11 aprile 2011

Luci e ombre da "Birritaly"

Vabbé, punto primo: tentare di fare Vinitaly in un solo giorno è divertente, ma faticoso. Farlo poi sotto il solleone veronese può essere definitivo. Comunque, se non altro, ti aiuta a fare delle scelte. Per me, questo è stato il Vinitaly più birrario di sempre, non che ci volesse molto in effetti. Raggiunto subito di buona lena lo spazio Agrifood, un po' effettivamente tagliato fuori dalla kermesse dei padiglioni più imponenti, ho osservato l'angolino riservato ai birrifici artigianali che, come degli arditi, avevano deciso di varcare il sancta sanctorum del vino made in Italy. Non tutti gli stand, almeno al mio passaggio, avevano il birraio presente (ho visto solo Leonardo Di Vincenzo, Sergio Ormea e Agostino Arioli). Peccato, perché se si crede in una fiera delle proporzioni di Vinitaly bisogna esserci di persona, tuttavia Agrifood appariva davvero la panchina (se non la tribuna) dove le riserve delle riserve aspettano il loro turno. La differenza era ancora più evidente facendo un rapido giro al galoppo tra i padiglioni vinicoli.
Scene dal corner birre artigianali a Vinitaly
Lamentele in questo senso mi sono giunte da Grado Plato e da Tenute Collesi. Quest'ultime sistemate, non so il perché, sempre ad Agrifood ma da tutt'altra parte. L'anno scorso, a detta dei produttori marchigiani, una sistemazione più a ridosso di aziende del vino e distillatori aveva di riflesso fatto arrivare un numero superiore di operatori, anche stranieri. Ne deduco quindi che, da sola, la birra artigianale a Vinitaly non attrae ancora così tanto. Ma se qualcuno ha mosso delle critiche altri sembravano più soddisfatti. Leonardo era in gran forma e faceva assaggiare a raffica tutta la sua produzione, con una Sedicigradi in splendide condizioni. Da Le Baladin ho appreso, grazie Islaz, che la Erika ha cambiato nome causa proteste legali di un produttore tedesco che, come nello storico caso della Sangre de Toro di Beba diventata Toro per lettera del legale della spagnola Torres, ha fatto sapere di aver già registrato questo nome nel campo alimentare. La Erika di Le Baladin da oggi dunque si chiama Mielika: etichetta e bottiglia già bella che pronta per il birrificio piemontese che ormai pensa mondiale. Se infatti Teo è in partenza per un giretto in barca a vela in compagnia di Giovanni Soldini, Oscar Farinetti, Matteo Marzotto, Moreno Cedroni e Giorgio Faletti, il suo direttore commerciale Franco "Cico" Fallarini confessa che ormai l'export vale il 20% del fatturato e che i mercati principali sono gli Usa (consolidati), l'Australia e l'emergente Brasile dove la birra artigianale made in Italy piace molto. Almeno quella firmata Baladin visto che prossimamente Teo e
Addio Erika, benvenuta Mielika
Cico andranno in pellegrinaggio da quelle parti (in aereo presumo) per diffondere il verbo della birra made in Piozzo.
Amarcord invece resta in Italia, almeno di persona, perché gli stranieri li fa venire qui. Ha infatti visto la luce la prima collaborazione tra il brewmaster di Brooklyn Brewery, Garrett Oliver, e quello di Amarcord con la Riserva Speciale, etichetta disegnata da Tonino Guerra, che sarà presentata ufficialmente a giugno. In realtà questa birra è già stata assaggiata e votata, ergo credo sia già in giro, ma io ci sono arrivato solo ieri a Verona. E mi è pure piaciuta...
Per il resto, gradevole l'originale Weizentea di Grado Plato, fresca e leggerissima, accompagnata da una battuta al vetriolo da parte di Sergio sulle birre "strane" e buona come sempre la Ego di Tenute Collesi, una blanche corretta, profumata e che si lascia bere a lungo. Un particolare non indifferente, mi accorgo ultimamente, quando con birre artigianali che spuntano come funghi a ogni angolo (ultima in ordine di tempo la Gaita di Pratorosso comprata all'Esselunga), si inciampa sempre più spesso in prodotti anonimi, raffazzonati, magari interessanti di primo acchito ma che muoiono presto nel bicchiere. Un altro segno dei tempi, non c'è dubbio. Non so voi, ma io confesso che non riesco più a stare dietro all'esplosione di birre artigianali, non solo di birrifici, ma proprio di birre intese come etichette o, addirittura, variazioni di ricetta. Da Vinitaly sono tornato a casa con la Open Baladin versione Rolling Stone. Avevo chiesto speranzoso a Islaz se l'unica modifica riguardasse il tappo, invece è proprio una Open diversa. E allora stappiamo...

1 commento:

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