21 settembre 2006

Xyauyù, l'ultima magia di Teo


Aveva stupito tutti fin dagli esordi con una Super dal nome quasi banale, visti gli sviluppi successivi, ma di fattura tale da poter essere paragonata ad alcune delle migliori birre abbaziali belghe di nobile “stirpe”. Nel corso degli anni ha saputo confermarsi con una blanche, una saison, una kriek. Insomma, il mastro birraio piemontese Teo Musso, deus ex machina dell’ormai celeberrimo Le Baladin, ha raggiunto il vertice della qualità birraria artigianale accettando e vincendo sfide che pochi avrebbero intrapreso. E ci ha abituato ad almeno una “sorpresa” annuale, segno insindacabile che la sua creatività va di pari passo con la sua competenza. Così, dopo essersi recato in Scozia a recuperare lieviti da single malt da utilizzare per una sua birra, la giustamente denominata Elixir, e aver realizzato una birra, unica forse al mondo, con il metodo Solera, ora ci riprova sulla strada, anch’essa sperimentale, dell’ossidazione. Il risultato è una birra, che di questo si tratta anche se all’assaggio potrebbero esserci delle perplessità, dal nome quasi impronunciabile: Xyauyù. Impronunciabile, ma da imparare a memoria, perché è, a nostro avviso, una delle creature di Teo che lasceranno un segno indelebile nelle cronache brassicole italiane. Il debutto ufficiale è previsto per l’autunno incombente, ma avendo avuto la fortuna di provarla proveremo anche a raccontarla: nessuna schiuma né alcuna percepibile frizzantezza, il colore è quello dell’ambra scura, paragonabile a un cognac. Al naso è un trionfo di note dolci del caramello, fruttate dei datteri che si mangiano a Natale, ma con la fantasia si va anche al calore dei Tropici, ai profumi della frutta secca con delle nuances leggermente salate che ricordano la salsa di soia. Ci si coordina un secondo per ricordarsi che si tratta di una birra e al palato si è invasi dalla sensazione tattile della seta, dei vini da appassimento che si producono a Pantelleria. Il dolce non è stucchevole, con note aggiuntive come quelle riconducibili ai fichi maturi, il corpo maestoso, la persistenza lunghissima in bocca, infinita nella mente. Capolavoro? Decidete voi, che la Xyauyù la potrete trovare nei negozi specializzati, nelle enoteche di mentalità aperta e, ce lo auguriamo vivamente, nei ristoranti lungimiranti. È birra da solitudine, da “divano” come l’ha definita Teo stesso, ma anche da fine cena, da sigaro, cubano non toscano, da fine giornata se si è fatto qualcosa per meritarsela, insomma.. da fine del mondo. Anche perché la scadenza, enunciata testualmente nella retroetichetta, è proprio “la fine del mondo”. Che speriamo tardi ancora un po’ ad arrivare, finché Teo continua a fare birre così.
da Vie del Gusto - Settembre 2006

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