La testata di Ale Street News |
E' un editoriale molto interessante quello di Tony Forder, direttore di Ale Street News, pubblicazione "arraffata" quando ero al Blind Tiger di New York e, credo, considerata tra le riviste birrarie più autorevoli degli States. Nel pezzo intitolato "Time to leave the Nest", Forder prende spunto da due recenti pubblicità televisive: la prima è di una grande catena di locali a stelle e strisce, i Friday's, che reclamizza alcuni piatti preparati con la Harpoon Ipa, l'altra è di Samuel Adams e parla di dry hopping. La prima considerazione che fa Forder è "game over, we won". E quel "we" è da considerarsi come la birra artigianale americana che, con lo sbarco sui media generalisti ha superato lo spartiacque della nicchia e ormai parla alla massa di consumatori senza timori...
La copertina di ASN Giugno - Luglio 2011 |
Sembra tuttavia esserci una specie di preoccupazione tra i produttori: alcuni hanno da sempre sposato le politiche di espansione del proprio prodotto, Samuel Adams è un esempio come lo è Sierra Nevada, altri invece preferiscono restare nelle loro, spesso però già ragguardevoli, dimensioni temendo che la crescita possa portare al rischio omogeneizzazione/globalizzazione che ha già contraddistinto il percorso delle grandi birrerie diventate, con il tempo, vere e proprie multinazionali. Insomma, è il tema caldo del momento che gli americani, con proporzioni enormemente diverse, vivono come noi. Pubblicità televisive a parte, ricordiamo che da noi il tema luppoli è stato affrontato da Birra Poretti in maniera alquanto discutibile, quello della crescita della birra artigianale come quote di mercato, fenomeno che in Usa è ben evidente rischierebbe di mettere a repentaglio la qualità della birra stessa. Peggio sarebbe se il rischio fosse quello di mettere a repentaglio l'immagine di prodotti esclusivi, per pochi eletti intenditori o, peggio ancora, per acquirenti danarosi. Che, per certi aspetti è quello che anche la birra artigianale in Italia. Conforta sapere che in America si stanno ponendo certe domande, ma conforta per il tristanzuolo "mal comune, mezzo gaudio". Forder alla fine si schiera per la crescita e per la diffusione anche perché, ritiene, sia un fenomeno inarrestabile. E io sono tentato a schierarmi con lui, in un'ottica italiana ovviamente. C'è bisogno di crescere e c'è bisogno di allargare le schiere di consumatori, anche a costo di correre dei rischi che cerco di sintetizzare: prodotti non sempre in forma per problematiche legate alla distribuzione e/o alla gestione da parte dei publican, maggiore diffusione di birre "normali" ovvero adatte ai palati dei più. La continua ricerca dello "stupefacente" comporta spesso ottime recensioni da parte della critica, professionale e non, ma spinge costantemente verso il vertice che, per essere tale, è di piccole dimensioni quantitative. Ultraluppolature, barrique, blend possono andare bene per il consumatore evoluto, sicuramente per il beer geek, non credo molto per quella larga fetta di pubblico che vuole bere birra buona, gusto e profumi integri e caratterizzati, e che esiste. Ne sono sicuro. Insomma, tra il mass market e il lavoro di cesello artistico-creativo, c'è spazio per tante ottima birra senza elucubrazioni o masturbazioni mentali. Ed è su questo tipo di birra che i birrai italiani dovrebbero puntare...