23 febbraio 2011

Fenomenologia Del Ducato

Terzo e, presumo, ultimo post a margine di Selezione Birra e tutto interamente dedicato al Birrificio del Ducato. D'altro canto credo che i ragazzi di Roncole Verdi se lo siano ampiamente meritato. Non ho mai visto infatti in ambito artigianale una progressione così micidiale di grandi risultati, in Italia ma non solo. Provo brevemente a ripercorrerli perché a volte i numeri dicono molto. Allora, Giovanni Campari, Emanuele Aimi e Manuel Piccoli inaugurano le attività nel 2007 e già a novembre dello stesso anno "sparano" il primo colpo con la AFO che si aggiudica la medaglia d'oro nella sua categoria al Birra dell'Anno, l'anno successivo le medaglie diventano tre, sebbene d'argento, sempre a Birra dell'Anno. I motori sono accesi perchè a novembre la Verdi Imperial Stout guadagna la medaglia d'oro allo European Beer Star. E' la prima affermazione all'estero per il Birrificio del Ducato. Il 2009 è invece l'anno della New Morning: argento allo Stockolm Beer Festival e ingresso nella Top 25 Beers su due riviste statunitensi, Draft Magazine e la prestigiosa Wine Enthusiast. Il 2010 "l'esplosione": il Ducato diventa per la prima volta Birrificio dell'Anno con un oro (Black Jack Verdi Imperial Stout), due argenti (Verdi Imperial Stout e Sally Brown Baracco) e un bronzo (Sally Brown); la Viaemilia guadagna l'argento alla prestigiosa World Beer Cup e al più "giovane" International Beer Challenge gli ori sono due (Black Jack VIS e Sally Brown Baracco) più due argenti e un bronzo. L'annus mirabilis si conclude ancora una volta con lo European Beer Star e la medaglia d'oro per la Viaemilia, accompagnata sempre da due argenti e un bronzo a testimonianza che Campari è bravo un po' in tutte le categorie. E infine la cronaca di oggi: il secondo titolo consecutivo di Birrificio dell'Anno ma questo giro glorificato da una vittoria schiacciante (cinque medaglie d'oro in diverse categorie non credo si fossero mai viste prima).


Vincenti: Emanuele Aimi, Manuel Piccoli e Giovanni Campari del Birrificio del Ducato
L'elenco termina qui, almeno per ora, e sperando di non aver dimenticato nulla nella cronistoria. Ora le riflessioni: sul valore birrario complessivo di Giovanni Campari, Matteo Milan e il team non ci sono dubbi di sorta. Un conto è l'exploit, un conto sono le conferme ripetute, da parte di giurie diverse, tra competitori differenti. Appare chiaro che quelli del Ducato hanno, allo stato attuale delle cose, una marcia in più. Appare chiaro anche che gli piace competere prendendosi i rischi che questo comporta e il risultato sono immagine brillante, report giornalistici (sono contento di aver fatto per tempo un pezzo per il Gambero Rosso in uscita a marzo), vendite. Ecco, le vendite. Se i concorsi servono anche sotto questo punto di vista, e sembra proprio che lo siano, è logico aspettarsi una crescita di attenzione da parte di tutti i birrifici italiani verso questo tipo di competizioni. Il Ducato del resto non è l'unico ad aver tentato la strada dei grandi concorsi internazionali (e, a onor del vero, nemmeno l'unico a essersi tolto delle belle soddisfazioni), ma la mia idea è che gli italiani si daranno ancora più da fare sotto questo punto di vista. Sono anni che i venditori di vino girano i punti vendita con i risultati di guide e concorsi sotto braccio come prova del valore dei loro prodotti. Certo, niente può sostituire l'assaggio in diretta ma, nel mondo del vino, questi elementi hanno indiscutibilmente avuto il loro peso. E sembra proprio che ne avranno in misura sempre maggiore anche nel campo della birra...

22 febbraio 2011

Selezione Birra - Per chi suona la campana

Sono ormai alcuni anni che racconto la Fiera di Rimini come il triste declino dei "bei tempi che furono". L'anno scorso mi ero permesso di suggerire il cambio di denominazione, passando da un empireo Pianeta Birra a un più realistico "Satellite Birra". Mi hanno quasi preso in parola, ma la cosa non mi riempie certo di soddisfazione. In parte, lo ammetto, l'amarezza personale era dettata da un ridimensionamento lavorativo e quindi, considerato che sono un freelance, retributivo, ma il dato di fatto era sotto gli occhi di tutti. Scomparsi i grandi gruppi, scomparse le aziende di medie dimensioni. Se nel primo caso la spiegazione più corretta va ricercata nei cambiamenti di mercato, le acquisizioni da parte dei big di distributori di bevande avevano fatto venir meno la necessità di uan fiera B2B, nel secondo caso le ragioni vanno probabilmente cercate nella staticità del mercato italiano (la crescita dei consumi è praticamente ferma) e nei costi elevati dell'Ente Fiera. Certo gli artigiani ci sono, crescono di numero e ci si ritrova tutti quanti appassionatamente a scoprire nuovi birrifici e ad assaggiare nuove birre. Ma, me lo chiedo tutte le volte, quanti contatti utili si fanno in fiera? Quante strette di mano e brindisi hanno un futuro? Probabilmente più di quanti sospetto perchè i bravi birrai non credo si facciano la strada per Rimini solo per una bella bicchierata. Almeno è questo che mi auguro...


La foto è del 2010

Certo che vedere Selezione Birra ridotta a un gramo padiglione con presenza inclusa di distillatori, Bertagnolli, venditori di energy drink, Playboy mi sembra, con uno stand Interbrau ridotto quasi al lumicino (chi si ricorda quello dello scorso anno capirà) e stand vari di editori, fornitori di materie prime e produttori di impianti, mi lascia qualche preoccupazione. Restano i birrai artigiani forti di un loro indubbio successo e di una forte scontistica per l'affitto dello stand. Alcune dichiarazioni degli ultimi "big" sono tuttavia lapidarie: Rimini è ormai considerata una fiera regionale. Quando una volta era la fiera nazionale per eccellenza, una delle più importanti, concretamente importanti, d'Europa. Era normale incontrare amministratori delegati di grandi aziende tedesche, export manager di birrerie spagnole, danesi, britanniche. Oggi manca tutto questo. Restano, è vero, i produttori artigianali con tutto il loro carico di novità e di entusiasmo e il loro desiderio di rosicchiare quote di mercato alle grandi aziende. Probabile che ci possano riuscire, il fatto è però che nessuno, né gli artigiani né i big, riesca a far crescere i consumi complessivi. La trovo una cosa preoccupante perchè potrebbe, ma uso il condizionale, voler dire che neppure gli artigiani riescono a conquistare nuovi consumatori, solo a convertirne dei vecchi. Io non lo so con certezza per chi sta suonando la campana. Solo che ne sento suonare i rintocchi...

21 febbraio 2011

Birra dell'Anno 2011 - Prime note sparse e personali

Credo di aver seguito, bene o male, tutte le edizioni di Birra dell'Anno, il concorso dedicato alla birra artigianale italiana organizzato da Unionbirrai. Questa volta però l'ho vissuto dall'interno, in giuria, attimo per attimo. Visto che i risultati sono ormai apparsi un po' dappertutto credo sia inutile riportarli anche qui, piuttosto provo a fare qualche riflessione personale sulla manifestazione. In primis dirò che ci sono poche esperienze più formative nella vita di un appassionato birrofilo dell'assaggio ripetuto e ravvicinato di tante birre. Che si faccia o meno parte di una giuria. Certo avere come vicini di tavolo personaggi come Carl Kins o poter dialogare con Derek Walsh aiuta e migliora l'esperienza, ma poter mettere a confronto decine di birre assimilabili per categoria ti permette di affinare le tue capacità e sviluppare un certo discernimento. Il concorso in sé è stato ben organizzato, l'appoggio dei ragazzi di non mi ricordo quale scuola professionale ha


La giuria di Birra dell'Anno 2011
velocizzato i tempi, purtroppo il forfait improvviso e dell'ultimo minuto di qualche giudice ha un po' complicato le cose ma credo che Unionbirrai stia prendendo in considerazione il problema al fine di risolverlo. Sono convinto che ci sia una soglia umana di percezione oltre la quale si rischia di intasare mucose e palato. Ma, detto questo, non ho rilevato delle criticità organizzative a parte la quantità industriale di grissini torinesi che ho sgranocchiato per "resettare" la bocca (adesso per un paio di mesi non li voglio più vedere nemmeno da lontano). Complessivamente, in base alle birre che ho assaggiato, mi sento di affermare che lo stato di salute della birra artigianale italiana è molto buono, ma non ancora ottimo. Poche birre chiaramente con dei difetti, piuttosto se una critica si può fare, molte birre un po' anonime, deboli in quella caratterizzazione che mi dovrebbe far dire "preferisco un'artigianale". Altre le ho trovate che si "stancavano" presto nel bicchiere, magari dopo un primo assaggio gradevole. Certo, credo sia importante anche sottolineare che un concorso non va preso come "il giudizio di dio" o una sentenza inappellabile, piuttosto come un'occasione da sfruttare. Ci vuole un pizzico di fortuna, e questo magari spiega alcune affermazioni inaspettate, ma si può rischiare soprattutto per chi dà il suo meglio nelle versioni alla spina. I risultati sono stati indubbiamente sorprendenti. Credo anche per tutti i giurati che, ovviamente, hanno assaggiato alla cieca. Del Birrificio del Ducato ci si poteva anche aspettare grandi cose, visto come gli era andata nel 2010 tra World Beer Cup, International Beer Challenge, European Beer Star e, ancora, Birra dell'Anno, ma


Giuria al lavoro
onestamente che Campari & Co. fossero un rullo compressore di questa portata non me lo potevo immaginare. Complimenti a loro senza dubbio, credo sia la prima volta nella pur non lunga storia della manifestazione che un birrificio si ripeta per due volte consecutive. Di certo, mi pare chiaro che quelli del Ducato abbiano capito prima e soprattutto meglio degli altri il valore dei concorsi in ottica di ritorno, d'immagine ma anche commerciale, per la loro attività. Dispiace per le assenze (Barley, Birrificio San Paolo, Loverbeer, ...) magari ci ripenseranno quando apparirà chiaro a cosa serve un concorso come Birra dell'Anno. Un concorso che andrebbe più tarato ancora sulla semplice verione "gara". Ovvero trovo francamente ormai un po' superata la questione dei "feedback" ossia le note compilate dai giudici per fornire delle osservazioni utili (?) ai birrai. In primo luogo i feedback portano via tempo prezioso e poi la fase pionieristica è ampiamente superata. I birrai devono fare i birrai, i giudici devono fare i giudici e i consumatori, consapevoli o meno, devono fare i consumatori. In verità, il concorso è un momento, certo importante e certo con delle conseguenze, ma il valore del birraio si costruisce nel tempo. Anno dopo anno, attraverso la critica positiva e il riscontro dei beerlovers. Anche dopo una Birra dell'Anno così speciale per me, non me lo voglio certo dimenticare...

16 febbraio 2011

BQ, atto terzo sui Navigli

Tutto si potrà dire di Paolo Polli tranne il fatto che non abbia idee e il coraggio di realizzarle. Quando l’ho conosciuto, lo ammetto, non avevo la più pallida idea di chi fosse se non che quella di un tizio che stava per aprire un beershop dalle parti di via Piero della Francesca. Bene, mi ero detto, andiamo a vedere questa nuova vetrina della birra in città… Da quella volta, l’ineffabile Paolo è diventato rapidamente un protagonista di questo mondo un po’ agitato ma, alla fine dei conti, divertente. La nascita dell’associazione ADB, la fiera della birra artigianale, il campionato per birre e per degustatori di birra, la rivista BQ. Una serie di cose che prima erano annunciate e poi realizzate. Onestamente, lo confesso ma Paolo lo sa, trovavo alcune idee di Paolo un po’ strampalate, forse azzardate. Ma più volte mi sono dovuto ricredere. Certo la rivista è naufragata, una ipotetica guida alle birre artigianali non è mai decollata, ma nel frattempo ci sono stati i corsi, alcune delegazioni regionali, il birrificio Baüscia, la collaborazione con Franco Trentalance e, infine, i locali ad alta vocazione birraria: i BQ, appunto. Mi piace ricordare anche lo stile con il quale era stato accolto nella piccola ma agguerrita comunità di appassionati. Una Royal Rumble, più o meno, ovvero una fantastica rissa tipica del wrestling americano. Polli, novello Hulk Hogan, a volte provocava, a volte si difendeva, a volte veniva mandato a quel paese per sempre. Sembrava avesse spaccato il movimento in due come una mela. C’era chi indubbiamente lo amava e chi, altrettanto indubbiamente, lo odiava. Ora mi sembra che il clima sia diverso e ogni tanto mi chiedo il perché. È più simpatico Paolo o sono più simpatici i suoi tre locali e le fiere itineranti? Chissà…
Il terzo BQ di Milano
All’inaugurazione del terzo BQ c’erano comunque alcuni volti noti e forse parecchie “firme digitali”. Sicuramente un discreto numero di persone che fanno ben sperare per il futuro di questa terza “ambasciata” del crescente “impero di Polli”. Tinteggiature dell’ultimo minuto a parte, il locale è spartano (a dir poco) ma le spine sono molte e, per quello che ci interessa, è questa la cosa più importante. Dieci spine normali e dieci pompe con una rappresentanza variegata del mondo artigianale italiano. Io ricordo di aver bevuto un po’ di tutto: la Burocracy di Brewfist (complimenti, bel debutto), la Zona Cesarini di Toccalmatto, la Confine di Bidu, la Bitterland di Doppio Malto, La30 del Baüscia e qualche altra cosa che però mi è sfuggita. Nel complesso molta soddisfazione, molte chiacchiere informali e l’atmosfera scanzonata quando si sta insieme con una birra in mano. Eh sì, sono davvero lontani i tempi in cui Unionbirrai e Polli si guardavano negli occhi con le dita sul grilletto. Ora sembra quasi che l’amore trionfi. Sarà merito de La30?

15 febbraio 2011

Rinascente Fast Food

La serata ci era sembrata invitante, con quel fascino esotico della meta sognata e, non ancora, raggiunta. Così ieri sera eccoci all'ultimo piano della Rinascente, vista guglie del Duomo, seduti al tavolo del ristorante Maio. Mauritius Food Festival era scritto in cima al menu che prevedeva: Fondente di cuore di palma e carpaccio di pesce spada affumicato, Composta di pomodori e olio al coriandolo; Ravioli di gamberi e melanzane al curcuma, con salsa di "pommes d'amour" al coriandolo; Spezzato di manzo alla creola, bietole saltate e riso profumato al garofano; Tortino al cioccolato fondente, sorbetto al frutto della passione e peperoncino. Tutto buono e interessante con menzione di merito per il Fondente di cuore di palma e lieve perplessità invece per il dolce dove il sorbetto era gradevolmente rinfrescante fino a quando non ti capitava sotto i denti un pezzo di peperoncino selvaggiamente piccante. A parte quello, l'aspetto invece inquietante è stato un servizio a tratti compulsivo e angosciante con camerieri rapidi come dei ninja nel farti sparire il piatto da davanti non appena deposta la forchetta e, nei momenti di chiacchiera, capaci di aggirarsi nei dintorni dando al tavolo lo stesso sguardo del leopardo che ha individuato una gazzella zoppa...

Il Fondente di cuore di palma

Vabbé, dall'atmosfera del Maio mi sarei aspettato un andamento più tranquillo. Comunque il risultato è stato che abbiamo levato le tende abbastanza in fretta, ma non abbastanza per evitare la chiusura dei piani commerciali. Ergo, invece di prendere le scale mobili abbiamo deviato (in realtà ci hanno fatto deviare) verso l'ascensore che ti porta direttamente all'uscita. Ho fatto in tempo comunque a dare un rapido sguardo allo scaffale delle birre, sul quale anni fa c'era stata una lunga discussione in rete, e l'occhio mi è caduto su questa

La preziosa Zoogami
bottiglia da 0,75 venduta alla modica cifra di 25 euro. Si tratta della Zoogami Bock, birra prodotta su commissione dalla austriaca Eggenberg di cui non posso dire molto, a parte sottolineare il prezzo quasi incredibile, non avendola mai assaggiata. Ho avuto anche il tempo di rabbrividire per un jeroboam di HY alla stupefacente cifra di 125 euro e poi ho infilato la porta dell'ascensore con due domande nella testa. Chi compra le birre alla Rinascente? E, quanto pesano i ricarichi dello storico centro commerciale meneghino? Perché, d'accordo che la birra te la compri ammirando la Madonnina. Però poi te la bevi a casa tua...

14 febbraio 2011

Pelforth Brune: ricordi di Parigi

Alcune birre hanno una sorta di valore aggiunto, legato a ricordi o esperienze personali. Per me, ad esempio, la Guinness è sempre stata la birra delle prime bevute al pub, il Dubh Linn di Parma, e di un viaggio fatto in solitaria in Irlanda. Se la devo giudicare, faccio fatica a limitarla esclusivamente alle sensazioni di naso e palato. E, onestamente, questa cosa mi piace molto. Altre birre dal "valore aggiunto" sono la Duvel, la Bulldog Pale Ale (che non esiste più), la Courage Best Bitter, la Orval, la Anchor Steam. E la Pelforth Brune. Ora la Pelforth Brune è arrivata anche in Italia, grazie a Dibevit Import, e la cosa mi rende felice. E' la birra che ho indubbiamente bevuto più spesso quando mi sono trovato in Francia: a Parigi, a Bordeaux, in Normandia. Di facile reperibilità, la potevo trovare nei caffè e berla ai tavolini all'aperto in qualche piazza

Pelforth Brune

o boulevard. Ha toni caldi, note di miele e di caramello, ma non risultava stucchevole o sdolcinata come altre birre che mi capitava di provare in Francia. Ed era più gustosa da bere rispetto a una normalissima Kronenbourg. Ha una lunga storia alle spalle perché è nata nel 1921, quando la Brasserie du Pélican la lanciò sul mercato. Mi ricorda le serate a Montmartre o le spedizioni alla Brasserie Lipp in Saint-Germain des Prés, dove si andava solo perché Ernest Hemingway l'aveva fatta diventare una specie di suo ufficio quando scriveva. Una specie di pellegrinaggio quindi. Le birre, ma anche i vini o i distillati, sono anche questo per me. Non semplicemente profumi e gusto, men che meno correttezza tecnica e stilistica, ma emozioni. Quindi personali. Quindi poco o niente discutibili. Perché ognuno ha le sue, non siete d'accordo?

11 febbraio 2011

La bevanda "socializzante"

Ho iniziato a scrivere di birra semplicemente perchè c'è stato qualcuno che mi ha proposto di farlo. Sul finire del 1997, mentre vivevo a Parma e lavoravo nella redazione di un settimanale cittadino occupandomi di cronaca. Ho iniziato per curiosità, poi perché mi offrivano da bere gratis più spesso di prima e infine perché potevo incrementare in tempi rapidi la mia collezione di bicchieri. Talmente rapidi che l'ho abbandonata perché una collezione è divertente se ti costa un po' di fatica. I primi tempi sentivo ripetere in giro, in Italia e in Europa, da piccoli e grandi produttori, che la birra è la bevanda socializzante per antonomasia. Informale, easy, insomma amichevole. Ho finito per crederci, anche se sospettavo fosse un po' un luogo comune... Però era uno degli elementi che mi piaceva, rispetto almeno all'ambiente del vino. Più serioso, più compassato, anche un pelino più ipocrita. Ogni produttore faceva il miglior vino d'Italia, se non del mondo, ogni vignaiolo aveva, sì, visto la grandine durante la vendemmia ma, ogni volta, era caduta sulla vigna del vicino. Sull'altro lato della collina. Nella birra mi era sembrato di capire, salvo qualche eccezione, che non ci fosse tutta questa
acrimonia. Invece, qualche settimana fa, al telefono con un produttore (no, non è Nicola Perra) mi sono reso conto che i tempi sono cambiati parecchio. E, ritengo, in peggio. Ho lasciato perdere per qualche giorno la lettura del "beerweb", mi ci sono dedicato oggi. Agghiacciante. Le bordate si sprecano in ogni direzione, sembra un po' le partite di pallone che si facevano da bambini: il "tutti contro tutti". Al tempo lo trovavo anche divertente, sebbene il risultato fosse principalmente quello di fare un grandissimo casino a centrocampo e di non vedere la porta nemmeno per sbaglio. L'importante era sudare, schiamazzare, consumare energie (e ce n'erano in abbondanza). Non segnare certamente. Il "tutti contro tutti" aveva però anche un altro vantaggio ovvero quello di permettere di sentirsi "centravanti" anche quando normalmente si era dei brocchi. Perciò destinati alla difesa o alla porta. Invece nella fase casinara era bello, perchè ti impossessavi della palla, anche a gomitate, e non la passavi a nessuno. Nemmeno se ti ammazzavano. Eri tu il protagonista assoluto, magari per pochi secondi, e fanculo al risultato. Certo, il "tutti contro tutti" aveva delle elevatissime percentuali di finire in rissa, molto più elevate che in una partita normale, ma era un pegno che tutti pagavano volentieri. Pur di essere protagonisti per qualche secondo nella baraonda generale. Alla fine io ho scelto il tennis. Sei da solo, ma talmente solo che ti prendi tutto quello che viene dalla partita. I bei colpi e gli errori. Chi ti guarda ti vede chiaramente, non in una selva di gambe e braccia, e ti può giudicare. Sei il responsabile del risultato finale. E un risultato finale c'è sempre.

10 febbraio 2011

Mal di classifica

Lo ammetto, non sono un "ratebeeriano", sono arrivato solo a una misera quota nove come recensioni su Microbirrifici, tendo a non partecipare a sondaggi e sondaggini, ma le classifiche esercitano un fascino malevolo su di me. Quando escono le guardo, vedo se e quanto mi ci ritrovo, e l'anno scorso, all'uscita dei risultati di Ratebeer che avevano consacrato il Macche al primo posto assoluto mondiale, avevo anche fatto un pezzo per Il Mondo della Birra. Insomma mi riesce difficile fregarmene del tutto. Ma quest'anno dopo l'intervento di Joris Pattyn sul forum Mobi, dopo l'uscita delle Top of the "beer" pops, dopo vari interventi critici su alcuni blog, in primis quello di Martyn Cornell, il mio entusiasmo si è raffreddato. E mi chiedo quanto servano queste classifiche, quanto pesino e quanta credibilità abbiano. Nei primi due casi sono sicuro che un valore ce l'abbiano, altrimenti non si spiegherebbe la grande partecipazione. Di sicuro però la loro credibilità è stata pesantemente scalfita dalla masnada di recensori che affollano il sito. Mi spiego meglio: sebbene non tutti siano convinti della cosa, quello che si dice acquista valore in considerazione di chi lo dice. Se mia zia astemia mi consigliasse un vino prenderei il suo suggerimento con le pinze, se invece a farlo fosse, chessò, Sandro Sangiorgi, la sua proposta avrebbe per me un altro valore. E' una questione di credibilità, di esperienza (che si acquista in anni di assaggi) e, lo ammetto, di talento. Così se vedere il Macche al secondo posto dei "best beer bars" è tranquillizzante (preferisco le conferme agli exploit), resto come dire impressionato dall'apparizione nella categoria "best beer restaurants" di ben quattro locali romani e in quella dei "best beer retailers" di due beershop sempre della capitale. Ne deduco che all'ombra del Colosseo sia spuntata la nuova mecca birraria mondiale oppure che a Roma il giochino delle classifiche stia dando un po' di assuefazione. Poco male, almeno fino all'intervento, questo sì credibile e autorevole, di uno come Joris Pattyn. Il rischio insomma è che nel delirio di onnipotenza, e di "onniconoscenza", tipico delle fiammate di entusiasmo che prendono noi italioti ci si faccia un po' prendere per il culo. Tanto per dire: tra i "best beer bars" del 2008 non compariva nessun italiano tra i primi cinquanta, idem per i "best beer retailers" e deserto anche tra i "best beer restaurants". Stessa cosa nel 2009. Che dire, nemmeno Steve Jobs ha raggiunto i vertici planetari in così poco tempo. La differenza è che lui è riuscito a restarci fino a oggi, chissà se ne saranno capaci anche gli "scalaclassifiche" birrarie "de noantri"...

8 febbraio 2011

Identità di Birra

Un blog di taglio più o meno giornalistico, sebbene di "settore", andrebbe aggiornato quotidianamente. Basta infatti lasciar passare una settimana e le cose di cui mi piacerebe parlare si accumulano "effetto valanga" e d'un tratto mi ritrovo a dover inseguire argomenti, notizie, eventi e chi più ne ha più ne metta. Mi avrebbe fatto piacere, ad esempio, parlare della prima edizione della Settimana della Birra Artigianale, una bella pensata di Andrea Turco, che sta riscuotendo un indubbio successo. Avrei voluto anche dire qualcosa di mio sui risultati delle varie, e variopinte, classifiche uscite da Ratebeer, sito dalla grande popolarità ma sempre più oggetto di discussioni. Infine avrei voluto in qualche modo tirare le somme sulla conversazione avuta qui su Birragenda a proposito delle categorie decise per l'imminente Birra dell'Anno. Al momento però, non riesco a fare nulla di tutto ciò tranne pensare di poterne scrivere "a posteriori", per usare un gergo da ufficio stampa... Tuttavia, considerato che il blog è soprattutto uno spazio personale, ho deciso per ora di raccontare la mia esperienza a Identità Golose, congresso italiano di cucina d'autore, che si è tenuto a Milano qualche giorno fa. Identità Golose è da sette anni a questa parte un appuntamento difficile da perdere per gli appassionati di cucina. Una via di mezzo tra la notte degli Oscar (per le celebrità dei fornelli che si incontrano) e un campus universitario temporaneo (per le lezioni di cucina che si tengono a ritmo forsennato). A me è capitata l'incombenza di condurre un mattinata un po' speciale, definita "Identità di Birra" durante la quale tre chef, che prima conoscevo solo di nome e di fama, hanno dato prova del loro talento applicato alla birra, per l'appunto, in cucina. Evento fortemente voluto da Birra Moretti, che di Identità Golose è sponsor da qualche anno, Identità di Birra ha fotografato la crescita d'interesse che la birra, generalmente intesa, riscuote presso la giovane, soprattutto, generazione di chef. Il primo a brillare è stato Luigi Taglienti, regista
Luigi Taglienti, Delle Antiche Contrade, Cuneo
del ristorante Delle Antiche Contrade di Cuneo. Il suo piatto, "Testa sgombra e... a tutta birra!", composizione a base di sgombro, testina di vitello e gel di birra, è stato una enunciazione di principio verso la birra fin dal nome. Che rivelava, appunto, mentalità aperta e una buona dose di coraggio. Ancora più coraggiosa, e dai risultati entusiasmanti, la tecnica adottata dal fiorentino Marco Stabile, cucina a l'Ora d'Aria, per donare tutti gli aromi della birra alle sue animelle. Le ha lasciate marinare sottovuoto, con la birra
Marco Stabile, Ora d'Aria, Firenze
e un po' di miele di rododendro, per ventiquattro ore e poi le ha cotte a bassa temperatura per mezz'oretta. Risultato: profumi birrosi riportati nelle animelle nella loro interezza e complessità. Quella del sottovuoto è una tecnica che mi ha davvero convinto. Così come mi ha convinto la chef pasticcera Loretta Fanella. Considerata da qualcuno la migliore d'Italia, anni alla corte di Ferran Adrià e poi da Pinchiorri, sono rimasto basito non appena ha confessato di essere astemia. Però deve essersi fatta ben consigliare perchè la sua meringa al miele, parte della ricetta "Mela alla birra con meringa al miele e gelato alla crema", esprimeva

Loretta Fanella mostra la meringa al miele
un profumo che, in buona misura, tracciava un parallelo perfetto con la birra usata. E' la cosa che mi colpito maggiormente, oltre alle macchine mirabolanti che gli chef d'oggi usano, oltre alla loro incredibile vena artistico-compositiva e alla loro sana curiosità verso il mondo delle birre. Perché in effetti Identità di Birra è stato soprattutto un seme gettato in un solco, quello della grande ristorazione, e un seme che avrà certamente modo di crescere e di ramificarsi. Secondo l'estro degli chef, d'accordo, ma anche secondo la varietà di birre che questi chef andranno a conoscere nel prossimo futuro. A patto, ovviamente, che ci sia qualcuno intenzionato a fargliela conoscere questa varietà.