Di ritorno da un viaggio in Olanda. Un brillante blitz di soli due giorni, all'insegna del non perdere tempo, per visitare un nano e un gigante ovvero l'abbazia di Konigshoeven e il gruppo Bavaria. Ne ho approfittato per sciogliere un dubbio ormai amletico che avevo durante le lezioni di "storia e geografia" birraria (a me piace chiamarle in stile "scuola elementare") quando arrivavo al "paragrafo" birre trappiste. Sicuro delle sei belghe lo sono stato molto meno di quell'unica olandese che, come la marea, una volta era trappista, poi non lo è più stata, adesso lo è di nuovo. Così, con il ritornello della sigla di Sandokan in testa ("sale e scende la marea") penso di aver risolto l'arcano. Dopo essere stati acquistati da Stella Artois, i monaci olandesi si sono visti richiedere dai confratelli belgi il logo esagonale "Authentic Trappist Product". Per quieto vivere, sono monaci del resto, il logo è stato abbandonato. Ma alla fine del 2005, in abbazia sono arrivati i giovani olandesi di Bavaria (i massimi dirigenti non hanno più di 40 anni pro capite) che, preso in affitto la birreria e pagate tutte le roialty che c'erano da pagare (e che i monaci spendono in carità cristiana) al logo ci tenevano eccome. Ergo, tavola rotonda con i trappisti del Belgio e, com'è come non è, il logo è stato ripreso. E ovviamente utilizzato. Il logo conta, eccome se conta. In America quando l'hanno saputo hanno raddoppiato le richieste. Ma, al di là di tutto, le varie La Trappe che ho assaggiato (blonde, dubbel, tripel, quadrupel, ma adesso fanno anche una witbier e una bock stagionale) hanno tutte passato il mio, modestissimo, esame. A gusto mi è piaciuta soprattutto la blonde, la tripel e, magari tenendola in cantina qualche anno, la quadrupel. A mia richiesta, il manager ha detto che di quadrupel d'annata ce ne sono. Ma le tengono sotto chiave. A proposito, a parte la blonde, meglio La Trappe in bottiglia che alla spina. Ma ce lo si poteva aspettare.
Dalla quiete monastica, il giorno dopo, siamo passati all'efficienza di Bavaria. Bandiera italiana in omaggio ad aspettarci, uffici spaziali con angoli caffè e asilo nido (esattamente come in Italia...), giovani dirigenti. Certo tutti figli di papà nel senso che sono la settima generazione della famiglia proprietaria ma, prima di poter mettere piede in birreria, tutti indiscriminatamente obbligati a farsi le ossa almeno per un paio d'anni in altre aziende dove il papà non conta un fico secco. Dove pare a loro, secondo studi e ambizioni, basta che non bussino alla porta paterna prima del tempo. Quando però vengono chiamati, sono i genitori a levare le tende. Un paio di consigli, una pacca sulle spalle e, alè, rimboccarsi le maniche. Risultato? Responsabilità, idee nuove, qualche piccolo errore, ma entusiasmo da vendere da oltre 300 anni. E questa è un'azienda di famiglia.
Che dire? Tutto esattamente come in Italia....
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