31 marzo 2010

1001 beers you must try before you die


Dopo averci lavorato alacremente sotto la canicola della scorsa estate è finalmente uscito questo compendio sulle 1001 birre da provare nella vita(vabbé, prima di morire ma non credo vada inteso alla lettera). Libro ideato, curato e coordinato dal giornalista inglese Adrian Tierney-Jones (www.maltworms.blogspot.com) con la collaborazione di numerose firme del settore: da Jeff Evans a Conrad Seidl, da Joris Pattyn a Evan Rail, da Randy Mosher a Laurent Mousson. Le collaborazioni italiane, oltre alla mia, sono state di Eugenio Signoroni e Stefania Siragusa. Le recensioni tricolori sono circa una quarantina con quasi tutti i microbirrifici più noti segnalati, con una o più etichette. Quella nella foto è la copertina del volume che ho acquistato in Feltrinelli, ma la copertina può cambiare e così il titolo (che nell'edizione americana diventa "you must taste" invece di "you must try" - non chiedetemi perché). Quello che non cambia sono invece i contenuti. Sicuramente un lavoraccio, soprattuto per aver dovuto scrivere direttamente in inglese, ma il risultato a me pare più che buono. Poi si sa, le recensioni sono sempre opinioni non vangelo.

12 marzo 2010

Questione di etichetta


Nella plaga semidesertica di Pianeta Birra, brillava lo spazio della birra artigianale, con i suoi protagonisti, noti e meno noti. Un pacchetto notevole di spunti giornalistici se non fosse che, a Rimini, passo la maggior parte del tempo a salutare volti noti, almeno per me, e fare chiacchiere, anche da cortile lo ammetto. Quindi ho trovato molto interessante la conferenza organizzata dal Mobi per presentare l'iniziativa Birra Chiara. Ovvero, per farla breve visto che la notzia è stata ampiamente riportata sul web, la richiesta di etichette più trasparenti e informative quindi non solo rispettose delle indicazioni previste dalla legge, ma anche più ricche di "contenuti utili" per il consumatore. Premesso che ogni produttore fa quello che gli pare, dopo aver almeno rispettato gli obblighi di legge, sono assolutamente convinto che le istanze del Mobi vadano in questo senso non solo accolte, ma anche sostenute. Ritengo che le informazioni aggiuntive (in termini di ingredienti, di tpo di produzione, etc...) siano la prima e immediata risposta alla recente curiosità del consumatore generalista nei confronti dell'universo birra. Una curiosità che è stata il terreno fertile del successo di molti birrifici artigianali e, in un ottica di mercato complessivo, del significativo trend di crescita delle birre cosiddette speciali che, fino a qualche anno fa, sembravano in crisi di ossigeno. Insomma, le informazioni più chiare che chiede il Mobi sono a mio avviso le stesse che potrebbe, e dovrebbe, chiedere un gestore consapevole, chiamiamolo così, un sommelier, un titolare di enoteca o di bottega gourmet, un ristoratore (ma anche un pizzaiolo). Quale sarà la risposta? Tutto sommato credo, e spero, positiva. Per quanto il convegno non fosse particolarmente affollato, i birrai artigianali dovrebbero immaginare che questa è una strada giusta da percorrere per dare forza alla propria impresa. Privi delle risorse delle multinazionali, necessarie per far crescere il brand nella percezione collettiva, si deve per forza lavorare sulla specificità e riconoscibilità delle loro birre. E questo lo si fa anche aggiungendo qualche informazione in più sull'etichetta.

11 marzo 2010

Cascinazza Amber alla Trattoria Mirta


Avevo letto opinioni contrastanti su questa birra prodotta nell'hinterland milanese da una comunità di monaci benedettini. Così quando, ieri sera, mi sono trovato a cena alla Trattoria Mirta (http://www.trattoriamirta.it/) per una guida, ho colto al volo l'occasione di assaggiare la loro Amber, restandone piacevolmente impressionato. A dire il vero, mentre la versavo, mi veniva da pensare a Teo Musso, in parte perché mi sembrava di ricordare una sua collaborazione, e forse anche quella di Agostino Arioli, nei primi passi della Cascinazza, ma anche perché aspetto, consistenza della schiuma e primi profumi me la facevano apparire molto Baladin's style. Resta il fatto che l'ho trovata ben fatta, senza difetti. Un naso gentilmente agrumato, un ricordo di fiori e una leggere sottolineatura di spezie, di pepe bianco. In bocca non eccessivamente muscolare, ma consistente e con un finale pulito e gradevole. Insomma, una buona birra che mi è piaciuta anche di più in abbinamento con lo Sformatino di patate e parmigiano con mozzarella e paté di peperoni. Paté di puro visibilio, tra l'altro. Ma, birra a parte, al Mirta ho mangiato una delle migliori sbrisolone della mia vita, friabile e burrosa con sopra una mousse di nocciola da "sindrome di Stendhal". Ovvero da svenimento. Ho riflettuto sull'apporto calorico, ma lo chef è stato lapidario: "Non chiedere". Meglio, anche perché quella sbrisolona era, a detta dello stesso chef, la versione "leggera".

9 marzo 2010

Il lavoro degli altri


Tre post in due giorni... Wow, si vede che non ho un cazzo da fare... Invece pur con l'acqua alla gola per correre dietro agli editori che si svegliano sempre all'ultimo momento eccomi qui a sfogare un po' di bile su chi, e Dio solo sa quanto sia diffusa questa cosa oggi nel nostro settore, ritiene non solo di saper fare divinamente il proprio lavoro. Ma pure il tuo! Ah, ne ho proprio le palle piene di spremitori d'uva che sanno l'italiano come Biscardi, di formaggiai convinti di aver scoperto il Caglio Santo, di birrai che imbroccano una birra sì e otto no però ti vengono a spiegare come si deve scrivere e magari anche quanto o dove... Mi ricordo anni fa un tizio che faceva bruschette, bruschette eh mica chissà cosa, che aveva una segretaria che una volta era stata maestra elementare, la quale aveva il compito di "passare" i publiredazionali che, in un momento di raro masochismo, avevo deciso di accettare di scrivere. Una tragedia, i pensieri e le frasi ridotti allo stato espressivo semilarvale di un fanciullo in fase di sviluppo, concetti degni di un ET "io telefono casa" che riscuotevano le lodi del neanderthaliano bruschettaro. Ho sempre cercato, sbagliando, di rispettare il lavoro altrui e di capire quando il mio giudizio aveva il senso dell'esperienza acquisita o era semplicemente una mia impressione personale. In sostanza, comprendere la differenza che passa tra il giudizio di un competente e quello di uno zotico appena sbarcato sulla Terra. Ma, evidentemente, ho sbagliato... Molto meglio imbracciare il fucile e sparare al bersaglio grosso, stroncare un po' a destra e un po' a manca, tanto per fare rumore e vedere l'effetto che fa... Il mio sogno nel cassetto? Leggere un publiredazionale sulla bruschetta scritto dalla maestrina senza penna rossa: "La bruschetta è buona. La bruschetta fa bene. Comprate la nostra bruschetta. La bruschetta la trovate a...". Oggesù, perchè non intuisco mai le potenzialità da romanzieri di successo planetario, quando le incontro?

Il miglior panettone di Natale


Allora, punto primo: ho sempre preferito il pandoro al panettone. Saranno le origini venete o che altro, ma così stanno le cose fin dall'infanzia. Punto secondo: resto sempre un po' perplesso di fronte alle produzioni extrabirrarie artigianali. Siano esse marmellate, gelatine, biscotti, pane, formaggi, jeans o profumi per l'ambiente. Anche se in qualche caso mi sono dovuto ricredere. Ma mai tuttavia come per questo panettone firmato Le Baladin. Semplicemente superlativo! Negli stessi giorni avevo speso oltre 10 euro per un panettone Loison, marchio molto gettonato tra i critici gourmet, rimanendone fondamentalmente deluso. Ora, d'accordo che non conosco il prezzo del "Panettoladin", ma morbidezza, gusto e profumi erano indimenticabili. Tanto è vero che lo segnalo e ne scrivo, in mostruoso ritardo, a marzo (ma mi è capitato di rivedere la foto per caso facendo ordine sul desktop).

8 marzo 2010

Assaggi al BQ


Questo pomeriggio abbiamo rotto gli indugi e abbiamo deciso di fare un salto al BQ per l'ultimo scampolo di Italia Beer Festival che si è svolto nello spazio di via Losanna. La scusa di passare anche all'Esselunga della zona è miseramente naufragata con la scomparsa dell'Esselunga stessa (cosa che mi ha fatto capire che era un po' di tempo che non bazzicavo da quelle parti), ma le due ore passate al BQ mi sono servite per assaggiare qualcosa in ordine sparso e soprattutto riflettere sul fatto che agli operatori (un po' pochini nel tempo passato nel locale) forse non è che gli frega poi così tanto della birra artigianale italiana. Sicuramente molto meno di quanto, noi appassionati del settore, siamo portati a pensare. Il che fa sorridere pensando al pathos che si respira in rete ma anche nelle fiere (tipo Rimini), ma fa quasi piangere se si pensa al mercato reale, alle sue problematiche (qualità, costanza, prezzi, logistica, distribuzione, etc...). Comunque, dovendo poi recarci per davvero all'Esselunga, ho deciso di provare come prima birra la tanto reclamizzata, quasi famigerata, La Trenta del duo Polli-Trentalance (ma soprattutto del birraio che materialmente la fa). Beh, a me è piaciuta. Davvero. L'aroma era fresco e rinfrescante, aveva delle note intriganti che mi ricordavano l'uvaspina, in qualche maniera l'anguria (!), un sentore di menta bianca. In bocca il luppolo era preciso, gradevole, un taglio secco e pulito, persistente. Buono, insomma. Sono passato poi alla Schwarz del Birrificio Henquet che ho trovato discreta, molto beverina. Insomma, senza gioie e senza dolori. Infine, ho trovato alla spina la Rude Boy del Birrificio Toccalmatto. Premetto che le etichette del Toccalmatto, a mio gusto personale, sono le più belle oggi in circolazione in Italia, e che le ultime loro birre assaggiate mi avevano proprio convinto. Non è stato invece così per la Rude Boy, molto bella al naso con una pazzesca nota di arancia e una sottolineatura speziata, ma dall'amaro eccessivamente brutale in bocca, con un retrogusto che mi ha ricordato il chinino e la cicoria. Davvero un po' troppo per i miei gusti.