31 dicembre 2011

Le mie "rivelazioni" 2011

Il logo di Brewfist
Visto che manca ancora qualche ora all'accensione motori dell'ultima cena (solo in senso temporale), mi diletto a buttare giù due righe al volo ancora in tema birrario. A dire il vero è da qualche giorno che rimugino sul tema: quale giovane birrificio italiano mi ha colpito di più durante l'anno? Giovane in senso di fondazione, certo non di età del birraio. Ho sempre rimandato il post sul tema per il fatto che non posso dire di aver assaggiato di tutto e di più, quindi mi mancano molti dati concreti, in termini di assaggio, di birrifici di cui, comunque, ho sentito parlare piuttosto bene. Ergo, ero tentato di lasciar perdere l'argomento. Ma non ho la pretesa di essere esaustivo e comunque lo spazio commenti è sempre aperto per integrazioni, osservazioni, contestazioni.
Quindi mi butto è dico che sono due i giovani birrifici che mi hanno colpito maggiormente nell'arco del 2011. Un primo posto ex aequo che si spartiscono Brewfist ed Extraomnes. Confesso di aver avuto maggiori opportunità di bere le loro birre rispetto ad altri, quindi il mio è giudizio parziale ma almeno irrobustito da conferme sparse nel corso dell'anno. E, onestamente, preferisco ragionare sul tempo e le ripetizioni che sul "colpo di fulmine" del momento. Ogni volta che ho provato una birra di Brewfist ne ho apprezzato l'estrema bevibilità, da pub insomma, il loro carattere deciso ma non irruento, tanta concretezza e niente voli pindarici per delle birre che, avessi un pub, metterei tranquillamente al bancone. Di Extraomnes, o almeno delle birre di Extraomnes che ho assaggiato, ho invece sempre apprezzato l'eleganza e la pulizia, una notevole fragranza di profumi che me le ha sempre fatte scegliere con fiducia e con relativa soddisfazione.
Il logo di Extraomnes
Dovessi insomma piazzare un euro, anche due via, su un birrificio che farà parlare di sé nel prossimo futuro direi uno di questi due. Non conosco molto, sarebbe meglio dire niente, della loro organizzazione commerciale né dei volumi di produzione. Posso dire che hanno dei bei siti web, cosa non del tutto scontata in campo birrario, con una mia leggera preferenza per quello di Brewfist e una grafica, nelle etichette, che si fa ricordare. Elementi, di questi tempi, importanti quasi quanto la birra...
A questo punto potrei lanciare il secondo sondaggio di Birragenda per vedere quale birrificio prende più voti tra la mia trentina di affezionati lettori. Un bieco trucchetto per vedere di registrare qualche contatto in più su questo blog, ma anche uno sfizio che mi va di togliermi visto che, lurkando in giro, ho notato che sia Brewfist sia Extraomnes hanno registrato, nel corso del 2011, parecchi consensi. Se la giocheranno allora testa a testa, ma con altri due birrifici che ho assaggiato quest'anno con piacere ma con poca perseveranza (ed è solo per questo che li metto un gradino sotto i primi due). Ovvero con Endorama e con Via Priula. Il sondaggio è un gioco, quindi prendetelo per quello che può valere. Si vota fino al 15 gennaio...
Buon Anno a tutti!

30 dicembre 2011

2012: anno spartiacque?

Comunque vada... Un brindisi al 2012!
Gli ultimi giorni del mio 2011 lavorativo sono dedicati alla stesura dei capitoli finali della Grande Pasticceria d'Autore, enciclopedia in venti volumi di cui, fortunatamente, ho gestito solo la parte riguardante  vini e distillati da accompagnare ai dessert. Un lavoraccio che ha avuto ripercussioni, come sempre accade, sul blog lasciato un po' a sonnecchiare in vista di tempi migliori (o peggiori, dipende da come la si vede). Tuttavia un post di fine anno è quantomeno doveroso sebbene, qui e , siano già spuntati degli argomenti simili. Il rischio che si corre quando si arriva dopo è di fare delle brutte copie, ma "ci sono delle battaglie che si devono combattere anche se non si possono vincere" (credo l'abbia detto qualcuno, ma non ricordo chi).
Ergo vorrei partire da una dichiarazione intercettata su Facebook qualche mese fa che raccontava di 408 microbirrifici sul territorio nazionale di cui 41 a produzione sospesa. Ora controllando Microbirrifici ne risultano 421, ma il discorso cambia poco. Il fenomeno "birra artigianale" può dirsi definitivamente esploso in Italia, credo ci sia poco da discutere su questo aspetto, semmai può far riflettere il dato dei 41 birrifici "sospesi" (termine interlocutorio che, a mio avviso, va tradotto in chiusi). Rumors intercettati in giro fanno intendere che il prossimo anno altre chiusure, o sospensioni vedete voi, siano in arrivo, sebbene io mi attenda ancora nuove aperture e qualcuna di sicuro effetto anche a livello mediatico. Che, insomma, ci siano in giro dei primi segnali che la "marea" stia per rallentare? Boh, non ho gli elementi necessari per sparare sentenze, la mia è solo una sensazione.
Certo però mi sembra che il mercato della birra artigianale non stia crescendo al ritmo dei nuovi imprenditori. Mi spiego meglio: in Italia esiste una ristretta fascia di consumatori estremamente consapevole del prodotto birra inteso anche come produzioni di nicchia e di valore, persone in grado di discutere su produzioni estreme in arrivo dagli Stati Uniti, nuovi birrifici del Belgio e "bières de garage" londinesi. Questa è la parte viva e trainante del "movimento", piccola quanto vogliamo ma agguerrita. Esiste poi una fascia poco più ampia di curiosi, neofiti e futuri appassionati mescolata alla rappresentanza dei "consumatori di tendenze" ovvero di quelli che bevono qualunque cosa abbia il sapore della novità, appunto, di tendenza. Questi sono quelli che magari qualche anno fa inghiottivano alcopop, oggi quasi in via di estinzione, e oggi si buttano, a prescindere, sulle ipa, sui luppoli della Nuova Guinea, sulle triple fermentazioni in botti di legno diverso con lieviti di champagne vattelapesca. Affascinati più dall'alone di esclusività per intenditori che dalla qualità vera e propria della birra. Un po' come, quando andavano di moda i vini barricati, quei bevitori che non andavano oltre il primo sorso se il vino non esprimeva tannini con le grip (anche se poi magari non raggiungevano il terzo, di sorsi). Infine, il mare magnum dei consumatori generici, di quelli che la vogliono "bionda, ma non amara", di quelli che dicono no alle "scure, perché sono troppo alcoliche" e via dicendo. Insomma, il mercato è una specie di piramide poco equilibrata, con un vertice piccolo e una base enorme. Su quale fascia di mercato giocano i birrifici artigianali italiani? Sulle prime due, io credo. Bastano per oltre 400 impianti che non solo devono rintuzzare la concorrenza tra loro ma anche quella con le birre "artigianali" d'importazione (che non solo stanno crescendo di numero, ma che sembrano essere anche quelle più performanti, parola terribile scusate, sul mercato)? Forse no, soprattutto in una prospettiva 2012 che si annuncia difficile per tutti, con meno soldi in tasca e poca voglia di spenderli (smartphone di ultima generazione a parte).
Ora, sia chiaro, io non faccio il tifo per le chiusure. Non lo faccio per motivi affettivi, ho iniziato a scrivere di birra perché mi piaceva berla, e non lo faccio per motivi professionali. Sarei scemo altrimenti. Tuttavia un campanello d'allarme va fatto suonare e, in parte, credo stia già suonando nella testa di molti birrai. Dietro le nuove birre, le produzioni one shot, le feste, gli incontri, le collaborazioni tra birrai e chi più ne ha più ne metta si nasconde il golem del mercato. Oggi davvero poco amichevole verso chiunque. Ed è per questo motivo che, ritengo, il 2012 possa essere un anno importante, nel bene e nel male. L'anno in cui sarà chiaro per tutti che la sfida della birra artigianale italiana non sarà più giocata solo sugli ingredienti, sulla tecnica e sulla fantasia del birraio, ma piuttosto sulle risorse da mettere in campo, su una distribuzione mirata, sull'azzeccato mix fusti-bottiglie, sul prezzo e sulla comunicazione...

20 dicembre 2011

Milano si merita due Lambrate

La ressa all'esterno del nuovo Lambrate
Non avere la stoffa. Uno si rende conto di non essere più un ragazzino quando: 1) non capisce come cazzo si vestono i ventenni di oggi 2) quando accusa un leggero stato febbrile il giorno dopo aver fatto l'inaugurazione di un locale. A me sono capitate entrambe le cose, anche se a dire il vero la prima è qualche anno che mi succede. La seconda invece mi è arrivata il giorno dopo l'inaugurazione del "secondo" Lambrate Pub in Milano. Inaugurazione attesa e strenuamente voluta, come partecipazione intendo, a dispetto della frenesia da ultimo regalo di Natale che mi ha portato a tentare l'arrivo in pieno centro in auto (parcheggio della Rinascente raggiunto con la stessa velocità di un pellegrinaggio a piedi nudi a Santiago de Compostela) per poi poter raggiungere, sempre in auto, via Golgi 60 dove la "tribù", definizione kuaskiana, ha aperto il suo secondo "spaccio" di ottima birra made in Milan. Il tam tam mediatico, benché della cosa si sentisse parlare da mesi, era iniziato appena il martedì prima, come mi ha confessato Alessandra (ovvero la persona del Lambrate con cui parlo quando voglio notizie attendibili), tramite Facebook e mail, ma nemmeno loro (e nemmeno io) si aspettavano la ressa da saldi sulla Quinta Avenue che riempiva il posto e il relativo marciapiede dopo pochi minuti dal'orario ufficiale di apertura spine (le 18). Una torma di persone, tutte con il bicchiere in mano, era il biglietto da visita per un ingresso in stile metropolitana di Tokio (a spinta, insomma) poi, ecco il primo sguardo sul bancone con una raffica di spine e relativi nomi di battaglia ormai famosi: Montestella, Domm, Ligera, Ortiga... E dietro il banco lo staff del Lambrate che lavoravano come dei tarantolati. Considerato il tweet letto poi, grazie Leo, dei 70 kegs in otto ore, mi è diventato tutto più chiaro.
Giampaolo al suo meglio
Guadagnato mezzo metro quadrato di spazio e bevuta la prima Montestella, ho cercato di guardarmi intorno. Difficile dare un giudizio su un posto il giorno dell'inaugurazione. Dapprincipio ho notato solo un mare di teste e di braccia tese ad afferrare pinte, una specie di gruppo laocoontico alcolico, però poi impostando la retina in versione "sniper" mi sono accorto dei bei pannelli scuri alle pareti, delle riproduzioni delle nuove etichette delle birre Lambrate (che mi piacciono davvero tanto) e dello spazio che il posto può offrire nelle giornate normali. Certo, per avere l'atmosfera da "covo urbano" del primo Lambrate ci vorrà del tempo ma così, di primo acchito, il nuovo Lambrate non credo deluderà le aspettative. Molto, secondo me, sarà deciso dalla tipologia dello staff che lavorerà in via Golgi, dalla presenza di qualche "vecchio", necessaria per dare la giusta prospettiva a un posto il cui fascino non è semplicemente determinato dalla qualità delle birre. Qualità indiscutibile, come prova anche la Vun, birra "one shot", adesso si dice così, elaborata da Fabio Brocca per la serata.
Insomma, credo che il nuovo Lambrate abbia tutte le carte in regola per diventare un punto fisso d'attrazione per tutti gli appassionati. Se pochi giorni di "comunicazione" hanno creato quella folla, la collocazione strategica (è a due passi da alcuni istituti universitari) e il nome strafamoso, dovrebbero fare il resto. Certo, i nostalgici probabilmente resteranno fedeli a via Adelchi (e anche quelli, come me, che sono più comodi a raggiungere il vecchio Skunky piuttosto del nuovo), ma nuovi potenziali clienti si aggregheranno alla comitiva dei Lambrate's aficionados. Ne guadagnerà la tribù e ne guadagnerà la città di Milano. Che, sì, si merita davvero due Lambrate. Forse forse... anche tre.

15 dicembre 2011

Bruxelles! Così parlò il primo sondaggio...

L'interno del Moeder Lambic
Per qualche giorno ero sicuro che la mia amata Londra avrebbe trionfato ma, con un colpo di reni, alla fine l'ha spuntata Bruxelles come destinazione birraria preferita dei 58 volenterosi che si sono prestati al primo sondaggio di Birragenda. Parliamoci chiaro, 58 votanti non li considero un "popolo in cammino" e il sondaggio vale per quello che vale. Però è anche vero che non contavo su centinaia di voti e il giochino è stato divertente comunque. Se ci sono delle conclusioni da tirare direi che, forse perché non sono Mannheimer (e, mio Dio, non desidero nemmeno diventarlo), più che la città e i suoi locali hanno vinto gli stili e le tipologie birrarie. Insomma, meglio blonde, blanche, tripel e lambic piuttosto che ale, ipa e compagnia. Mi hanno colpito i sette voti per Bamberga, segno che le rauchbier sono un motivo fondante per spararsi il viaggio fin lassù e mi ha colpito ancora di più l'assenza di voti per Monaco di Baviera che, dopotutto, può contare sull'Oktoberfest e su alcune birrerie molto famose. A secco sono rimaste anche le "nuove frontiere" della birra europea ovvero Stoccolma (Akkurat e Oliver Twist) e Copenhagen per le quali invece confidavo in qualche voto. Chissà, magari il fatto di dover fare una scelta fa pendere il piatto della bilancia verso destinazioni più "sicure" rispetto a quelle emergenti certo, ma magari ancora non così gratificanti a tutto tondo... Comunque i commenti sono aperti per contribuire a dare una spiegazione più convincente della mia al risultato... Io intanto provo a elaborare il secondo...

13 dicembre 2011

Il Panegirico dello Sherwood

La ressa davanti alle spine
Panegirico che? Ma come diavolo scrivo? Se uno titola un post in questo modo perlomeno rivela di avere un'età databile con il Carbonio14 o forse che avrebbe preferito vivere in un'altra epoca... Comunque il panegirico non ha nulla a che vedere con il pane, ma identifica un componimento scritto estremamente favorevole a una persona che è l'oggetto del panegirico stesso. Sostanzialmente lo usavano scrittori e poeti latini per incensare l'imperatore di turno in attesa, spesso, di incensare quello successivo. Io non ho questa ambizione ovviamente, non sono un poeta e non conosco nessun imperatore. Più semplicemente provo gusto a usare termini passati di moda e, nel caso specifico, sono certo che il termine, un po' iperbolico lo ammetto, stia bene addosso a un locale e al suo titolare. Che, tanto per chiuderla con questa premessa, rispondono ai nomi dello Sherwood Music Pub di Nicorvo (Pavia) e ad Antonio "Nino" Maiorano. La festa per il 15° anniversario è stata memorabile sotto tanti punti di vista. Innanzitutto per la temperatura, tropicale all'interno e quasi siberiana all'esterno, poi per le birre presenti, un'incredibile rassegna di produzioni italiane e straniere, poi e soprattutto, per la presenza di quasi tutte le facce note della birra artigianale italiana. Non credo di riuscire a citare tutti, e forse non è nemmeno così importante, ma fare due chiacchiere con Nicola Perra del Barley, che ti racconta della sua prossima birra "sardoenologica" (questa volta con il mosto cotto di Malvasia di Bosa), guardare (dal basso in alto) Claudio Cerullo e poi trovare la sua Orange Hops uno dei migliori assaggi della serata, annusare e prendere un microsorso della nuova "creatura" di Teo Musso (ho trovato la Lune letteralmente stupefacente, soprattutto ricordando com'era quando l'avevo provata dalla botte qualche tempo fa), è stato molto bello (aggettivo banale e corrispondente per difetto alla mia sensazione). Così come incontrare, in un'atmosfera di quasi cameratismo, Kuaska, Schigi e il suo incredibile Tripel, Alessio e Anna, Stefano Ricci, Raimondo Cetani, Bruno Carilli, Manuele Colonna, Giampaolo Sangiorgi, Luca Giaccone e tutti gli altri con cui ho scambiato due parole o appena uno sguardo.
Nino al lavoro
Serate come quella dello Sherwood mi riconciliano con lo spirito più autentico della birra artigianale italiana. Certo, avendo superato da qualche tempo l'età dell'adolescenza, sono consapevole che le diversità di opinioni restano, che critiche o flame (credo si dica così in linguaggio web) si scateneranno di nuovo, presto o tardi, tuttavia se metti insieme della gente con una buona birra in mano, tutto sembra più allegro, sereno e... istruttivo. Già, istruttivo, perché bere birre diverse, ascoltare le opinioni di chi ne sa qualcosa e/o confrontarsi con opinioni altrui, ti fa crescere cento volte di più che leggere blog e newsgroup o venire cazziati da qualche pseudo corte suprema. Anni fa, ricordo, dovevo intervistare, io ero alle prime armi nel settore, un enotecaro di Parma di lunghissimo corso. Bicchiere dopo bicchiere l'articolo prendeva forma, ma fu la sua ultima considerazione a colpirmi davvero: "Vuoi davvero conoscere il vino? Allora devi berne spesso...". E con questo non intendeva candidarmi alla presidenza degli Alcolisti Anonimi, solo avvertirmi che la teoria, le parole, avevano valore solo se supportate da una conoscenza concreta, pratica ed effettiva dell'argomento. Una conoscenza, ovviamente, sviluppata con cervello e non solo con il palato e lo stomaco.
Ma, tornando allo Sherwood, ho ancora due immagini vividamente stampate nella mente. La prima è la microconversazione avuta con Giorgione del Mastro Titta di Roma. Non lo consideravo una semplice leggenda solo perché l'avevo già visto dal vivo a Rimini in qualche Pianeta Birra, ma incontrarlo è stato quanto meno scombussolante. E poi sentire Nino quasi commosso dall'affetto dimostratogli da tutti i presenti con la loro presenza (questo è un passaggio stilisticamente fantastico...). Una persona come lui è più preziosa per la birra artigianale italiana di quanto potrebbe sembrare. E così, dopo un giorno di decantazione, ecco due idee "brillanti" post Sherwood che mi sono venute in testa. La prima è quella di creare la nazionale di rugby della birra artigianale italiana. Con Giorgione, Claudio Cerullo e Riccardino Franzosi abbiamo già un bel pacchetto di mischia. Poi diamo la palla a Giovanni Campari, che mi sembra quello più in forma, e speriamo bene. Tutti gli altri a dare man forte come possono. La seconda idea è invece quella di convocare una sorta di "Stati Generali" della birra artigianale italiana, una volta l'anno, allo Sherwood (c'è pure il parcheggio!). Si beve, e quello mi pare scontato, si mangia il risotto perfetto che ho forchettato prima di andare via (complimenti allo chef) e si discute in commissioni suddivise per argomento (produzione, distribuzione, comunicazione, affari economici...). Credo che una due giorni così potrebbe valere più di qualunque Rimini. E allora... lunga vita allo Sherwood e a Nino!

8 dicembre 2011

Io, il Beppe, le birre...

RE-VO-LU-TION!
Andare a trovare Beppe Vento, artefice del Birrificio Bi-Du di Olgiate Comasco, non è mai una scelta razionale. Arrivi come giornalista che ha deciso di scrivere di lui, della sua attività e delle sue birre, e dopo soli cinque minuti sei un semplice bevitore che si fa due chiacchiere tra una Rodersch e una Artigianale. Semplice, certo, ma felice. L'intervista che pensavo di realizzare, con tanto di videocamera, è andata in vacca con una velocità quasi stupefacente. Vabbé, vorrà dire che l'avvento di BirragendaTV è rimandato a data da destinarsi... Tuttavia, sebbene non abbia scritto una riga di appunti della fumosa conversazione avuta con Beppe, ho imparato molte cose. O meglio, molte me ne sono ricordate. Innanzitutto la semplicità che c'è nel bere birra, così, senza elucubrazioni e senza voler a tutti i costi indagare sul perché e sul percome. Le birre buone le bevi perché hai sete, le ribevi perché non ti hanno stancato e la soddisfazione che ti hanno regalato è una soddisfazione "non cerebrale", ma di pancia. I luppoli? Si, vabbé. Le scelte distributive? Ok, d'accordo. L'immagine del Bi-Du? Ma quando mai... Mi bevo la prima Rodersch e dimentico tutto. Va giù che è una meraviglia. E' buona, è dannatamente buona. Come l'ultima volta che l'ho bevuta. Passiamo all'Artigianale, il carattere aumenta, l'amaro ti resta in bocca e ti fa venir voglia di bere un altro sorso. E' la birra per fare tutta la sera e riesco solo a pensare che non ce ne sono molte in giro così, ultimamente. Ho provato birre eccezionali, di primo acchito migliori delle sue, ma dopo un po' le lascio lì e me ne dimentico pure il nome. Ahimé, la birra successiva è ancora meglio. La Superanale, nome che dice quanto Beppe pensi alla comunicazione quando fa una birra, è perfetta. Una cascatella di profumi intriganti e agrumati che ti strappa il sorriso. Poi chiudo con la Xtrem che mi taglia le gambe come se avessi fatto qualche curva in neve fresca. Ho la responsabilità di guidare fino a casa, con il cane che mi scruta un po' perplesso dal posto del passeggero, e quindi acchiappo qualche bottiglia e filo via.
Dietro la pinta... il Beppe
Sì, non è mai una scelta razionale andare a trovare Beppe Vento, ma ti permette di ricordare perché hai iniziato a scrivere di birra, perché hai continuato a bere dopo la prima birra che ti è piaciuta davvero e quanto affascinante sia questo mondo quando ne dimentichi gli orpelli e le sovrastrutture, gli incasinamenti e le, a volte grazie a Dio non sempre, convulse discussioni. Certo, quando mi troverò a scrivere del Bi-Du per la carta stampata, scriverò in modo più ortodosso perché un birraio e la sua attività meritano di essere raccontati ai lettori non come una sorta di diario-confessione personale, ma per quanto valgono, per la qualità del loro lavoro e per  la reperibilità delle bottiglie o dei fusti. Ma questo è il mio dannato blog e ci scrivo le mie sensazioni, se poi faccio anche informazione è un di più, non un webmagazine o chissà cos'altro. Così, quando mi capita di bere una birra con Beppe Vento, raro caso di "soggetto alpha" birrario, è per me come tuffarsi nella memoria delle lunghe serate passate al bancone di un pub, a chiacchierare con gente di cui non ricordo il nome, e a ordinare il secondo giro quando ancora restava un sorso nel bicchiere. La quintessenza della vera passione per la birra.