Mikkel Borg Bjergsø |
Di solito le interviste sono il metodo migliore per penetrare dentro la cortina che ognuno di noi possiede, o eregge, per difendersi dagli altri. Ho studiato per anni il modo migliore per farle. Una buona intervista necessita innanzitutto di sintonia con l'intervistato, una lenta tattica per invitarlo a "sbottonarsi", a uscire dalle dichiarazioni "a mezzo stampa" per rivelare qualcosa di sé. Nella mia "carriera" ho incontrato un po' di tutto, da chi in due secondi era pronto a raccontarti qualsiasi cosa a chi tentava in tutti i modi per farsi accreditare come un genio assoluto. Da chi, falsamente, cercava di mantenere un low profile a chi lo aveva davvero. Mai un'intervista è stata però così difficile come quella ottenuta da Mikkel Borg Bjergsø, l'uomo che sta dietro il progetto Mikkeller, sicuramente uno dei più rivoluzionari e, comunque la si pensi, interessanti fenomeni dentro il mondo della birra artigianale.
E invece, seduti su un divanetto di fronte a lui e in compagnia di solo un altro collega, il nostro ha mantenuto per tutto il tempo un atteggiamento distante. Io mi aspettavo un qualcosa in stile Teo Musso in salsa scandinava, lo sguardo acceso, le parole a rotta di collo, la visione messianica, insomma... fuoco e fiamme.
E invece Mikkel Borg Bjergsø ha un aplomb invidiabile. Certo, magari il fatto di averci fatto una chiacchierata a un'ora dall'apertura cancelli del suo primo Copenhagen Beer Celebration può giustificare il fatto che avesse altri pensieri in testa. Poi mettiamoci pure il carattere ma, onestamente, il creatore e guida spirituale del progetto Mikkeller appare come una persona molto seria. Che abbia carattere non ci piove visto che l'idea di organizzare una sorta di "controfestival" nelle stesse giornate del Copenhagen Beer Festival non può non avere delle motivazioni serie. E per serie intendo dire "politiche"... Ovvero non mescolarsi alla presenza di Carlsberg nel Beer Festival. Ma, questa, è solo una mia supposizione perché a domanda specifica, il nostro uomo ha glissato...
Ma ecco qui la breve intervista con Mikkel Borg Bjergsø...
D. La Copenhagen Beer Celebration coincide perfettamente con il Copenhagen Beer Festival...
R. Sì, nella stessa settimana a Copenhagen si tiene un altro festival, molto più grande del nostro. Ci siamo stati anche noi gli anni scorsi, ma abbiamo ritenuto che non ci fossero degli sviluppi interessanti, che l'evento si ripetesse sempre uguale. Sempre le stesse cose... Abbiamo deciso di farcene uno nostro, focalizzato maggiormente sul rapporto tra birra e cibo che credo sia la grande sfida del prossimo futuro per noi produttori... Oggi nei ristoranti il vino è ancora la scelta dominante... ma le birre si possono abbinare benissimo con il cibo... Qui abbiamo creato un rapporto con un bravo chef danese che prepara la cena per tutti i partecipanti alla Celebration, inclusa nel prezzo del biglietto, con una birra in abbinamento...
D. Questo festival ha comunque una caratteristica particolare: i biglietti in vendita non erano più di mille al giorno...
R. E li abbiamo venduti tutti in poche ore. In realtà il nostro scopo non era quello di fare un vero e proprio festival, ma più che altro una grande party e, naturalmente, il fatto di servire la cena comportava un numero "chiuso". Volevamo anche che il pubblico potesse incontrare davvero i birrai presenti, il tutto in un'atmosfera più tranquilla rispetto a quella dei festival tradizionali, ma anche di festa con i birrai...
D. Tutti i birrai sono presenti?
R. Non tutti, ma la stragrande maggioranza sì. Chi non era presente ha preso parte a una specie di stand "collettivo"...
D. Come giustifica la rivoluzione artigianalbirraria danese?
R. Beh, tradizionalmente le birre artigianali arrivavano dall'Europa, dal Belgio, dalla Germania e dal Regno Unito. Poi c'è stata l'esplosione del fenomeno americano e infine l'onda è arrivata anche da noi. Perché? Perché si è manifestato il desiderio di fare birre diverse rispetto a quelle che si bevevano normalmente. La Danimarca è una piccola nazione con uno dei più grandi produttori di birra del mondo. Logico quindi che il mercato fosse molto dominato da Carlsberg. Qualcuno si è stancato e la gente era pronta a un cambiamento... Nel 1997 avevamo circa 9 birrerie in Danimarca, oggi ce ne sono circa 130... Ma il fenomeno non riguarda solo noi, è dilagato anche nel Regno Unito, in Italia, in Spagna, in Brasile, persino in Francia e in Belgio. Forse solo la Germania al momento è ferma....
D. Lei però è una figura strana nel movimento internazionale. Fa la birra senza avere un impianto....
R. Io ho iniziato a fare la birra in casa nel 2003 e nel 2005 ho pensato che avrei voluto dimostrare agli altri cosa sapevo fare. Mi rendevo conto che quello che facevo in cucina era meglio di quello che bevevo in giro. Anche le nuove birrerie tendevano a fare cose abbastanza normali, ma era ovvio. Se hai un impianto e tutta un'organizzazione hai dei costi che devi sopportare e avere questi costi ti costringe a dover fare delle scelte che non erano solo le tue, ma quelle dettate dalle esigenze commerciali. Sì, le etichette erano più accattivanti, le birre un po' più buone, ma niente di davvero originale. Noi non volevamo avere un'attività commerciale, volevamo far vedere cosa eravamo in grado di fare con la birra...
D. E così siete partiti solo con la ricetta in mano...
R. Esatto, e noleggiando un impianto per un giorno o per una settimana, poi anche per un mese quando le cose hanno iniziato a funzionare. Solo un anno dopo ero in giro per il mondo a cercare collaborazioni di prestigio. Credo che la prima sia stata con l'americana Three Floyds, per me la birreria numero uno al mondo. E così andiamo avanti, facendo le nostre ricette e collaborando con quelli che consideriamo i migliori birrai nel campo internazionale...
D. Ma all'inizio non avere l'impianto poteva anche essere una necessità, oggi è sicuramente una scelta...
R. Sì, oggi è una scelta. La scelta di essere liberi di fare quello che si vuole. Se domani la gente smettesse di comprare la mia birra, io posso chiudere senza troppi problemi. Al momento, fortunatamente, non abbiamo problemi a venderla...
D. Ultima domanda: ha idea di quante etichette Mikkeller ci siano in giro attualmente?
R. (sorride per la prima volta) Tante di sicuro. L'anno scorso ne abbiamo fatte oltre 110, oggi abbiamo più di 200 etichette diverse. Forse 220. Ma questa è la cosa interessante ed eccitante allo stesso tempo. E sono i numeri della mia libertà di espressione...
8 commenti:
Si è mai appoggiato ad un impianto italiano? intende scendere nello stivale?
Si è mai appoggiato ad un birrificio in Italia?
Al momento non mi risulta nessuna collaborazione con l'Italia, ma so che importa le birre di Valter Loverier... Magari da cosa nasce cosa...
In Italia?
Che iddio che ce scampi e liberi..
@Bossartiglio: indubbiamente Mikkeller è uno che divide... Alcune sue birre mi sembrano un insulto all'intelligenza, altre però le amo... Bah, uomo misterioso... amletico direi... :-)
Magari nasce l'idea di un Mikkeller bar a Torino! ahah
Trovo parecchio inutili e sterili le polemiche sul personaggio che ho letto in passato sul personaggio. Sono dell'idea che, fuori dal giudizio sulle birre, sia tutta aria fritta.
Il vero problema è che l'aria fritta, quando si parla di Mikkeller, spesso la trovi dentro le bottiglie.
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