"Due ragazzi, freschi di laurea in scienza delle comunicazioni, sono venuti da me a Torino. Chiedevano lavoro. Gli ho detto: qui non ho niente, ma sto aprendo un grande complesso a New York. Emporio dell'alta qualità alimentare e sette ristoranti. Mi serve qualcuno che sappia fare la mozzarella a mano. Se imparate, il posto è vostro. Sono partiti di corsa: li ho mandati ad Andria, sono lì da due mesi". Dichiarazione di Oscar Farinetti letta ieri sulle pagine del Corriere della Sera in un articolo molto interessante sulla prossima apertura di Eataly nella Grande Mela. Due considerazioni veloci... Ma Eataly NY non doveva aprire i battenti i primi di agosto? Seconda considerazione un filino più importante: laurearsi in scienza delle comunicazione oggi, in Italia, ha ancora un senso? Che fine fanno i laureati di Pollenzo e di Colorno, e tutti quelli che finiscono il "leggermente" costoso corso di giornalismo enogastronomico made in Gambero Rosso? Ovviamente il tutto ritenendo che un'esperienza, anche facendo mozzarelle a mano, a New York non l'avrei buttata via nemmeno io e che Farinetti mi sembra essere uno dei pochi imprenditori gourmet con una visione ampia e strategica del futuro...
26 agosto 2010
19 agosto 2010
Assaggi di Ferragosto
Si può star lontani dalle birre? No, assolutamente no. Sono qui, quasi nascosto in un paesino del Bellunese ma ad Alleghe c’è un brewpub a pochi passi dagli impianti di risalita che da anni fornisce due birre, una chiara e un’ambrata, normalmente discrete. Normalmente perché due giorni fa ci sono tornato e l’impressione è stata deludente: la chiara quasi imbevibile, con delle evidenti note lattiche, l’ambrata appena un filino meglio, ma caramellosa e quasi stucchevole. Lasciate a metà entrambe con un po’ di rammarico. È invece andata meglio con la Birra di Fiemme (www.birradifiemme.it), recuperata in un supermercato di Agordo dove solitamente trovavo le birre di Arte Birraia. La loro chiara Fleimbier nel bicchiere forniva una bella schiuma bianca e compatta, persistente oltre le più ottimistiche speranze. Profumi gradevoli e delicati, di fiori inizialmente ma, dopo qualche secondo, mi è sembrato di cogliere anche un fruttato leggero, che ricordava un po’ le pere e una punta di ananas. Una birra semplice indubbiamente, ma ben fatta, che si lascia bere e che lascia un retrogusto piacevolmente luppolato. La seconda, la Weizenbier, è più anonima; si presenta bene per aspetto e schiuma, ma i profumi sono come trattenuti e si deve aspettare qualche minuto per accorgersi del fruttato e dei cenni di spezie. Vale l’assaggio certamente, ma la Fleimbier invece merita la bevuta "ripetuta". Il che, nel clima di molleggiato relax che contraddistingue questo agosto, me la fa preferire.
5 agosto 2010
Il libro fantasma
Lo stacco netto dal blog, dagli articoli e da tutta una serie di altre cose è stato dettato da felici motivi personali (ebbene sì, mi sono sposato) ma, visto che siamo ancora in ballo a Milano, ne approfitto per sintetizzare l'avventura di un lavoro annunciato su Facebook e che sembra essersi smarrito per cause indipendenti dalla mia volontà. Ovvero il libro dedicato alla birra che chiudeva la collana I love Vino, realizzata dal Gambero Rosso in collaborazione con Food Editore e in uscita, un lunedì dopo l'altro, in allegato alla Gazzetta dello Sport. Lo scorso 19 luglio, il libro in edicola è risultato pressoché introvabile, solo qualche sparuta copia per chi fin dall'inizio aveva deciso di fare tutta la collana e io stesso ne ho ricevuto due copie direttamente dall'editore. Le cause del fenomeno sembrano imputabili a problemi legati alla distribuzione, all'intasamento delle edicole di allegati di tutti i tipi ma anche, sicuramente, allo scarso successo ottenuto dalla collana stessa. Nascondersi dietro un dito mi pare ipocrita. Visto che non è una tragedia di dimensioni inaffrontabili, magari il volume sarà ripubblicato in futuro per le librerie ed è già oggi acquistabile online su www.store.gazzetta.it), mi rimane la riflessione che forse tutta questa pubblicistica "enogastronomica" possa avere in qualche modo stancato. Troppe trasmissioni a tema, troppi interventi estemporanei di chef ed esperti, troppe riviste di settore, montagne di libri di ricette e chissà cos'altro. Mentre la nostra nicchia vola alto verso le vette estreme della cultura gastroenobirraria, la gente normale continua ad andare in trattoria tenendo d'occhio i prezzi e bevendo meno. Sbagliano loro o magari stiamo sbagliando qualcosa noi?
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