Rulli di tamburi, e nemmeno tanto in lontananza, nella giungla della birra artigianale italiana. Due profeti del movimento hanno varcato la soglia degli inferi e non lo hanno fatto per convertire ma, per essere convertiti. L'annuncio, riportato e commentato con la consueta serenità dal sempre tempestivo Andrea Turco di Cronache di Birra, poi più o meno contemporaneamente, credo, da Fermento Birra, da Mondobirra, etc... sembra aver gettato lo scompiglio tra gli appassionati. In realtà nessuno aveva fatto una piega, mi sembra, quando già da inizio anno alcuni birrai avevano aderito ad Assobirra, ma che l'abbiano fatto due gesucristi come Teo Musso e Leonardo Di Vincenzo ha aperto le cateratte del cielo. Da qualche giorno ci sto pensando anche io. Chissà poi perché, visto che quando ne avevo scritto su Barbusiness di febbraio la cosa non mi aveva turbato più di tanto. E mica perché allora a entrare nella confindustria, oddio che volgarità, erano stati l'Atlas Coelestis e compagnia, ma solo perché mi sembrava un abbastanza logico approdo per chi, dalla dimensione modello guerriglia di Sendero Luminoso era arrivato a quella di giovane imprenditore desideroso, anche, di guadagnare. Quello che non capisco è lo stracciarsi le vesti, il minacciare ritorsioni, il "come li abbiamo fatti, ora li distruggiamo" e via di questo passo... Mi suona tanto da amanti traditi, da "meno siamo e meglio stiamo", come quelli che ti dicono che una volta sì che la Pilser Urquell era buona, ma adesso... E io mi chiedo sempre: una volta quando? Dieci anni fa, cinquant'anni fa, nel 1860? E allora quando i treni arrivavano puntuali? E quando c'erano le mezze stagioni? Agli inizi probabilmente Teo faceva le birre da solo, una a una e pure le etichettava personalmente o quasi. Ma da quanti anni le birre, chiamiamole standard, non le fa più Teo? Fanno schifo adesso? Boh, sicuramente ci sarà qualcuno che dirà: eh, non sono più quelle di una volta... A me piacciono ancora. Così come piacciono ancora quelle di Leonardo. E' questa costante divisione tra nero e bianco, tra il diavolo e l'acqua santa, che non comprendo. La visione manichea delle cose. Le guide non sono la Bibbia o un libro da ardere a seconda di chi le fa. Sono consigli che si possono seguire o meno, giudicare sempre. I guru, i sacerdoti, gli esperti non sono vati illuminati la cui parola è legge. Ma solo persone che ci fanno conoscere cose che ancora non conosciamo, ma sulle quali il giudizio spetta solo a noi. Singoli individui. Una birra è buona se per noi è buona. Non se lo dice qualcuno o se la fa un artigiano. L'educazione al gusto non è indottrinamento. Perché non siamo polli in batteria. E allora il tanto vituperato ingresso di due ottimi produttori artigianali in Assobirra non è niente di così drammatico. La gran parte della gente continuerà a bere ciò che vuole, grazie a Dio. I megaproduttori si scanneranno sulle quote, altrettanto mega, di mercato, i piccoli lavoreranno sulla nicchia e se cresceranno ancora un po' dovranno allargare il loro mercato perché sui ristoranti stellati e sulle enoteche di lusso ci campi finché fai davvero poco. Ma anche in quel caso si dovranno distinguere perché prima di arrivare ai volumi, e ai fatturati, delle megaziende ci vorranno delle generazioni. Insomma, mi sembra si stia facendo un gran casino sul nulla, e soprattutto che lo si stia facendo su basi ideologiche ammantate della parola "etica". Ma crescere, fare profitto, è assolutamente etico, quando non sfoci nel reato, per un imprenditore. E questo sono i birrai. Ne più nè meno. La loro birra, dopo essersi asserviti al Golem confindustriale, scadrà al livello di un'acquetta bicarbonata? Bene, ci sarà chi la berrà perché intanto il marchio è diventato trendy e nel frattempo nasceranno nuovi birrai ancora più artigianali, la nuova generazione di duri e puri, pronti a essere scoperti dai guru e dalle guide e pronti, dopodomani, a entrare in Assobirra. E il ciclo riprenderà immutabile. Questo è il mercato, questa è la natura umana. Ovviamente con, sullo sfondo, i cori di dolore dei "ti ricordi tu, tanti anni fa, quanto era buona quella birra....".
14 commenti:
Grazie per gli aggettivi che hai speso per me! Tengo a precisare che la notizia su Cronache è uscita solo successivamente agli articoli su Mondobirra e Fermento Birra. Complimenti come sempre Maurizio!
Ciao Andrea, hai fatto bene a precisare perché quel che è giusto è giusto... Avevo postato a tarda notte visto che non riuscivo a metabolizzare la polemica, e quindi non ho controllato il tempo di uscita dela notizia...
Complimenti a te!
Hai ragione, tutto passa e non esiste il bianco ed il nero.
Resta immutabile solo il grigio democristiano.
Già meglio il vangelo del "Chi non è con me, è contro di me" dei dannati democristiani!
Tu dici che "crescere, fare profitto è assolutamente etico per un imprenditore".
Questo concetto è stato sorpassato persino dagli stessi industriali.
L'etica del profitto non esiste più.
Un'impresa sana non deve creare solo profitto, ma ricchezza.
Economica certo, ma anche di valori , storia imprenditoriale e futuro sostenibile.
Non basta per questo scrivere sull'etichetta "ingredienti provenienti da filiera moralmente controllata"( come poi...chi può sapere se il coltivatore di orzo fa le corna alla moglie? ;-) )
La morale, sta anche nel non rinnegare decenni di parole e convinzioni, sta anche nel non mettersi a fianco di chi vuole appiattire il gusto dei consumatori per poter offrire un prodotto sempre più omologato, sta anche nel non fare comunella con chi mette in commercio l'Affligem Blond con l'etichetta della NUOVA Moretti Grand Cru uccellando il cliente...
Schigi, io credo che spesso si vernici di etica la ricerca del profitto e che questo sia più ipocrita. Tante belle parole di "buono, pulito e giusto" che poi, tradotte in pratica, rivelano alcune crepe. Che so, a Eataly dove al fianco di birre artigianali si vendevano etichette industriali, al Salone del Gusto, dve vicino a produttori microscopici e in via di estinzione ci stavano grandi aziende alimentari. E, personalmente credo che queste cose abbiano un senso se è il prezzo da pagare per garantire la sopravvivenza i microscopici. E in merito alla frecciata finale, ritengo sia molto più morale da parte mia dchiarare pubblicamente quello che faccio: credo nessuno mi possa dire che non ho scritto di birra artigianale e che ancora ne scrivo o che non ci metta del mio, magari niente di che, per promuoverla come e dove posso. Poi faccio anche dell'altro e lo rendo noto. Ti dirò di più, dal basso delle mie capacità "degustatorie", a volte trovo molto più buone certe birre industriali di alcune artigianali. Ma sarà una questione di gusti.
Infine 1: sei davvero davvero sicuro che la Grand Cru è una Affligem Blond rietichettata?
Infine 2: grazie del tuo intervento. Non siamo d'accordo, però mi è piaciuto più del primo
Ti piacciono molto di più alcune industriali ?
Ti ricordo Veronelli:"Il peggior vino del contadino è più buono del migliore vino industriale"
Oltre alle gambe c'é di più.
Gran bella frase da "campagna elettorale" visto che sei l'utilizzatore finale. Il risvolto etico è molo bello, anche un po' commovente. Ma visto che stiamo parlando di qualità, resto sulla mia posizione... Grazie.
Argomento mooolto scottante, voglio comunque lasciare il mio personale commento.
1) Questi diciamo "guru" della birra che entrano nell'associazione industriali, beh vediamo...potrebbero essere assorbiti nel girone dantesco dei dannati o magari portare un contributo di innovazione per il tutto il movimento, una "renaissance" all'italiana.
2)Ciò che mi ha affascinato del mondo birrario è stata la libertà di pensiero. Libertà di poter dire se una birra è buona o meno senza vedersi scagliati contro anatemi dai custodi della legge assoluta(anche se man mano andrà a finire..)Se quindi la qualità scade lo stesso faranno le vendite, anche se il brand tira..
3)Industriale è un pò vago, già l'ingresso di questi nomi della birra porterà ad una ridefinizione dell'ideale qualitativo (Baladin, birra industriale..!?) Comunque ho bevuto birre artigianali molto scarse, anche infette e Veronelli parla di vino..
4) Ho visto al supermarket gente acquistare la Moretti Gran Crù, ma non l'Affligem, sarà una bufala ma magari serve per avvicinare qualcuno al mondo delle birre più complesse.
Anonimo, sul punto 2 non sai si cosa parli, è esattamente il contrario.
Vai in un birrificio a dire che fanno una birra che non ti piace e finisci nel fermentatore.
Punto 4, mai vista la Moretti Grand Cru al super, dove?
Ho sbagliato a mettere il nome ed è uscito anonimo...
Beh, non ho mai avuto modo di dire ad un birraio che la sua birra non è buona e non so se avrei il coraggio di dirglierlo in faccia. Quello a cui mi riferisco sono certi personaggi, in teoria super partes, che in pubbliche assemblee e degustazioni, distruggono o consacrano prodotti, senza che nessuno si possa permettere di sollevare il minimo dubbio vista la fama dell'oratore. Questo l'ho visto alcune volte nel mondo del vino. Nella birra mi sembra ci sia più dialogo e si possa esprimere più liberamente il proprio parere, sempre nel rispetto di tutti (anche se qualcosa ogni tanto accade..)
La Gran Cru era all'Iper I di Savignano sul Rubicone-Rimini, a fianco di alcune Grado Plato, White Dog e bottiglie 0,33 di Birra Artigianale Italiana (BIA) molto simili a quelle del Birrificio del Ducato
Credo che Assobirra abbia fatto una grande mossa, portandosi in casa il bravo Leonardo e Teo il fondatore. Adesso potranno creare il giusto ponte comunicazionale tra birra industriale e birra artigianale. Le birre di Teo e Leo rimarranno ottime, le amano troppo per dedicare loro minor cura. Credo anche che per Teo sia una grande soddisfazione entrare come consigliere in un sì importante consesso. Al di là di tante parole che si potrebbero dire o scrivere, per uno che è partito come lui, che ha pensato alla sua birra ed ai suoi progetti ogni minuto della sua esistenza senza sosta alcuna, è un bel traguardo. Forse perché non abbastanza lungimirante, quello che non vedo è il vantaggio per la birra artigianale e per il movimento. In ogni caso invece di scagliare strali (chi può) o pietre (gli altri), di stracciarsi le vesti etc., rimbocchiamoci le maniche e diamo consenso, fiducia, magari idee e commenti a Simone Monetti e gli altri di Unionbirrai, per portare la Birra Artigianale ed i birrai ad un prodotto sempre migliore, sempre più conosciuto e possibilmente più a portata di tutte le tasche
una cosa però mi fa "imbufalire", ovvero che si dipingano i birrai come coloro che s'incavolano se qualcuno critica le loro birre. Ci saranno anche stati degli episodi, ma non facciamo di un erba un fascio!
Io ho acquisito negli anni un certo palato, ma non sono a livello di icone della degustazione nazionale come Kuaska, Schigi, Flavio e Simone, per citarne solo alcuni. Quindi se qualcuno che arriva più in là di me scopre un profumo particolare o un difetto o offre un consiglio costruttivo per migliorare una birra, io come molti altri, apprezziamo e cominciamo a pensare come mettere in pratica il consiglio. Un esempio. A Milano abbiamo presentato la Crocus allo Zafferano. E' piaciuta, ma abbiamo anche avuto tantissimi consigli da esperti degustatori, birrai presenti, ragazzi a cui piace la birra e questo ci ha permesso di apportare alcune modifiche alla ricetta, per migliorarla ulteriormente. E' questo uno dei motivi principali di partecipazione alle varie fiere, il contatto con gli utilizzatori finali. Quindi massima disponibilità alla critica costruttiva ed al miglioramento della birra. Quello che non amo è invece che qualche ragazzino che ha assaggiato si e no 10 birre, venga a dirmi che la mia birra non rispetta lo stile o è infetta o altro. Può dirmi che sente qualcosa di particolare ed allora insieme possiamo vedere se si tratta di un aroma specifico o di un problema di lavorazione o di conservazione, ma non pùò certo venire a guardarmi dall'alto in basso perchè non sa valutare la mia birra! L'autorevolezza non si conquista assaggiando 10 o 50 birre. Io sono sempre disponibile a discutere sulle birre che facciamo, ogni commento o indicazione può essere importante, ma si deve anche sapere che nella birra così come nel vino e negli whisky, ci sono tanti improvvisati che criticano per darsi solo importanza. Ben vengano dunque le critiche autorevoli e costruttive. Per me è una priorità assoluta
Caro Claudio, uno dei rischi che corre la birra artigianale in Italia è la "talebanizzazione" o una certa ebbrezza, ma quella da profondità che, in genere, è letale. Rischi simili si sono avuti nel vino e, ci siamo vicini, nel mondo della ristorazione. Quando si arriva al punto di saturazione poi diventa difficile metterci una pezza. Il fatto è che tra protagonismi insensati, mancanza di autoironia, divisioni manichee tra bene e male, "sparate" populiste e strappa-applausi, la strada potrebbe anche sembrare questa. Io non dispero del tutto. Tu, secondo me, mantieni il sorriso sulle labbra, ascolta chi ritieni sia giusto ascoltare e ridi internamente (stile zen tanto per capirci) del ragazzino che mitraglia le tue birre. E pensa che in Africa è molto peggio: perché i ragazzini imberbi mitragliano sul serio...
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