Nella sinfonia festaiola che ho respirato al Salone del Gusto ho colto una nota stonata. Il mio cervello ci ha messo un po' a metabolizzarla, eppure il segnale era chiarissimo e difficilmente interpretabile. Sono sicuro che sia stato visto anche da altri ma, finora, non ho letto niente in merito. E allora inizio io. Mi riferisco al cartello "vendesi" che Enrico Borio aveva attaccato, in bella vista, sopra lo stand del suo
Beba. Con Enrico ci conosciamo da anni, conosco il suo carattere a volte un po' "fumino", ma ne ho sempre apprezzato la sincerità e la grande capacità di lavoro. In un'occasione, durante un Cibus a Parma di qualche anno fa, lo ricordo come una componente essenziale per la riuscita dello "spazio birre artigianali" in città. Non lo avessi coinvolto, non so se saremmo riusciti in un'impresa realizzata in fretta e furia. Sono convinto anche che si sia impegnato molto per Unionbirrai, soprattutto nei primi difficili anni di pionerismo. E' per questi motivi, ma ce ne sarebbero anche altri, che quel cartello esposto al Salone del Gusto mi ha colpito particolarmente.
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Lo stand del Beba al Salone del Gusto -Torino 2010 |
Certo, con Enrico si scherza sempre. Ma le sue intenzioni sono serie. Il Beba è davvero in vendita. E allora varrebbe la pena porsi qualche domanda anche se, probabilmente, tra gli squilli di tromba della moda birrarioartigianale e le nuove aperture che si succedono a ritmo quasi quotidiano, cadrà nel dimenticatoio. Perché il Beba appartiene alla prima schiera dei birrai artigianali, fa parte di quella "storica" pattuglia che ha avviato la rivoluzione e la sua, eventuale, scomparsa o cessione non ha lo stesso significato della chiusura di un birrificio che "ci ha provato" da pochi anni, magari allettato dalle sirene del business facile, e che si è reso conto che le vie della birra artigianale italiana non sono esattamente lastricate d'oro. Almeno non per tutti.
Perchè Enrico vende? I motivi vanno chiesti a lui, che ve li dirà nel suo, colorito, modo. Ma di certo qualcosa sembra essersi spezzato e, tolte le ragioni meramente personali, resta il dato di fatto. Che sia iniziata la fase di selezione che in molti, birrai compresi, paventano? Oppure che oggi fare birra artigianale in Italia, così senza troppi pensieri, non è più sufficiente? In un mercato che si infittisce di piccoli produttori, tra loro in inevitabile competizione, come si fa ad emergere (per sopravvivere)? Si deve fare birra buona ok, ma la si deve anche poter vendere. E allora, con oltre 300 impianti in attività e stante il ruolo massiccio di grandi aziende e importatori vari, dire "questa è una birra artigianale" forse non basta più.
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Enrico ripensaci! |
Questo post non vuole essere in alcun modo un "coccodrillo". Io vorrei che Enrico ci ripensasse, che il cartello "vendesi" fosse la sua ennesima "impennata" e, alla fine, la vita comunque va avanti. Magari Enrico andrà a fare la sua Motor Oil o la sua Toro in qualche isola polinesiana. Bene per lui, cercheremo di andare a trovarlo. Ma il suo cartello impone una qualche riflessione. Soprattutto a vantaggio di chi pensa che aprire un birrificio e farlo funzionare sia solo una questione di buone materie prime, capitali per l'avviamento e tanta fantasia...