrio e nota per essere proprietà degli stessi artefici del famoso Amaro Braulio. La birra in sé è abbastanza anonima, evidentemente il grano saraceno, una delle produzioni più caratteristiche della zona (i pizzoccheri tanto per fare un esempio), non contribuisce a renderne particolare il profilo aromatico. Oppure il birraio ne mette troppo poco. Boh...
Birra Stelvio

Ma la questione mi ha fatto pensare a questa tendenza tutta italiana di "tipicizzare" le birre con prodotti vari del territorio. Sia chiaro alcune cose sono state delle intuizioni, e realizzazioni, particolarmente felici. Penso ad esempio al Birrificio Montegioco, al Birrificio Barley, a Birra del Borgo, al Birrificio Amiata, ma in altri casi l'aggiunta dell'ingrediente "di zona" poco ha fatto per la birra. Insomma, a parer mio è più una trovata di marketing che altro. Il problema è che se si decide di fare una birra "autoctona" si dovrebbe tentare in tutti i modi di riuscire a esprimere il carattere dell'ingrediente "autoctono". In che modo io non lo so, ma questa tendenza ha senso solo se si schiaccia l'acceleratore della caratterizzazione. A costo di buttare via tutto. Altrimenti meglio lasciar perdere, dopo un po' sembra quasi una presa in giro. Bisognerebbe anche iniziare a convincersi che non tutto ciò che è autoctono è sinonimo di qualità. O, almeno, non tutto vale l'immissione in una birra. Molto meglio lavorare bene su lieviti, cereali, luppolo e acqua che, a dirla tutta, non è cosa facile. Passato lo stupore e la curiosità della birra "al rapanello di Fondi" (spero non esista sul serio una birra così), sembrerà che i birrai sono degli improvvisatori o, peggio, dei bambini alle prese con Il piccolo alchimista. E le cose, pensando ancora a Montegioco & Co., non stanno così. Almeno per ora...

5 commenti:

Angelo Jarrett ha detto...

Osservazioni abbastanza condivisibili. In effetti si corre il rischio di fare della tipicità un semplice specchio per le allodole, anche se c'è da dire che media, associazioni culinarie e UE ci abituano a fare dei marchi e delle certificazioni una bibbia in tema di qualità e starbene...

simone monetti ha detto...

Il problema è che "l'alimentare" fa gola a molti.
E soprattutto in Italia, per tantissimi motivi, tendiamo a porre marchi di legame al territorio che spero riusciremo a risparmiarci nella birra. Come detto in altra sede, siamo giovani e possiamo, forse la mia è utopia, fare cose diverse rispetto ad altri settori.

Duncan Mac Rae ha detto...

Maurizio ha un fiuto eccezionale per dire cose che molti altri pensano e basta. La caratterizzazione in senso brassicolo di una zona può autorizzare a pensare che un giorno anche in Italia ci saranno tipologie birrarie legate a una precisa identità geografica, come ad esempio le Kolsch per Colonia, le Alt per Dusseldorf, le bière blanche per Lovanio, le Weizen per la Baviera e la Rauchbier per Bamberg, giusto per fare solo alcuni esempi. Credo che la cosa non dovrebbe dispiacerci, anzi sarebbe un sottolineare la maturità di un movimento nazionale,

Angelo Jarrett ha detto...

La tua osservazione, Duncan, è anch'essa molto sensata ed intelligente. Ma per far sì che una trovata pseudo-territoriale diventi espressione del modo di un'area geografica di fare birra è indispensabile la condivisione di quel modo da parte dei birrifici della stessa "area di influenza". Cioè...se non si crea uno sciame di imitatori ispirati dall'idea e che racchiudano in quella birra un sunto anche della cultura locale, pensare ad eventuali nuovi stili sarebbe solo un gioco di fantasia.
Vedremo cosa succederà col tempo...

Maurizio ha detto...

Credo anche io che il futuro disegnato da Duncan sia ancora molto lontano, ma indubbiamente suggestivo. Il panorama artigianale è oggi molto confuso e leggermente anarchico. La costanza qualitativa è patrimonio di pochi birrifici, soprattutto in rapporto al numero ormai elevato di impianti di produzione, e forse si dovrebbe innanzitutto lavorare in questa direzione... Poi sì, anche a me piacerebbe veder considerata la birra artigianale come tipicità del territorio al pari del vino, dei salami o dei formaggi. Al momento, per molti versi, siamo ancora alla fase della curiosità-sorpresa...