2 novembre 2006

Cronache dal Salone



Dovrei ormai essere avvezzo al calvario a cui ci si deve sottoporre per poter accedere al Salone del Gusto di Torino. In un'ora circa, da Milano, si arriva alle porte della città. Alle porte del Lingotto invece non basta un'ora e mezza. Di che mi lamento comunque... I giornalisti hanno il loro ingresso riservato e non gli tocca la fila sostanziosa e i 20 euro d'ingresso che spettano ai comuni mortali... Mentre mi infilo il pass al collo, novello labrador della stampa, provo quasi una fitta di invidia per tanta abnegazione. Dentro poi, è una serie di gironi danteschi pieni a livello di record della cabina telefonica di gente che assaggia, compra, tratta, chiede informazioni su qualsiasi cosa sembri alimentare. Una bimba addirittura chiede alla mamma se può assaggiare del sale gallese, la mamma acconsente e la piccola appoggia il ditino e poi lo accosta alle labbra.... Prometto che mi iscriverò alla campagna "Save the children".

Per 5 euro acquisto un panino al culatello, purtroppo fette rigide come cartone, e continuo ad avanzare sgomitando come James Caan in Rollerball. Compio il perimetro degli stand britannici in soli 20 minuti, niente male ma niente premi, osservo la ressa davanti alle spine di real ale e capisco che devo abbandonare il campo. Va meglio con le artigianali americane, lo spazio è angusto ma tutti sembrano godersela e così mi allineo: anche perché trovo un'ottima Milk Stout di Left Hand e una notevolissima Temptation di cui non mi ricordo il produttore (maledetti appunti, dove siete?). Grazie alla folla da esodo biblico il mio portafoglio è salvo, riesco nell'impresa eccezionale di non comprare nulla! In compenso assaggio birre Forst in compagnia del loro mastrobirraio Cesaro (tanto di cappello alla Sixtus, sempre ben accetta la pils) e vado a trovare la combriccola dei birrai artigianali italiani. Che dire... Sono i miei preferiti perché lavorano duro, hanno fantasia da vendere e non se la tirano. Se non ti diverti a fare la birra, che senso ha? Una sicurezza la Gilda di Enrico del Beba (a Enrico più di qualcuno, io compreso, dovrebbe fargli un piccolo monumento), da picchiare la testa sul palo la triade Xyauyù di Teo del Le Baladin (ancora non ho capito come fanno a saltare fuori quei profumi aromatici da Sauvignon? Come, come, come?). Per ultima, brillante per idea e risultato la KeTo Reporter di Leonardo di Birra del Borgo (ma se migliori così in fretta, dove arriverai?), aromatizzata per infusione con foglie di tabacco Kentucky.

Infine, il laboratorio di Cantillon. Molto utile, niente da dire, soprattutto per chi, confesso serenamente, non ama il lambic. Ma se c'è da imparare, eccomi e ascoltare Van Roy è stata una bella lezione. A dirla tutta comunque, la gueuze del 1996 era fantastica. Che mi stia convertendo anche io all'acidità polverosa di queste birre preistoriche?

Conclusioni: la sensazione dell'orgia gustativa rimane, quella del mercatone per adulti golosi pure. Ma il Salone presenta molte opportunità didattiche e, con i laboratori, di approfondimento. Ne vale la pena dunque, a patto di fare una bella seduta di training autogeno la sera prima.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Caspita, ho capito: bisogna essere superallenati. Mi inizio a preparare per l'anno prossimo.

Anonimo ha detto...

La Temptation era della Russian River.
Davvero grande Vinnie Cilurzo e i suoi bretta ;-)

A presto!
Luca

Maurizio ha detto...

Per Luca: Grazie! Gli appunti sono riemersi dalla solita montagna di carte, fuori tempo massimo. Gran birra comunque....

Per Marco: Hai ragione, due anni fa lo spazio era maggiore. Credo onestamente che i vertici di Slow Food abbiano molto a cuore Terra Madre per la sottile, e condivisibile, connotazione politica che essa comporta. E le origini di SF non sono lontane dalla politica. Per i nostri birrai comunque il Salone è una notevole opportunità anche se una giornata per operatori/stampa farebbe bene. Il rischio altrimenti è fare un gran baazar dove si venderà anche tutto, ma magari facendo capire poco...